La signora dell’arte. La mostra-omaggio a Bianca Attolico a Roma
Il Casino dei Principi di Villa Torlonia ospita circa sessanta opere provenienti dalla raccolta di Bianca Attolico. Dalle Avanguardie alle ultime tendenze, un’incredibile selezione di arte contemporanea.
Bianca Attolico (Roma, 1931-2020) è stata una autentica “signora dell’arte”, proprio come viene definita nel titolo della mostra a lei dedicata, curata dall’amico e collega Ludovico Pratesi.
“Il papà la portava alle mostre, lei era la primogenita di tre fratelli”, così racconta con affetto Pratesi. “Lei mi diceva che era stato il padre a insegnarle l’amore per l’arte”.
La mostra si distribuisce in diverse sale del Casino dei Principi di Villa Torlonia, un luogo simbolico poiché sede dell’Archivio della Scuola Romana, la corrente che costituisce proprio il punto d’avvio della collezione di Bianca Attolico. Qui, la ricca selezione di opere sapientemente scelte dal curatore ripropone l’atmosfera intima della dimora della grande mecenate, diventato il fulcro dell’arte romana per più di trent’anni. Il ricordo nostalgico per questa grande donna riecheggia in ogni singolo capolavoro esposto, frutto di una scelta mossa dalla passione e dalla conoscenza, e nella memoria di tutti quegli amici e colleghi che hanno partecipato ricordandone riflessioni e dibattiti di un passato non troppo lontano.
LE OPERE DALLA COLLEZIONE DI BIANCA ATTOLICO
Bianca Attolico si addentra nel mondo dell’arte grazie al padre Tommaso Lucherini, trovando una corrisposta liaison amoureuse a cui rimarrà legata per sempre. La prima sala che introduce alla sua collezione è da definirsi come il punto di partenza che attraversa un secolo di storia dell’arte, partendo proprio con le opere dei maestri della prima metà del XX secolo come de Chirico, Morandi – “comprato da Bianca all’asta e appartenuto a Robert Rauschenberg”, sottolinea Pratesi guidandoci nelle stanze e nella vita di Bianca Attolico ‒, Sironi e un Balla da togliere il fiato, sia nella composizione che nella particolare cornice. Si accostano a essi dipinti di alcuni protagonisti della Scuola Romana come Pirandello, Mafai, Ziveri, Ferrazzi, scelti insieme al padre, noto reumatologo, che iniziò a collezionare quadri durante la Seconda Guerra mondiale, seguendo l’attività di alcune gallerie, come la Galleria del Secolo.
GLI ANNI ’60 E IL MONDO DI BIANCA ATTOLICO
Il mecenatismo di Bianca Attolico era ponderato e, allo stesso tempo aperto, vario. Compra le sue prime opere autonomamente intorno agli Anni Sessanta, e “inizia a frequentare gli artisti a Roma, diventando amica di Mario Schifano”, come ci ricorda Pratesi. Conosce e frequenta gli studi di artisti come Jannis Kounellis e Pino Pascali. Successivamente acquista opere che si distaccano dalla pittura per abbracciare esperienze concettuali e poveriste. Entrano in collezione artisti come Piero Manzoni, Enrico Castellani, Joseph Kosuth, Gino De Dominicis, Pier Paolo Calzolari e Sol LeWitt. “Le opere erano accostate per assonanza”, così parla il curatore indicando la singolare quadreria. Negli Anni Ottanta si appassiona agli artisti della Scuola di San Lorenzo come Nunzio, Domenico Bianchi, Gianni Dessì e Bruno Ceccobelli, per proseguire con la fotografia, che comincia a seguire intorno al nuovo millennio, dopo aver guardato al lavoro di Francesco Vezzoli. Se in un primo momento la Attolico si rivolge ad artisti come Wolfgang Tillmans, Alfredo Jaar o Thomas Ruff, la sua attenzione è sempre rivolta verso le nuove e frizzanti generazioni. La collezione si apre infatti al mondo con le opere di Ian Tweedy, William Kentridge, Regina José Galindo, Santiago Sierra e Nicholas Hlobo, per citarne solo alcuni.
PAROLA A LUDOVICO PRATESI
Ad arricchire la mostra anche un susseguirsi di foto che la ritraggono in compagnia degli artisti che ha frequentato e da un video con le testimonianze degli amici più cari. Tra questi anche il curatore, nonché amico, Ludovico Pratesi condivide con Artribune un piccolo ricordo: “Ho incontrato Bianca alla fine degli Anni Ottanta. Mi aveva colpito la sua energia, abbinata a una buona dose di coraggio e molta passione. Per lei l’arte era un modus vivendi, che non si esauriva nell’acquisto dell’opera. Per lei l’opera era lo strumento per arrivare al pensiero dell’artista, che voleva comprendere e, nel caso, mettere in discussione. Un modus da condividere con gli amici, intorno a pranzi e cene che si trasformavano spesso in vivaci diatribe tra artisti, curatori, galleristi e altri collezionisti”.
‒ Valentina Muzi
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