Dalla Spagna all’Italia, sul filo della ripartenza. Parla Vicente Todolí, direttore di HangarBicocca
Presidente dell’Advisory Commitee della Fondazione Botín a Santander e direttore artistico dell’HangarBicocca di Milano, Vicente Todolí racconta la sua visione della cultura durante e dopo la pandemia. E ci svela una passione inaspettata, quella per gli agrumi.
Spagna: tra i primi musei a riaprire c’è il Centro Botín a Santander. Dal 12 maggio i cittadini della Cantabria ‒ regione che ha superato già la fase zero della cosiddetta desescalada ‒ possono di nuovo passeggiare fuori e dentro l’edificio progettato da Renzo Piano, seguendo le debite raccomandazioni di igiene e distanziamento sociale; l’ingresso è consentito infatti solo a un terzo della capienza totale dello spazio. L’importante istituzione culturale privata riapre con le stesse mostre allestite in marzo: i Ritratti della collezione permanente; il meglio della serie Itinerarios, opere realizzate da giovani artisti emergenti vincitori della borsa di studio in arti plastiche promossa dalla Fondazione Botín e giunta alla 25esima edizione. E infine la mostra site specific dell’artista albanese Anri Sala, As you go (Chateau en Españe), inaugurata a metà dicembre.
Di riapertura della cultura, e non solo, ci parla Vicente Todolí, dal 2011 presidente dell’Advisory Commitee della Fondazione Botín e fra le personalità spagnole più rilevanti nel mondo dell’arte contemporanea. Di origini valenciane, Todolí è stato curatore e direttore dell’IVAM (centro d’arte contemporanea di Valencia) ha diretto la Tate Modern di Londra, la Fondazione Serralves di Oporto e oggi è consulente di prestigiose istituzioni private: dal 2013 ricopre la carica di direttore artistico di Pirelli HangarBicocca a Milano, e di recente collabora anche con la Fundació per Amor a l’Art che gestisce Bombas Gens a Valencia, uno degli spazi culturali più interessanti sorti di recente in Spagna.
L’INTERVISTA A VICENTE TODOLÍ
Il Centro Botín è stato il primo museo importante a riaprire in Spagna. Come mai?
La voglia di riattivare la cultura a Santander è molta e l’attenzione al territorio è importante, in questo momento in cui non c’è turismo straniero. Con il direttore artistico Benjiamin Veil non abbiamo ancora definito nei dettagli la programmazione per il futuro, ma i centoquarantamila cantabri che possiedono il pass di accesso permanente al museo hanno il diritto di poter tornare a visitarlo”.
Dove sta trascorrendo la quarantena?
Mi trovo fortunatamente a Palmera, nella campagna valenciana vicino a Gandía, in mezzo a oltre 400 varietà di agrumi; è la mia passione, che deriva anche dalle origini ortofrutticole della mia famiglia. Rientrai da Milano giusto in tempo, mercoledì 20 febbraio, il giorno dopo l’inaugurazione della mostra di Trisha Baga all’HangarBicocca. L’aereo era pieno di valenciani reduci dalla partita di Champions League, a San Siro contro l’Atalanta. Devo ammettere che mi sono un po’ preoccupato. Da allora non sono più potuto rientrare in Italia.
Che cos’è la Fundació Todolí Citrus?
Ammetto di avere una doppia personalità: oltre al mio interesse per l’arte, colleziono agrumi. Del resto, ho antecedenti illustri nella storia, come il duca fiorentino Cosimo de Medici. Nel 2012, infatti, ho creato una fondazione che si dedica allo studio botanico e alla coltura degli agrumi, seguendo le orme di mio padre e di mio nonno, che in queste terre coltivavano le arance. Proprio in febbraio, ho partecipato a una tavola rotonda a Villa Necchi, a Milano, per l’edizione annuale della fiera AgruMi.
Come si svolgono le sue giornate?
La mattina mi dedico al frutteto: la primavera è un periodo di intenso lavoro, tra gli innesti, la riproduzione e i trattamenti di purificazione delle piante. Nella coltivazione degli agrumi sono impiegati tre lavoratori fissi e un direttore tecnico. La fondazione non ha però per scopo la vendita ortofrutticola ‒ anche se prossimamente metteremo le eccedenze online e stiamo producendo già diverse varietà di marmellate ‒ bensì lo studio botanico e la conoscenza di varietà di agrumi spesso sconosciute in Europa. Il pomeriggio, invece, attraverso i tanti contatti online, lo dedico al lavoro intellettuale e mi occupo ovviamente di arte contemporanea.
