Ricordo di un uomo geniale, l’editore Luigi Spagnol

L’affettuoso ricordo di Demetrio Paparoni del geniale editore Luigi Spagnol, a cui si devono bestseller come “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” di Luis Sepúlveda e la celebrata saga “Harry Potter” di J. K. Rowling.

Il 14 giugno Luigi Spagnol ci ha lasciati. Aveva 59 anni. Qualche mese prima aveva dipinto un mio ritratto e me lo aveva regalato. Era cosciente del possibile esito della sua malattia e, a pensarci oggi, quel gesto è stato una commovente manifestazione di affetto. Vorrei qui ricordare qualche momento della nostra amicizia che, oltre a raccontare la sua passione per l’arte, testimonia anche il suo rigore di intellettuale e di editore.
Nell’agosto del 2002 Luigi venne a trovarmi a Siracusa, dove rimase due settimane circa. Da lì, insieme alla mia famiglia avremmo raggiunto la sua a Cannitello, in Calabria. I miei amici Paolo e Sabrina, con cui Luigi strinse amicizia, gli misero a disposizione una grande stanza in una vecchia fornace del Settecento che avevano affittato con l’intento di rinnovare, con l’aiuto di bravi artisti siciliani, la tradizione della nostra ceramica. Lì Luigi dipinse un’opera di grandi dimensioni su lastra di rame, lavoro che poi lasciò in dono a Paolo e Sabrina. Fece anche diversi paesaggi, sempre su lastre di rame, e quattro o forse cinque dipinti su pietra lavica ceramicata a mille e cento gradi. Quei lavori, insieme ad altri realizzati a Milano, furono poi esposti alla Galleria Reale di Brescia – a mia memoria sua unica mostra – accompagnata da un catalogo con una introduzione di uno dei più stimati critici americani, David Carrier, e con una lunga conversazione con me.
A Siracusa Luigi alloggiava al Gutkowski, un piccolo albergo con vista sul mare a Ortigia. Paolo o io andavamo a prenderlo ogni mattina per fare colazione insieme e accompagnarlo alla fornace, dove aveva allestito il suo studio temporaneo. Quasi tutte le sere cenavamo nella terrazza sul mare della villa di Paolo e Sabrina, al Plemmirio.
Quando non dipingeva o non stava con noi, Luigi leggeva. Leggere, oltre a essere una delle sue passioni, era anche il suo lavoro. A entrambi il mare piaceva guardarlo da lontano e entrambi rifiutavamo gli inviti di Paolo a prendere il largo in barca. Di giorno, quando Luigi dipingeva, io me ne stavo a casa a scrivere. Stavo lavorando da tempo a un romanzo. Il titolo, Salto del Corvo, faceva riferimento a un luogo realmente esistente sull’Etna dove, mi ero inventato, quattro ragazzi erano soliti andare in vacanza d’estate con le famiglie quando erano bambini. Ormai adulti, decidono di rivedersi. L’invito, sollecitato da uno dei quattro che intanto era diventato un artista di successo, nascondeva un mistero. Degli altri amici, uno era diventato un musicista, l’unica donna del gruppo lavorava come restauratrice e aveva progettato di piazzare un suo falso in un museo – non per speculazione economica e neppure per puro divertimento: il suo progetto aveva solide motivazioni legate alla sua concezione dell’arte. Il quarto del gruppo insegnava in un istituto d’arte. Ogni qualvolta raccontavo a un amico quella storia constatavo interesse e ricevevo apprezzamenti, sicché, come accade alla maggior parte dei romanzieri neofiti, pensavo di aver imboccato la strada giusta. Di lì a poco avrei imparato che una cosa è il racconto orale, ben altra è la scrittura.
Che non fosse scontato che un saggista possa essere anche romanziere o poeta lo sapevo, ma quando ti innamori di quello che stai scrivendo questa consapevolezza la perdi. Che fine hanno fatto le oltre trecentomila battute scritte in più di un anno lavorando a tempo pieno, con grande spreco di energia e a discapito della mia economia? Cestinate. Allora però non potevo immaginare che sarebbe finita in quel modo. Ero gasato dall’idea di scrivere un romanzo, mi divertiva farlo e, a ben pensarci, visto il piacere che questo mi ha dato al momento, non sono pentito di averlo fatto. Sicuramente da quella esperienza ho imparato molte cose sulla scrittura, sul rispetto che devi al lettore, sulla necessità di catturare la sua attenzione, di non annoiarlo, di non perderti in frasi criptiche e troppo lunghe, di tagliare i luoghi comuni e le frasi fatte. Comunque sia, la storia che mi ero inventato e che andavo arricchendo di particolari mi piaceva e già immaginavo la versione cinematografica che se ne sarebbe ricavata.

