Artista e ambasciatrice. Intervista a Silvia Giambrone
Con “Teatro anatomico” ha vinto la nona Biennale di Kaunas nel 2013 e nel 2016 è stata nominata ambasciatrice per Kaunas2022. Parliamo di Lituania con l’artista italiana Silvia Giambrone.
Qual è stata la tua impressione la prima volta che hai visitato la Lituania?
La prima esperienza in Lituania è stata per me molto significativa, non solo perché la sua storia interseca i momenti più cruciali della storia d’Europa, ma anche perché mi ha toccato profondamente il bisogno palpabile delle persone con cui ho collaborato di scrivere il proprio tempo presente e futuro attraverso i linguaggi dell’arte e della cultura, per emanciparsi da un passato complesso e trasformarlo in un presente consapevole. La sete di cultura che ho trovato in Lituania è qualcosa che in Italia si è placata da tempo e trovarmi a lavorare in questo contesto è stato gratificante e rivitalizzante.
Partendo da una lettura personale e identitaria, Teatro anatomico è riuscito a sollecitare temi particolarmente sensibili per la comunità lituana. Ce ne parli?
Teatro anatomico appartiene a una serie di opere sul ricamo ed è una performance influenzata dalle mie origini siciliane. Mi lasciavo cucire un colletto ricamato sulla pelle per far emergere il rapporto performativo esistente tra certe pratiche cosiddette femminili e le politiche dell’identità. In Lituania il colletto ricamato aveva un’altra storia, che non conoscevo inizialmente: durante l’occupazione sovietica era obbligatorio indossarlo a scuola, tanto che uno dei primi gesti di protesta contro l’occupazione è stato quello di toglierselo, strapparlo via praticamente e simbolicamente. Per cui Teatro anatomico ha rappresentato anche per loro un momento di verità, una verità ancora forse impronunciabile. Questa esperienza mi ha mostrato la natura ambigua della verità delle immagini. Jacques Lacan sosteneva che dire la verità è impossibile, sono le parole che mancano. L’esperienza artistica lituana invece mi ha fatto pensare che la verità esiste, ma è ubiqua. L’accordo tra l’arte e l’immaginazione impedisce alla verità la sua messianica pretesa di unicità.
KAUNAS CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA 2022
Che tipo di sistema artistico hai trovato in Lituania? Quali le tangenze o differenze rispetto a quello italiano?
Un sistema prevalentemente pubblico, qualche associazione e un grosso desiderio di rinnovamento da parte degli studenti nelle Accademie di Belle Arti. Si sentiva ancora molto la gabbia burocratica della macchina sovietica e i grossi sforzi per snellirla e renderla più dinamica. I musei, soprattutto a Kaunas, soffrivano ancora il fatto di essere strutture poco appropriate al contemporaneo, e questo è stato oggetto di riflessione da parte degli addetti ai lavori, che hanno fatto emergere il potenziale delle architetture storiche. Qualcosa che senza dubbio dovremmo fare anche in Italia. Penso che ci sia molto da imparare da Paesi come la Lituania, non ancora addomesticati alla cultura come intrattenimento o portatrice di status, come ormai sempre più accade da noi.
Qualche anticipazione su Kaunas Capitale Europea della Cultura 2022?
A partire dalla propria storia, Kaunas sta lavorando sul ripensare cosa significhi essere una città contemporanea, quali sono le vere istanze che definiscono il contemporaneo e come declinarle. È una sfida importante per una città che è stata una capitale temporanea e che si domanda cosa significhi passare a essere un centro di riflessione e di cultura contemporanea. L’aspetto performativo e il coinvolgimento della cittadinanza saranno centrali, perché per Kaunas l’arte ha una importante missione di ridefinizione identitaria ma senza perdere le peculiarità specifiche dell’arte, i suoi strumenti poetici ed estetici. Quello che Kaunas2022 ha messo al centro della propria missione è il quesito urgente che riguarda tutte le città d’Europa in un momento nel quale i valori costituenti sono in crisi, ovvero: cosa significa essere una capitale europea?
‒ Marta Silvi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #56
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