Fare cultura per costruire il domani. Intervista a Bruno Racine, neodirettore di Palazzo Grassi – Punta della Dogana a Venezia
A meno di un mese dalla inaugurazione delle mostre posticipate per effetto della emergenza sanitaria, abbiamo intervistato Bruno Racine, neodirettore di Palazzo Grassi – Punta della Dogana, le sedi veneziane della Collezione Pinault.
L’11 luglio Palazzo Grassi e Punta della Dogana riapriranno le porte al pubblico dopo la lunga chiusura. Ad accogliere i visitatori saranno tre mostre “a effetto”, che segnano il nuovo corso delle due sedi espositive lagunari, dirette da Bruno Racine (Parigi, 1951), al quale Martin Bethenod ha da poco ceduto il testimone. Legato all’Italia da un rapporto decennale, il neodirettore può contare su una solida carriera vissuta al confine tra arte e politica ed è pronto a regalare nuovo slancio al panorama culturale di una città come Venezia, chiamata a misurarsi con l’onda lunga della pandemia.
Il suo incarico ha preso il via a marzo, nel momento in cui il mondo intero faceva i conti con la feroce diffusione di un virus che ha sparigliato le carte sul piano economico, sociale e della pianificazione culturale. Quali problematiche si è trovato ad affrontare subentrando a Martin Bethenod in una fase storica così complessa?
La crisi sanitaria di questi mesi ha sconvolto del tutto il contesto nel quale le due sedi della Collezione Pinault si trovano normalmente a operare. Palazzo Grassi ‒ Punta della Dogana si è trovata a dover interrompere gli allestimenti delle tre mostre in programma a partire dal 22 marzo. Abbiamo dovuto ripianificare la ripresa dei lavori di completamento delle esposizioni, riattivare il processo legato ai prestiti delle opere dall’estero, rimodulare i percorsi del pubblico all’interno delle sedi e renderle agibili in sicurezza. A parte l’adozione di nuove pratiche relative alla gestione del lavoro e mirate a garantire la sicurezza dello staff – messe in atto prima ancora della chiusura delle sedi espositive ‒ ora ci stiamo concentrando sulla conclusione dei lavori in vista della riapertura dell’11 luglio. Tutto questo ha coinciso con il mio arrivo a Venezia, posticipato dalla chiusura delle frontiere. Una Venezia diversa, da quella che tutti noi conosciamo, svuotata di quel turismo che, pur minacciandone l’integrità, le permette di vivere. Si è aperto uno scenario completamente nuovo che ci invita a ripensare il nostro quotidiano. Personalmente la prima cosa che mi premeva era dare un segnale positivo alla città e dunque concludere al più presto i lavori di allestimento delle mostre così da essere finalmente accessibili al pubblico: l’inedito progetto espositivo dedicato al grande fotografo, Henri Cartier-Bresson. Le Grand Jeu, la monografica Youssef Nabil. Once Upon a Dream e la collettiva Untitled, 2020. Tre sguardi sull’arte di oggi a cura di Thomas Houseago, Muna El Fituri e Caroline Bourgeois.
Venezia ha fatto del turismo la sua primaria fonte di sostentamento. Quali strategie deve adottare una istituzione culturale radicata nel contesto cittadino come Palazzo Grassi – Punta della Dogana per incentivare un turismo consapevole, che regali linfa vitale alla città senza invaderla?
Racconto spesso che al mio arrivo a Venezia a maggio, quando è stato possibile viaggiare rispetto alle misure di contenimento del Covid-19, ho trovato una città bellissima ma deserta. Ora, un po’ alla volta e grazie alla forte volontà dei suoi abitanti, delle istituzioni e della rete culturale, la città si sta riprendendo. È chiaro tuttavia che non possiamo pensare che il flusso turistico da cui è solitamente attraversata la città possa tornare come prima, almeno non immediatamente. L’emergenza ci ha imposto anche una pausa di riflessione che ha obbligato tutte le istituzioni a rivedere il modello precedente. Il pubblico di Palazzo Grassi e Punta della Dogana, seppur in gran parte straniero, non è comunque il turismo di massa. Il pubblico dell’arte ha già in sé le caratteristiche di un modello di turismo responsabile e sensibile e sarà sempre più importante mettere in atto strategie per fidelizzarlo e per coinvolgerlo anche a lungo termine. Le nostre istituzioni hanno sempre proposto una programmazione di eventi e appuntamenti lungo tutto l’anno, anche in momenti alternativi al canonico “calendario turistico” veneziano.
Ha intenzione di innescare nuove collaborazioni con gli altri poli culturali cittadini?
Siamo in costante contatto con la rete di musei della città di Venezia e del territorio, condivisione già radicata nel tempo e oggi più che mai necessaria. In questo momento uno degli effetti immediati per le istituzioni culturali è stato proprio valorizzare e rinforzare la sinergia, prima di tutto nel contesto locale, ma anche in quello globale.
È possibile pensare a un rapporto diverso della Collezione con la città, in particolare rispetto alla sua storia, sviluppando ulteriori occasioni di collaborazione con le istituzioni culturali cittadine e immaginando un nuovo dialogo tra antico e contemporaneo.
Guardiamo al dopo pandemia: l’emergenza sanitaria ha inciso profondamente sul modo di intendere la relazione sociale, generando una gamma di nuovi comportamenti dettati dal distanziamento ma anche da un’incertezza diffusa rispetto al futuro. Quali strategie sta mettendo in campo per reagire a questo nuovo scenario e per rinsaldare il legame col pubblico delle istituzioni di cui è neo direttore? Pensa che nasceranno nuove tipologie di pubblico?
Palazzo Grassi – Punta della Dogana ha costruito negli anni un’identità molto solida, ha sviluppato progetti rivolti all’inclusione, all’apertura e al dialogo verso nuovi pubblici. Ora tutto questo è diventato una necessità per ogni istituzione. Durante il periodo di confinamento, abbiamo fatto appello ai nostri valori e al nostro pubblico, ideando progetti digitali innovativi e sperimentali, ma sempre coerenti e riconoscibili. Da tempo l’istituzione si è attivata nel potenziamento dei suoi strumenti digitali e nella produzione di contenuti multimediali. Dal mio punto di vista è fondamentale proseguire su questa linea e rafforzarla, mostrando grande attenzione ai bisogni del territorio e aprendosi a pubblici diversi.
Crede che la crisi sanitaria nella quale siamo immersi possa essere una opportunità per creare nuove forme di interazione e promozione culturale?
Ci siamo subito messi al lavoro per rendere visitabili i nostri spazi il prima possibile e soprattutto aprire alla città con un gesto: il primo giorno di apertura infatti sarà gratuito per la cittadinanza veneziana, mentre il biglietto di ingresso sarà ridotto per tutti.
Contiamo poi di riprendere a settembre le attività del Teatrino di Palazzo Grassi, sempre nel rispetto delle misure previste per garantire la sicurezza di tutti. L’idea rimane quella di agire nel campo della pluridisciplinarità e nel potenziamento delle politiche di totale accessibilità, aspetto che è sempre stato tenuto in altissima considerazione dall’istituzione.
Gli strumenti digitali, come si diceva, sono stati un buon salvagente durante il lockdown, sia per gli utenti sia, soprattutto, per musei e istituzioni, che hanno potuto mantenere vivo il dialogo con il proprio pubblico. Anche Palazzo Grassi e Punta della Dogana ne hanno fatto uso, con laboratori e appuntamenti online. Sfrutterete le potenzialità del digitale anche nel post pandemia?
Si parla molto degli strumenti digitali ormai necessari nella relazione tra visitatore e museo. Palazzo Grassi ‒ Punta della Dogana, in realtà, già da diversi anni attua politiche che considerano più pubblici che si differenziano anche per strumenti di relazione.
In questi mesi di confinamento, Palazzo Grassi ha proposto un programma sperimentale in rete per mantenere vivo il dialogo con la community digitale, ed è stato un vero e proprio successo. Abbiamo attivato una serie di azioni curate da protagonisti della creatività contemporanea e rivolte a cambiare prospettiva, a fare un esercizio di riflessione positiva condivisa con lo stesso pubblico. La produzione multimediale di Palazzo Grassi si è sempre mossa per arricchire questa relazione, rimanendo accanto al visitatore nella sua esperienza di visita, non sostituendola.
La relazione in questo modo si amplia, non si riduce: produrre contenuti fruibili dall’esterno, diffondere conoscenza e approfondimenti su temi diversi, aumenta i punti di incontro, non li esclude. L’incontro fisico tra visitatore e opera d’arte rimane però il cuore dell’esperienza e non può essere sostituito.
Il suo legame con l’Italia è di lunga data. Quali risorse crede possa avere questo Paese, e nello specifico Venezia, per rispondere a un’emergenza globale come quella che stiamo attraversando?
