Maurizio Calvesi, appassionato militante. Il ricordo di Laura Cherubini

Laura Cherubini, allieva di Maurizio Calvesi, ricorda il grande storico dell’arte scomparso poche settimane fa. Ripercorrendone le vicende private e pubbliche.

Ma la esse sarà maiuscola o minuscola?  Sarà “savoir” o “Savoir”? Marcel Duchamp avrà fatto dell’alchimia “senza saperlo”, come sostiene Arturo Schwarz, o “senza il Sapere”, cioè senza la vera Sapienza, come sostiene Maurizio Calvesi (Roma, 1927-2020)? La prima cosa è abbastanza improbabile, visto che Duchamp lavorava alla Bibliotheque Sainte Géneviève, cioè la biblioteca “magica” di Parigi. La seconda è ciò che qualunque iniziato avrebbe risposto. Il dilemma appassionava noi giovani studiosi lettori del Duchamp invisibile di Calvesi (più recentemente riproposto in una bella edizione da Maretti).
Mi sono laureata con Maurizio Calvesi, ormai molti, molti anni fa. Mi sostenne molto per la tesi (e per il 110 e lode), una tesi sull’ultima opera pubblicata da Giordano Bruno che avevo collegato a tutta la tradizione della letteratura delle immagini, una tesi di iconologia, il suo argomento principe. Ero stata allieva di Giulio Carlo Argan e avevo lavorato con Maurizio Fagiolo dell’Arco. Calvesi lo ricordo la prima volta con il grande Mario Merz alla GNAM di Roma alle conferenze che Palma Bucarelli organizzava la domenica mattina. Colsi subito quindi la sua profonda contemporaneità, pur essendo prettamente un vero storico dell’arte, quasi più di chiunque altro. Più avanti lo vedevo talvolta con la sua simpaticissima moglie Augusta Monferini (poi direttrice della GNAM) e con Achille Bonito Oliva (i due erano molto amici allora). A volte pranzavamo al Pallaro la domenica. In seguito ho visto lui e Augusta con Gino De Dominicis. Avevano una passione per i gatti (da me condivisa), erano arrivati ad averne nove se non sbaglio. Avevano dato loro, con un tocco di snobismo, nomi di architetti neoclassici: Lodoli, Milizia, Scalfarotto. Scalfarotto era un gattone rosso protagonista di una grande avventura o meglio disavventura. Maurizio e Augusta andavano in vacanza a Tropea, arrivavano con il treno dove Augusta prendeva uno scompartimento per i gatti, e lì a Tropea Scalfarotto fu rapito. Lo cercarono ovunque, quando alla fine dovettero ripartire incaricarono il parroco di tenere aperto se possibile un contatto con i rapitori. Appena tornati a Roma ricevettero un telegramma: “Scalfarotto recuperato vivo” e dovettero riprecipitarsi in Calabria con i soldi per il riscatto. Ci raccontarono la storia alle Colline Emiliane, io e Gino ridevamo fino alle lacrime. Anche Augusta teneva un corso a Lettere, molto erudito, ma lei era spiritosissima e penso di non aver mai riso tanto in un’aula universitaria come quando ci faceva l’imitazione di Franceschetto Cibo.

LE PAROLE DI MAURIZIO CALVESI

Con Maurizio avevo seguito il corso su Piero della Francesca (molto polemico con Ginzburg e il suo Indagini su Piero) e quello mitico sul Polifilo di cui lui individuava l’autore in Francesco Colonna signore di Preneste (mentre alcuni pensavano a un veneto). Maurizio era fatto così, era romanocentrico (non che avesse tutti i torti), pensava ad esempio all’origine “romana” dell’Arte Povera, con Pascali e Kounellis.
Sentire congiunti due fenomeni giudicati invece divergenti e inconciliabili, l’arte del passato e quella del presente”, scriveva. “Mentre la favola alchemica dei quattro elementi mi forniva materia per una lettura dei ‘Capricci’ piranesiani, proprio negli stessi anni mi suggeriva un taglio di presentazione per la mostra ‘Fuoco Immagine Acqua Terra’ nella galleria romana dell’Attico (giugno 1967), dove apparve il fuoco di Jannis Kounellis con l’acqua e la terra di Pino Pascali, inaugurando la rivoluzionaria vicenda di quella che di lì a poco fu battezzata Arte Povera” e più avanti “Il mio interesse per Jung era tragittato attraverso Freud, come chiave di lettura per Burri” e ancora “Intitolando lo scritto su Dürer del 1969 ‘A noir (Melencolia I)’, intendevo, con lo ‘spregiudicato’ riferimento a Rimbaud sottolineare come il codice alchemico possa delineare alcuni aspetti della storia dell’arte come della poesia una costante psicologica e culturale”. Quello che interessa Calvesi è l’attraversamento, di tempi e discipline differenti. “Da relativizzare, ovviamente, nei diversi contesti”. Il contesto, sempre importantissimo nella sua indagine.