Luigi Spagnol, Senza titolo, 2000, olio su tela, cm 100x79,5

Luigi Spagnol, Senza titolo, 2020, olio su tela, cm 100×79,5

L’AMICIZIA FRA PAPARONI E SPAGNOL

Arrivo al dunque. Qualche giorno prima di partire per Cannitello diedi il dattiloscritto a Spagnol, chiedendogli di leggerlo. Mi aspettavo che lo avrebbe pubblicato. Qualche giorno dopo, dal momento che non mi diceva nulla, gli chiesi cosa pensasse del mio romanzo. Luigi si fece serio e guardandomi negli occhi disse lapidario: “È l’equivalente di un paesaggio dipinto con colori sbiaditi”. Me lo ricordo come fosse ieri. Ci rimasi male. Ovvio. Com’è ovvio che lui questo lo percepì subito. “Ho perso un altro amico?!” disse. Non si capiva se la sua fosse una domanda o una considerazione. Si sbagliava. Avevo detto talmente tanti “no” ad artisti con cui avevo condiviso un’amicizia, perdendola, che mi feci presto una ragione di quel rifiuto. Nello stesso tempo quella bocciatura diede una svolta alla mia vita: tornai a tempo pieno alla mia attività di critico d’arte e di curatore.
Quelle poche volte che mi capita tra le mani un romanzo scritto da un critico d’arte il pensiero che mi viene in mente è sempre lo stesso: grazie Luigi per avermi evitato una figura di merda. Non so se quel rifiuto mirasse a tutelarmi, certamente rispondeva a un’etica professionale e io questo lo apprezzai allora e l’ho apprezzato sempre più nel tempo. Sapevo bene che l’unica strada possibile per capire se il mio romanzo meritava la pubblicazione era avere l’approvazione di un editore vero. E chi meglio di Luigi, che nella sua geniale carriera di editore aveva già allora tirato fuori dal cilindro diversi titoli che avevano venduto oltre il milione di copie? Ci sarebbe molto da dire sul suo intuito, e molto hanno già detto la stampa e la televisione italiana alla sua morte, ma per chi non lo sapesse è stato Luigi a “inventare” e “costruire” il successo del libro di Luis Sepúlveda Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, che ha avuto le vendite che ha avuto solo in Italia; è stato Luigi il primo a comprare in Italia di diritti dell’intera saga di Harry Potter, mettendo sotto contratto J. K. Rowling per l’intera serie, ed è stato sempre Luigi a intuire che Cotto e Mangiato di Benedetta Parodi potesse diventare un bestseller, rivitalizzando così un intero settore editoriale.
Con Luigi ci siamo scambiati non so quanti messaggi anche su argomenti seri e i suoi commenti mi sono stati spesso di aiuto per mettere a fuoco i temi su cui stavo scrivendo. Più di una volta ha scritto su Tema Celeste – la rivista che ho diretto per circa vent’anni – dei testi da opinionista ai quali si chiedeva di essere tanto brevi quanto brillanti. “Se tu non me lo avessi chiesto, probabilmente non avrei mai saputo di essere in grado di scriverli”, mi ha detto più di una volta a distanza di anni, sorprendendomi. Se penso alla mole di lavoro svolto in casa editrice mi chiedo come abbia fatto a trovare il tempo per scrivere quei testi, e per dipingere, e per andare a lezione di piano, e per leggere. E anche per giocare alla playstation con suo figlio e qualche volta anche con il mio.
Tra i tanti ricordi che affiorano c’è quello legato alla presentazione della monografia di Ettore Sottsass, edita nel 2002 in una collana da me curata. Io e Sottass gli chiedemmo di essere uno dei relatori. Accettò. Situazione alquanto anomala, trattandosi di un editore che presentava il libro pubblicato da un altro editore.

