140 anni fa nasceva Apollinaire, enfant terrible della modernità
Poeta, scrittore, critico d’arte, Guillaume Apollinaire fu fondamentale per lo sviluppo dell’arte moderna europea. A centoquarant’anni dalla nascita, un ricordo di questa figura chiave.
Poeta, scrittore, critico d’arte, Guillaume Apollinaire (nom de plume di Wilhelm Albert Włodzimierz Apollinaris de Wąż-Kostrowicki, Roma, 1880 – Parigi, 1918) fu un personaggio poliedrico ed enigmatico, fondamentale per lo sviluppo dell’arte moderna europea.
DA ROMA A PARIGI
Giorgio de Chirico lo celebrò come un eroe classico, ma con gli occhiali scuri come per celebrare il mistero di chi si fa interprete della complessità poetica del nuovo secolo. E sullo sfondo, completamente nero, il profilo del poeta in divisa militare, a simboleggiare due epoche della sua vita. Il fratello Alberto Savinio, invece, lo immortalò nove anni dopo la scomparsa, con la malinconia di un patrizio romano della decadenza.
E decadente, a suo modo, Apollinaire lo era davvero. Nato in un mondo che la Grande Guerra avrebbe definitivamente spazzato via, le sue origini sono romantiche e patetiche insieme: era infatti il figlio naturale di un ufficiale borbonico (ma di lontanissime origini svizzere) Francesco Flugi d’Aspermont (poi divenuto d’Aspremont) e della nobildonna polacca naturalizzata russa Angelika de Wąż-Kostrowicki. E forse fu per reazione contro la congiuntura storica che non gli permise mai di conoscere appieno quelle radici, che nella sua esistenza cercò spasmodicamente il nuovo, la modernità, che in quell’epoca di transizione e sconvolgimenti sgorgava quasi con violenza.
Il caso lo fece nascere a Roma, all’epoca ancora ricettacolo di avventurieri e nobili spiantati, dove i suoi s’incontrarono, ma dopo la separazione dei genitori vagò per la Francia al seguito della madre. Parigi, all’epoca capitale mondiale della cultura, era una meta obbligata; ai primi del Novecento vi nacquero diverse avanguardie europee, Cubismo e Futurismo su tutte; e de Chirico consolidò qui, fra il 1911 e il 1912, la sua propensione per la Metafisica. Apollinaire seppe intuire le nuove direzioni dell’arte, riconobbe quei talenti che potevano percorrerle e li incoraggiò a proseguire nel loro lavoro e parlandone come critico sui giornali. Picasso, Derain, Vlaminck, Marinetti e gli Italiens de Paris, gli devono molto, e con essi l’arte europea.
IL TEATRO, LA POESIA, LE AVANGUARDIE, LA GUERRA
Apollinaire fu un avventuriero della cultura, un cavaliere errante fra discipline diverse, come se quegli anni di continui rivolgimenti obbligassero anche lui a incessanti peregrinazioni. Fondò la rivista Les soirées de Paris, fu cultore di mitologia celtica e bretone, della Cabala e dell’astrologia e scrisse anche alcune commedie teatrali sullo stile di Alfred Jarry, ovvero dissacranti, spiazzanti, allusive, con riferimenti erotici decisamente sopra le righe. Ma Apollinaire fu soprattutto un poeta, dapprima guardando all’ultimo scorcio dell’Ottocento, e poi cercando un punto di contatto fra la parola e l’immagine, in un momento storico in cui l’arte visiva inglobava i concetti di velocità, dinamismo, simultaneità. La prima, importante rottura si ebbe con Alcools, la raccolta del 1913 in cui la sequenza temporale si dissolve e situazioni surreali si parano davanti ai lettori come un fiotto di vino in un’orgia bacchica. Ma la musicalità che ne risulta cela in realtà tematiche malinconiche e oniriche, intrise di solitudine e nostalgia.
L’anno successivo, in coerenza con il suo “credo futurista”, giudicando la guerra “un grand spectacle“, Apollinaire si arruolò volontario; artigliere nel 38° reggimento, combatté sul fronte occidentale con il grado di Sottotenente, ma nel 1916 venne ferito a una tempia da una scheggia di granata e subì un complesso intervento chirurgico al cranio. Non tornò più al fronte, si rifugiò ancora nella poesia, e proprio l’esperienza della guerra gli ispirò versi che ricordano Ungaretti, intrisi della medesima pietà; basta questa strofa di Ombra per carpirne l’essenza: “Eccovi di nuovo accanto a me // Ricordi dei miei compagni morti in guerra // L’oliva del tempo // Ricordi che ne fate uno solo // Come cento pelli fanno un solo mantello“. Fu uno dei suoi ultimi componimenti che ancora seguivano la tradizione, perché la Grande Guerra aveva spazzato via un’era e una civiltà, e la rivoluzione industriale si era definitivamente affermata.
Nel suo ultimo anno di vita, Apollinaire ripensò la poesia, con furia modernizzatrice eliminò la punteggiatura, adottò il verso libero; nacquero così i Calligrammes, poesie figurate che, pur rifacendosi ai technopaegnia alessandrini e ai carmi figurati medievali che decoravano i vari Liber Mundi, costituivano in poesia l’equivalente della musica concreta, un mezzo per affermare una visione globale della parola scritta. E poiché il gesto artistico resta impresso sulla pagina, ecco che nasce il concetto di riproducibilità dell’opera d’arte. Ma i Caligrammes sono anche un mezzo per “dinamicizzare”, nell’era del cinema e della velocità, la parola scritta. Quindi, assieme ai futuristi, di cui è grande sostenitore, Apollinaire getta anche le prime basi dell’arte cinetica, di cui purtroppo non potrà vedere gli sviluppi. Morì infatti a Parigi, pochi giorni dopo la fine della Grande Guerra, ucciso dalla spagnola.
APOLLINAIRE SURREALISTA ANTE LITTERAM
Apollinaire non fu soltanto uomo di lettere. Una decina di anni fa, l’editore francese Buchet/Chastel ha pubblicato un quaderno di bozzetti e disegni di Apollinaire, a matita e all’acquerello, sinora poco noti. Caricature, ritratti, paesaggi, animali reali e fantastici, cavalieri erranti, corpi umani dalle anatomia quasi zoomorfe; dalle prove dell’adolescenza fino ai lavori della maturità nel 1917, quando era convalescente in ospedale per le ferite riportate in guerra, un immaginario onirico, grottesco, erotico, che rivela l’amore per l’umanità e la natura, disegnato in oltre venti anni, ma soprattutto lascia capire come contengano interessanti anticipazioni di quello che sarà il Surrealismo.
Un bestiario sociale che, in maniera leggermente più ironica rispetto a Schiele, racconta una società in crisi, che stava perdendo i suoi valori di riferimento sopraffatta da un approccio distorto alla modernità, che si tradusse in nazionalismo esasperato, violenza e massificazione.
– Niccolò Lucarelli
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