Calvesi ha attraversato tutta la storia dell’arte considerandola sempre tutta contemporanea”.

Ho sempre pensato comunque che fossero i fatti contemporanei a guidare in qualche modo l’interesse di Maurizio per l’arte antica. Le sue riletture nascevano anche dal modo di leggere l’antico degli artisti suoi contemporanei e amici e viceversa, in uno scambio continuo. Pensiamo al Futurismo e a Mario Schifano, alla metafisica dechirichiana e all’amore per essa di Ceroli, Paolini, Kounellis, Pisani. Dalla tesi su Simone Peterzano (il maestro di Caravaggio) agli studi sul primo Rinascimento a Roma e nel Lazio, a quelli su Caravaggio, a Duchamp, a Balla (da lui conosciuto da ragazzino), a Boccioni, a Burri, fino a Schifano, Angeli, Ceroli, Mauri… Calvesi ha attraversato tutta la storia dell’arte considerandola sempre tutta contemporanea. Mario Ceroli aveva progettato la celebre biblioteca lignea di casa Calvesi-Monferini. Fabio Mauri lo aveva coinvolto nella sua complessa performance Gran Serata Futurista, dove Maurizio Calvesi sedeva in prima fila indossando la maschera di se stesso. Alla commemorazione all’Università La Sapienza Caterina Volpi ha riferito il suo ultimo desiderio: “Spero che mi venga a trovare qualche artista!” rendendosi subito dopo conto che molti suoi amici artisti erano mancati prima di lui. Ma è stato soprattutto Lorenzo Canova a parlare dell’aspetto “contemporaneo” di Calvesi e a citare mostre come Fine dell’alchimia del 1970. Ora questa “contemporaneità” di Maurizio Calvesi viene riconosciuta con l’attribuzione del Leone d’oro alla Biennale di Venezia, a pochi giorni dalla scomparsa, insieme a Celant, Enwezor e Gregotti.

CALVESI E LA BIENNALE DI VENEZIA

A proposito di Celant, Maurizio diceva spesso: “I grandi critici sono del segno zodiacale della Vergine: io, Celant, Menna…”, a me faceva piacere perché anch’io, nel mio piccolo, sono della Vergine, però avevo dovuto fargli notare che Menna non era della Vergine, ma dello Scorpione, ma Maurizio non voleva crederci, diceva: “Ma non è possibile, è così analitico…”. Calvesi era stato per quattro anni direttore del settore arte della Biennale, realizzando le edizioni del 1984 (Arte allo Specchio) e del 1986 (Arte e scienza), dopo essere stato nel CdA dal 1979 al 1982 e nella Giuria internazionale (1968, 1988, 1997). Lo ricordo infuriarsi quando gli altri membri non condivisero la sua proposta di premiare il grande Anselm Kiefer, uno dei più grandi pittori di tutti i tempi. Viveva tutto con grande passione ed era questa passione a portarlo a grandi rotture e inimicizie, ma forse sarà proprio per questa passione contemporanea e militante che lo ricorderemo ancora di più.

Laura Cherubini

IN OMAGGIO A MAURIZIO CALVESI

Stefano Di Stasio
Lorenzo Canova
Ludovico Pratesi
Renato Barilli
Alberto Dambruoso
Antonello Tolve

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