SPAGNOL E LA PITTURA

Luigi ha passato gli ultimi mesi della sua vita andando ogni giorno in studio a dipingere, senza rinunciare per questo al lavoro per la casa editrice quando necessario o a partecipare alle riunioni che a causa della pandemia si svolgevano per via telematica. Il 14 maggio, nel corso di una lunga conversazione via WhatsApp mi scrisse, tra l’altro: “Sto dipingendo moltissimo. Forse è da quando ero studente che non lo facevo con tanta continuità. Ho preso il nuovo studio, a cinque minuti da casa, uno spazio immenso e molto bello (con le luci artificiali funziona benissimo). Ci vengo tutti i giorni, mi ha proprio cambiato la vita. Quindi niente carta e niente acrilici: olio e tela, aaaah!” Sapevo che stava lavorando a ritratti di sconosciuti a partire da scatti rubati per strada. Due settimane dopo tornai a chiedergli di mostrarmi i quadri ai quali stava lavorando. “Come ti ho già detto,” rispose “devi avere pazienza. Ho bisogno di avere più quadri prima di farteli vedere. Ma arriveranno…”.
Quei quadri li ho visti dal vero solo qualche giorno fa nel suo studio. Sono belli. Viene fuori tutta la sua passione per l’Espressionismo e per la Nuova oggettività, per Beckmann (il suo preferito in assoluto), per Matisse, per El Greco, ma anche per Scully. Tra i quadri che non mi aveva mai mostrato ce ne sono anche alcuni recenti sulla cui superficie aleggia discreto lo spirito di Munch, sicuramente dipinti al rientro dai suoi viaggi a Oslo. Con sorpresa ho trovato anche una serie di autoritratti di grande intensità. Per realizzarli Luigi ha prima disegnato su dei fogli 50 x 70 cm circa la sua figura, guardandosi allo specchio senza mai volgere gli occhi verso il foglio. A partire da questi disegni ha poi trasposto a olio il soggetto sulla tela. Nessuno di questi lavori è firmato, né ha un titolo.
Con Luigi abbiamo condiviso l’amicizia di Saturnino che, oltre a essere il miglior bassista del mondo, è anche una gran bella persona. Una volta rimproveravo scherzosamente a Luigi di prestare più attenzione alle opinioni di Sat che alle mie. “Devi fartene una ragione,” mi ha detto “lui è un guru, tu no”. E un guru Sat deve esserlo davvero, se penso che una sera di circa quindici anni fa riuscì a convincere entrambi ad andare con lui al Plastique, unica volta nella mia vita e in quella di Luigi. Lì, mentre Sat scambiava battute con chiunque, noi ce ne stemmo tutto il tempo seminascosti in un angolo a guardare la gente divertirsi con una musica martellante che a me tutto sommato non dispiaceva, ma che sapevo per certo che lui, ascoltando solo musica classica, non sopportava.
Non ho inteso qui idealizzare la figura di Luigi Spagnol. Quel che mi preme dire è che nella vita non capita spesso di incontrare e frequentare persone capaci di sorprenderti e di trasmetterti una grande energia. Nel ricordarlo provo un misto di tristezza e di gioia. La tristezza per una perdita che mi pesa dentro e la gioia di aver condiviso l’amicizia di una persona fuori dal comune.

Demetrio Paparoni

www.maurispagnol.it

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati