“’Beeline’ è uno statement per comunicare quello che il MAAT può e deve fare, è una intercapedine temporale nello shift tra vecchio e nuovo”, afferma con decisione Beatrice Leanza, da settembre 2019 direttore esecutivo del MAAT di Lisbona. Beeline è una dichiarazione: è la via più breve tra due punti, immediata, reticolare, sintetica. È una connessione di percorsi, ma anche una rampa di lancio verso un museo del futuro.
Dal 10 giugno il MAAT ha cambiato passo, e a sottolineare la nuova genesi, coincisa con la riapertura dopo l’emergenza sanitaria, è stato chiamato lo studio SO-IL con un allestimento che prelude a una rivoluzione e che stravolge la percezione e gli spazi della struttura.
Attivo a New York dal 2008 e frutto dell’unione tra gli architetti Jing Liu e Florian Idenburg, SO-IL incarna un cosmopolitismo contemporaneo e democratico, attento alle istanze delle comunità in contesti urbani in continuo mutamento: propone “architettura temporanea come alignment”, presa di posizione, e ritiene che essa possa riconnettere gli abitanti con il loro ambiente. Noto nel mondo dell’arte per aver progettato la struttura della prima edizione di Frieze Art Fair a New York nel 2012, SO-IL ha lavorato in decine di contesti tra Oriente e Occidente (anche a Milano nel 2017 con Breathe, prototipo di abitazione ecologica), e interviene al MAAT con un progetto che ridisegna la geometria interna dello spazio dell’edificio concepito dallo studio britannico di Amanda Levete che, come un uovo primordiale, con la sua forma ha la forza potenziale di contenere e sprigionare energia. L’intervento, non invasivo ma pervasivo, interrompe la tradizionale circolazione del visitatore che accede alla peculiare struttura ellittica, permettendo una fruizione dello spazio divergente e a suo modo sovversiva: ponti, camminamenti, scale, reti e leggerissime pareti divisorie connettono punti antitetici e creano ambienti, e una nuova porta posteriore, che si apre verso la città, dà una dinamica diversa all’esperienza della visita.
DA VISITATORI AD ABITANTI NEL “NUOVO” MAAT
Non è un labirinto che confonde, ma una nuova prospettiva che chiarifica e accoglie. All’interno di Beeline trova spazio l’idea di un museo vivo e attivamente vissuto: angoli di studio, spazi di aggregazione, luoghi di incontro e dibattito sono fluidamente incorporati alle aree espositive, per chi, accedendo, si trasforma da visitatore ad abitante. L’esperienza sensoriale è resa ancora più immersiva da Extintion calls, un intervento di sound art di Claudia Martinho che diffonde canti, in registrazioni di repertorio, di uccelli ormai estinti, mentre un’idea delle potenzialità di ricerca artistica insite nel MAAT ce la dà il particolare allestimento di PeepShow: piccole cabine il cui interno è visibile solo attraverso una fessura ospitano progetti pilota degli artisti presenti nella collezione del museo, teaser per mostre che forse non verranno mai realizzate ma che occupano lo spazio virtuale di ciò che potrebbe essere; scelta visionaria o lungimirante, ci parla comunque di una precisa e lucida visione del museo futuro. Né mancano spazi dedicati al design industriale, componente imprescindibile del MAAT, istituzione ibrida e molto giovane che aveva bisogno di fare un po’ di ordine.
LE DUE ANIME DEL MAAT
È piuttosto recente il MAAT, e batte con due cuori dal 2016: quello contemporaneo, descritto sopra, icona di una città che cambia nel presente, e quello storico in “Central Tejo”, la centrale elettrica, delizia architettonica degli inizi del Novecento, propulsore della città che cambiava nel passato. Beatrice Leanza ha rilevato con consapevolezza questa vulnerabilità: “C’era desiderio di trasformazione. Non sono solo due edifici estremi nel tempo (un secolo li separa), ma un pezzo della città, e va creata una connessione tra il sito e il resto di essa. Sono due edifici, ed è necessario trovare una integrazione in grado di utilizzare il linguaggio storico conservato nell’architettura e nel paesaggio. Ripensare come questa struttura comunichi tutto questo, riflettere sulla sua identità, dotarsi degli strumenti giusti per comunicare”.
Una descoberta a ritroso per un’occidentale che torna da est: Leanza porta in Europa la propria esperienza maturata in Cina tra design, arte, architettura e un forte sguardo verso le trasformazioni urbanistiche e sociali delle realtà umane in evoluzione, per fare del museo che le è stato affidato “non un deposito di conoscenze, ma una macchina di conoscenza, che interagisce con i vari temi culturali per mostrare cosa avverrà”.
MAAT MODE: PROTOTIPO DI UN MUSEO
Da qui nasce “MAAT MODE”, un nuovo corso per un museo proiettato verso l’avvenire, ma saldamente agganciato al vivere contemporaneo della città: “MAAT MODE è un embodyment, una incarnazione di questo metodo di azione. È il metaprogetto del museo futuro, che abbiamo infatti sottotitolato ‘prototyping the museum’”. MAAT MODE è una nuova maniera di essere accolti e divenire parte integrante del museo, non semplice audience ma utenza attiva: per sei mesi saranno messe in campo esperienze di partecipazione del pubblico attraverso un programma di talk e altri eventi che indagano il ruolo delle istituzioni culturali e immaginano il museo del futuro. Al suo primo mese di vita MAAT MODE ha già registrato una calda accoglienza dalla cittadinanza, proponendosi subito come l’idea che delinea una nuova concezione.
UNA CASA PER NAVIGARE IL PRESENTE
Non solo nel corpo bipartito è la dicotomia di questa istituzione, ma nell’anima: l’acronimo non parla solo di Arte, ma anche di Architettura e Tecnologia, tre aree cardine del presente, tre mondi da tenere in connessione; l’obiettivo è “creare un programma che utilizzi queste tre aree di conoscenza come strumenti per navigare la complessità del presente che viviamo, che collabori con i ‘gestori’ del presente, che investa sulla collettività… Il museo deve essere capito e vissuto in varie temporalità, essere dinamico”. E non può prescindere dal patrimonio che conserva e che lo caratterizza: una presa di responsabilità che parte dalla concretezza di ciò che un museo possiede ed è chiamato a difendere e a diffondere per renderlo forza critica e generante su cui innestare collaborazioni, ricerche, sviluppi, perché diventi “la casa di una programmazione dettata per navigare il presente”. Del resto, continua a spiegare Leanza, “è urgente che le istituzioni di cultura onestamente prendano atto di come si devono trasformare in un mondo che si trasforma. Ciò che è pubblico ha l’obbligo di rispondere a questa esigenza.” Il nuovo direttore non raccoglie una sfida, piuttosto la lancia.
‒ Valeria Carnevali
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