Sono un grande appassionato dell’Italia, della sua cultura, probabilmente a causa della lingua che ho imparato da autodidatta quando ero ancora un ragazzino, prima di perfezionare i miei studi in ambito universitario. Seguo regolarmente la scena artistica italiana e la sua vita politica e culturale, e sono convinto che la società italiana abbia le risorse necessarie per fronteggiare questa crisi, a partire proprio dal senso di comunità che oggi più che mai è un elemento di forza. L’Italia potrebbe indicare soluzioni alla crisi a livello europeo. Venezia è un caso a sé e potrebbe anche diventare un caso studio, a mio parere, nella ricerca di un’equazione, di un equilibrio tra sostenibilità economica, accoglienza e vivibilità per la cittadinanza. Il turismo è una risorsa a cui non può rinunciare, ma si tratta di riconoscere che la città accoglie anche tra l’altro università di altissimo livello, istituzioni di ricerca, centri di conservazione e produzione culturale, spazi espositivi che insieme formano una piattaforma per lo sviluppo di un pensiero innovativo e condiviso e attrarre anche nuovi residenti.
A Venezia la coesistenza così evidente tra storia e contemporaneo, tra passato e presente, tra locale e internazionale, può essere una delle risorse per la ripartenza. D’altra parte è stata proprio questa unicità del territorio a spingere François Pinault a creare qui il primo polo espositivo della sua Collezione in due spazi eccezionali, che si inseriscono in una rete museale ed espositiva di grande valore.
Durante la sua direzione di Villa Medici ha incentivato e sostenuto la produzione artistica contemporanea. Farà lo stesso a Palazzo Grassi, implementando quanto approntato dai suoi predecessori?
A Villa Medici, dove ho ricoperto l’incarico di direttore dal 1997 al 2002, abbiamo dato vita a una serie di esposizioni molto interessanti che in più occasioni hanno presentato il lavoro di artisti internazionali così come giovani italiane e italiani all’epoca ancora in via di affermazione. Anche in quel caso, mi trovavo a operare in un contesto molto caratterizzato dal punto di vista storico, ma pronto ad accogliere le sperimentazioni più contemporanee.
La missione di Palazzo Grassi – Punta della Dogana è quella di divulgare l’arte contemporanea attraverso la Collezione Pinault, una delle più importanti raccolte di opere contemporanee. Questo naturalmente non cambierà, sperimentando anche nuove formule espositive o nuovi progetti rivolti agli artisti più giovani.
In un periodo storico di forte incertezza come quello attuale, l’arte è ancora una fonte di ispirazione per analizzare il presente e costruire il futuro?
Sono assolutamente convinto che sia radicato nel fare arte il tentativo di porsi questioni del presente, ieri come oggi. Temi come l’ecologia, la lotta al razzismo, l’identità di genere, sono solo alcuni dei temi che molti artisti hanno sviluppato nella produzione e nella loro ricerca.
È facile ricordare molti esempi presenti anche nelle mostre a Punta della Dogana. Gli artisti sono consapevoli della posta in gioco, del potere del messaggio che veicolano, le loro opere possono essere militanti o poetiche, ma affrontano le sfide, le questioni più urgenti del nostro tempo. Lo stesso avviene nella letteratura, nel cinema, nella musica e così via.
L’arte di oggi parla all’uomo di oggi, non solo a un pubblico di esperti o addetti. Una sfida costante è quella di rendere efficace questo incontro ed è la nostra missione come istituzione culturale.
Come vede il mondo di domani?
Abbiamo visto il terrorismo, la crisi finanziaria e ora la crisi sanitaria entrare nelle nostre vite e stiamo imparando a vivere in un mondo in cui l’incertezza è dominante.
Di fronte a tutto ciò abbiamo due reazioni possibili: la prima è egoistica, rivolta alla protezione dei propri interessi e invita a un approccio nazionalista che conduce alle divisioni tra Paesi e tra popoli. La seconda è rivolta, per quanto possibile, alla costruzione di un ordine mondiale più stabile. Una sfida collettiva richiede un’azione collettiva, come per esempio nel caso dell’ecologia. La cultura può contribuire a rendere il mondo del futuro meno minaccioso o inquietante, grazie alla capacità che ha di superare le barriere universali e di creare legami: questo il pensiero che anima il mio e il nostro lavoro.
‒ Arianna Testino
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