Paolo Fabbri: semiotica e coerenza. Il ricordo di Renato Barilli
Il critico bolognese Renato Barilli ricorda l’amico e collega Paolo Fabbri, protagonista, insieme a lui, della grande stagione del DAMS di Bologna.
Se Carducci si assegnava un ruolo “postremo”, io non so a quale basso livello mi debba porre, ma certo, sul suo esempio, posso dire che “memore innovo e ai sepolcri canto”. Ora il mio commosso canto si rivolge all’appena scomparso Paolo Fabbri, a cui mi ha legato un curioso rapporto di concordia discors, o l’inverso, ma in un clima di amicizia fraterna mai venuta meno.
Lo avevo conosciuto nei lontani Anni Settanta per un comune destino urbinate, il mio avviato al matrimonio con una compagna di quel luogo, lui pure presente in quel posto sia per legami sentimentali sia per vicinanza a uno studioso come Pino Paioni, che in quei pressi, a Monte Cerignone, aveva creato una famosissima sede di incontri internazionali di semiotica, convincendo anche il grande Umberto Eco a prendervi pure lui dimora.
Io ho sempre battuto rotte diverse e avverse rispetto alla semiotica, il che però non è mai stato una ragione di dissidio proprio con Paolo, pur avviato a essere uno dei più brillanti e noti esponenti di quel fronte, subito adottato, non solo dal magno Umberto, ma anche da un nume parigino come Greimas, suo estimatore, anche se gli si deve una famosa battuta, di aver chiamato il nostro Paolo un “agraphe”, e in effetti a lungo egli ha esercitato soprattutto un magistero orale, con cui attirava a sé folle di allievi plaudenti, catturati dal suo fascino. Ma in seguito la formula non è più stata esatta, in quanto da lui è venuta una serie nutrita di saggi. Del resto, dal limitato orticello marchigiano Paolo aveva preso subito la via di Parigi, divenendone quasi un riconosciuto cittadino ufficiale.
DA PARIGI AL DAMS E RITORNO
Io frattanto facevo la mia strada al bolognese Dipartimento delle arti, dove, trovandomi nella posizione di direttore, non esitai a chiamare Fabbri, allora in cattedra a Palermo, proprio per affidargli l’insegnamento di Semiologia delle arti, in cui poteva congiungersi al maestro Eco. E tra noi condividemmo pure l’amore, l’adesione al famoso corso DAMS, Discipline dell’arte, della musica e dello spettacolo, del quale, mi dispiace togliere un titolo nella valanga di quanto spetta a Eco, lui non è mai stato il fondatore, ma solo un “chiamato” a cose fatte, un momento prima dello stesso Fabbri, e con una differenza, che l’Umberto nazionale in quel corso non ha mai creduto, tanto da andarsene via appena possibile, mentre Fabbri ha condiviso con me una piena adesione a esso fino a divenirne il Presidente. E in quella carica toccò proprio a lui celebrare il trentennale, nel 2001, della nostra nascita, illustrandolo col conferire a Joseph Kosuth una brillante laurea ad honorem. Poi gli arrivò la nomina a direttore del nostro Istituto di cultura di Parigi, riconoscimento sacrosanto, in quanto egli era già a pieno titolo un esponente della migliore cultura sulla Senna, pur mantenendo un piede nel DAMS. In quella carica fu subito generoso nei miei confronti, permettendomi di dedicare, nelle sale dell’Hotel de Gallifet, da lui restaurato, una mostra a Eliseo Mattiacci, talento anche lui urbinate, e anche un’altra in onore del Michetti, grande anticipatore della “morte dell’arte” a favore della fotografia.
Naturalmente noi due viaggiavamo ciascuno sul proprio cammino, io di fenomenologo degli stili e lui di semiologo. Se è vero che la coerenza è segno di mediocrità di intelletto, allora entrambi siamo stati due mediocri, mentre, se la genialità trova conferma nel cambiamenti, anche per questo verso si confermerebbe il genio di Umberto, mutevole quanto mai. Egli infatti a un certo punto si è stancato dell’impresa semiotica e l’ha lasciata cadere, Paolo è stato pronto a raccoglierla, con totale coerenza e continuità. Ma nello stesso tempo l’ha sempre praticata in modi larghi, fluidi, ben articolati, il che ha consentito che tra di noi ci potesse essere dialogo, scambio proficuo, visto che io a mia volta allargavo la mia fenomenologia di partenza in una più ampia concezione di scienza della cultura.
LOS ANGELES E RIMINI
Ci sarebbero tanti altri capitoli legati alla nostra amicizia, come quello che ci ha portato varie volte a Los Angeles, a dialogare con gli italianisti di quella sponda, come il romagnolo Massimo Ciavolella. E quanti begli incontri, in quella villa del riminese sulla strada di San Marino, dove già aveva soggiornato il fratello Gianni, andatosene prima di lui, e creatore della massima attrazione turistica della riviera adriatica, un vero e proprio “Paradiso” collinare, altro luogo in cui abbiamo celebrato le nostre comunioni, a un tempo spirituali e corporali, nutrite di buoni cibi. Come quando, esattamente un anno fa, già colpito dalla malattia, Paolo non ha rinunciato a venire all’inaugurazione di una mia mostra, di ritorno a un vecchio amore per la pittura. Gli avevo anche chiesto nell’occasione di inviarmi una sua foto per ricavarne il ritratto, ma purtroppo per questo rito è mancato il tempo.
‒ Renato Barilli
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