Quando riaprirà l’HangarBicocca?
Se tutto va bene, riapriremo al pubblico nel weekend del 22-24 maggio. Se c’è uno spazio, in realtà, dove il distanziamento sociale è possibile, è proprio nell’ex fabbrica Pirelli, con i capannoni di oltre venti metri d’altezza. Abbiamo dovuto però riprogrammare il calendario. La mostra di Trisha Baga inaugurata in febbraio e chiusa per l’epidemia di COVID-19, resterà allestita fino a gennaio 2021. Fino a fine luglio, invece, è prorogata la mostra di Cerith Wyn Evans. La personale di Chen Zhen slitterà a ottobre, mentre quella di Neïl Belufa a data da destinarsi, nel corso del 2021. Il vantaggio è che le mostre non “viaggiano” e i prestatori delle opere sono stati molto disponibili.
Come si rifletterà nell’opera degli artisti contemporanei, secondo lei, la crisi sanitaria mondiale e l’isolamento forzato dovuto alla pandemia da COVID-19?
In realtà, la maggior parte degli artisti oggi vivono e lavorano in isolamento dalla società. Per loro la quarantena non è nulla di nuovo. La pandemia può solo portare a una riflessione di carattere estetico o sociale, non credo a una produzione artistica causa-effetto; a eccezione degli artisti che lavorano con la fotografia. Avverrà un po’ come nel caso del Decamerone di Boccaccio, che nacque come conseguenza dell’epidemia di peste a Firenze, ma ne parla. L’arte contemporanea di solito anticipa idee, pensieri, non è legata al realismo concreto di un’esperienza.
Lei oggi lavora per istituzioni culturali private, ma in passato ha avuto ampia esperienza anche nel settore dei grandi musei pubblici. Come immagina che possa cambiare la fruizione dell’arte dopo la pandemia?
Per il momento, finché non si potrà viaggiare, soffriranno meno le istituzioni che non hanno scopo di lucro, che non dipendono cioè dai ricavi dei biglietti di ingresso. È il caso di HangarBicocca, del Centro Botín o di Bombas Gens. Bisognerà invece ripensare le attività espositive che si basano sul modello americano della cultura, che si finanziano cioè solo attraverso la vendita dei biglietti. Diminuiranno forse le cosiddette mostre blockbuster oppure resteranno allestite più a lungo, magari un anno intero, per permettere di essere visitate da un pubblico più vasto possibile. Per quanto riguarda la fruizione del visitatore di mostre e musei, limitando il numero degli accessi alle sale non può che migliorare la qualità stessa dell’esperienza estetica. Ciò che invece, per il momento purtroppo, non è più praticabile se non in modalità virtuale sono tutte le attività di carattere pedagogico e interattivo con il pubblico, famiglie, studenti e bambini. Ma siamo ottimisti: tutto per fortuna è temporale, passerà anche questa terribile emergenza sanitaria.
La Fundación Todolí Citrus è stata segnalata da TourSpain come uno dei luoghi più interessanti da visitare in provincia di Valencia. Non ha mai pensato di unire gli agrumi all’arte contemporanea, visto che i luoghi all’aperto sono proprio ora i più adatti per ricevere il pubblico senza troppe restrizioni di carattere sanitario?
Ho già in serbo un progetto artistico da realizzare a Palmera, tra gli agrumi. Ma come sempre per ora mi mancano tempo e denaro. Ho già coinvolto amici artisti come la scultrice Cristina Iglesias, che lavora con la pietra e l’acqua, Carsten Höller, che colleziona uccelli canterini, per la realizzazione di una voliera con le varietà ornitologiche della zona di Valencia (qui è una tradizione contadina, con sei specie diverse); e il catalano Antoni Miralda per la creazione di un gabinetto di prodotti citrici. Per tutto questo, mi sono ispirato a un altro italiano, l’erudito Cassiano Dal Pozzo, che nel Seicento scrisse il primo trattato sugli agrumi.
‒ Federica Lonati
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