Cartoline acustiche da Venezia. Il progetto di Andrea Liberovici
Che cosa succede quando il tessuto sonoro di una città diventa protagonista di uno strumento fortemente visivo come una cartolina? La risposta è nel progetto che il compositore Andrea Liberovici dedica al luogo in cui è cresciuto.
Il suono prodotto da una città è come l’odore che definisce l’identità olfattiva di una casa: impercettibili a chi li vive quotidianamente, suoni urbani e odori familiari possono essere colti solo da orecchie e nasi allenati, capaci di isolarne le caratteristiche. Andrea Liberovici, classe 1962, “compositore transdisciplinare”, definizione che in molti gli hanno attribuito, ha scelto Venezia, luogo in cui ha trascorso l’infanzia e la giovinezza, come terreno di indagine per “mappare” il corpo sonoro della città, restituendolo attraverso un formato apparentemente opposto, nel quale a prevalere è, per antonomasia, l’aspetto visivo. Le Acoustic Postcards Venice sono delle vere e proprie cartoline sonore che condensano in poco meno di un minuto le voci, i passi, lo scalpiccio sui masegni, l’eco di corti e campielli – come quello su cui si affaccia l’abitazione dell’amico e musicologo Veniero Rizzardi, al quale Liberovici ha “rubato” risate e grida di bambini ‒, regalando un frammento acustico da ciascuno dei sei sestieri di Venezia, congelato nel tempo eppure di una attualità senza sosta.
Ad anticipare le Acoustic Postcards sono stati gli otto episodi di VeneziAcustica – Diario di un cacciatore di suoni, trasmessi su Radio3 e dedicati proprio alla vita sonora dei sestieri lagunari. Da Cannaregio a San Polo, da Dorsoduro alla Giudecca, Liberovici ha mescolato parole, rintocchi di campane, pesci, sciabordii di onde, catturandoli con un piccolo registratore portatile, per descrivere l’“anima” di ciascun quartiere e le persone che lo abitano. Si è fatto accompagnare da colleghi compositori residenti nei diversi sestieri e ha dato “voce” agli edifici – “il Conservatorio è sempre una sorta di gigantesco strumento musicale, un palazzo che suona” –, scrivendo virtualmente i capitoli di una guida alternativa a una città refrattaria allo scorrere del tempo.
LE PAROLE DI ANDREA LIBEROVICI
Il passo verso le Acoustic Postcards Venice è stato breve e la dimensione temporale ha fatto da bussola, andando a braccetto con quella sonora. “Progetti come questo mi servono per approfondire la mia relazione con questa città, per capirla di più. Ritengo, nonostante possa sembrare un paradosso, che Venezia sia prototipo di una città futura, perché qui sono inevitabili gli incontri, il rapporto umano continua a esistere. Se non ci fossero le grandi navi e i fumi di Marghera, sarebbe una città respirabile. La caratteristica che, a mio parere, la rende straordinariamente ‘futurista’ è proprio la percezione del tempo. Quando arrivi a Venezia entri in un jet lag temporale, cominci a camminare. Questo nuovo inizio ti costringe a guardare le persone che hai attorno. Auspico che quando questa tempesta mondiale finirà si comincerà a ripensare un modello di società diverso”, sostiene Liberovici, che individua nella riattivazione della capacità di ascolto uno strumento essenziale affinché possa verificarsi quanto auspicato. “L’immagine è radicalmente satura, ti colpisce solo se è particolarmente forte. Ascoltando, invece, ricominci ad ascoltare te stesso. Noi occidentali non ascoltiamo più niente o, meglio, ascoltiamo soltanto ciò che continua a farci tenere il ritmo, a correre. Ascoltare è rigenerante”.
RITRATTI DI UNA CITTÀ
Le cartoline acustiche sono anche una reazione all’acqua granda del 12 novembre scorso, quando Venezia è stata travolta da una marea eccezionale che ha colpito al cuore l’organismo di una città millenaria ma fragile e quanti la vivono e la amano. Liberovici è fra questi e il suo omaggio a Venezia ha preso il via l’8 marzo, trasformandosi rapidamente in un lavoro più ampio. Il desiderio, infatti, è di realizzare sei cartoline acustiche per ogni sestiere, divulgandole nell’arco dei mesi che separano dal primo anniversario di un’alluvione seconda soltanto a quella del 1966. Un tributo a Venezia, dunque, ma anche un veicolo che, in un’era come quella attuale, doverosamente all’insegna del distanziamento, annulla i confini della lontananza servendosi di una modalità “vecchio stile” che da sempre rinsalda legami fisicamente assenti. Le cartoline, qui, si impossessano di una tecnologia ben maneggiata – Liberovici interviene sui suoni, li mixa, li affina e li veicola attraverso il web – e scardinano con eleganza l’odiosa immagine della Venezia in posa, della città-cartolina, appunto. Ne emerge un ritratto acustico che echeggia quelli stilati da Liberovici alla fine degli Anni Novanta e poi andati in mostra alla Galleria Nazionale di Roma con la curatela di Achille Bonito Oliva. “Prendevo dei campioni di voce di persone che amavo ‒ Sanguineti, Paolo Poli ‒ li registravo, li manipolavo e cercavo di fare emergere dalle loro pause e dalla grana della voce la loro interiorità, il significante rispetto al significato. Le persone sentivano dei ritratti, non li vedevano. Il filo rosso alla base della mia ricerca è che il suono contiene delle immagini, produce una narrazione, diversa per ciascuno di noi”, conclude Liberovici, offrendo una chiave di lettura della realtà che chiama in causa mente e sensi, validi alleati, oggi più che mai, nella conservazione di un lucido equilibrio per osservare e ascoltare il presente.
‒ Arianna Testino
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