Caos, ordine e attualità. Intervista a Hermann Nitsch

Ordine e Disordine. Eros e Thanatos. In questo passaggio gianico tra un 2020 annus horribilis e un 2021 sospeso tra speranza e horror vacui di ciò che sarà, può accompagnarci una riflessione sull’arte di Hermann Nitsch, cantore dell’eterno polarismo tra cupio dissolvi e rigenerazione. Con una videointervista esclusiva e il ricordo della sua 158.aktion – Sinfonia Napoli 2020.

Visto Hermann Nitsch (Vienna, 1938), hai visto la Vita. I suoi quadri agiti di tragedia e fecondità non taceranno indifferenti negli occhi e nella memoria di chi, trovandosi nelle onde dell’umana condizione, si sorprenderà poi a ricordarli, rinvenendovi assonanze con momenti di vissuto intenso che si ritroverà ad affrontare.
Per me anche le tragedie sono importanti nella vita, e anche dalla tragedia può nascere vita. Le parole rivelateci dal padre dell’Azionismo viennese, incontrato in occasione della sua 158.aktion – Sinfonia Napoli, dedicata lo scorso settembre al partenopeo Museo Nitsch di Peppe Morra nel breve respiro tra un’ondata pandemica e l’altra, risuonano oggi, in giorni di impotenza, speranze, e polemiche, come traccia e ammonimento.
Innanzitutto, di come lo status antropico sia di per sé in bilico tra lo sturm und drang decadentemente postromantico della perdita di controllo e dilagare degli istinti da un lato, e l’incorniciamento ferreo di forze contenenti dall’altro: espressi entrambi dai contrasti – o meglio dinamica di fertile dialettica – delle sue scene, “create ciascuna come se fosse un quadro”.    
Anche l’aktion partenopea infatti, fedele al suo linguaggio ormai consacrato, invera un Sacre du Printemps che icastizza l’arte e l’esistenza secondo Nitsch: la necessità degli istinti ‒ tanto la libido vivendi quanto il cupio dissolvi ‒ di agire, essere illuminati e riconosciuti, ma al tempo stesso il loro bisogno, per farlo, di una cornice contenente e sublimante, l’Estetica e la Ritualità. Applicate nel corpo sociale anche attraverso la ricerca di capri espiatori e vittime sacrificali. Violenza, sesso, generazione, distruzione, sono presenti nel suo Orgien Mysterien Theater, ma strettamente ritualizzati in un’architettura esatta e tranquillizzante per lo spettatore, che sa cosa aspettarsi.

Hermann Nitsch, 158.aktion (18.09.2020), Museo Archivio Laboratorio per le Arti Contemporanee Hermann Nitsch Napoli, photo A. Benestante © Fondazione Morra

Hermann Nitsch, 158.aktion (18.09.2020), Museo Archivio Laboratorio per le Arti Contemporanee Hermann Nitsch Napoli, photo A. Benestante © Fondazione Morra

L’AZIONE DI NITSCH A NAPOLI

Dionisiaco e apollineo si inseguono dunque anche nell’azione napoletana, composta da una decina di sequenze performative in cui dapprima si alternano in varie combinazioni crocifissioni (o citazioni dagli Apollo e Marsia di Ribera e Luca Giordano, non a caso presenti nel vicino Museo di Capodimonte) e salvataggi, uomo e donna, individualità e pluralità, nudità e investitura di tuniche candide, segnate e penetrate dal rosso di un sangue fecondativo come polline, che lava e nutre allargandosi con acqua, in un crescendo di musica e intensità. Mentre le tele a terra e gli assi di legno dell’impalcatura si imbibiscono sempre di più, come relitti e feticci, degli umori generativi del maschile e del femminile su cui i liquidi scorrono, di suono, di energia collettiva. Fino ad arrivare al parossismo di uno sparagmós bacchico e catartico di corpi e frutta, in ultimo purificato nell’innalzamento sacrale degli animi e di un ostensorio. Il tutto sotto l’occhio vigile del Maestro che non solo controlla, ma genera in fieri l’arte nel suo dispiegarsi.
E in questa orchestrazione esatta di regia e controllo, l’incorniciamento contenitivo degli istinti appare, più che il limite che preclude, quello che invece consente quanto non ci si potrebbe altrimenti concedere, se non ci fossero argini salvifici. La struttura che uomo e società si sono dati per pararsi dall’autocannibalismo, paradossalmente ma significativamente, finisce quasi per essere rimarcata dal Teatro di Nitsch, che ribadisce la necessità di contenimenti sentiti come borghesi ‒ soprattutto negli Anni Settanta delle sue origini ‒ nel momento stesso in cui li sfida, fino a limiti quasi sacrileghi. Così come del resto i suoi intenti di liberarsi dal mercato finiscono, negli esiti, per ricadervi, un po’ come nel destino di tutte le neoavanguardie.
Garanti dell’ordine davanti al dilagare del caos sono, nessuno escluso, tutti i protagonisti dell’azione: i “sacrificati”, spersonalizzati da bende che negano lo sguardo in corpi reificati e sacralizzati al tempo stesso, individuati e unificati dal fil rouge della linea di sangue, che restituisce loro differenziazione solo nel diverso fluire ed espandersi del liquido – con sperimentazione quasi poveristica delle forze fisiche – sulle diverse anatomie, attraversandone i chakra; gli officianti, anch’essi de-individualizzati in abiti bianchi, uniformati come innocenti angeli del destino, più che boia; l’orchestra – la Nuova Orchestra Scarlatti, con la potente direzione di Andrea Cusumano e il magistrale clarinetto di Gaetano Russo ‒ concrezione delle energie emotive ed esecutive, spesso lanciata all’inseguimento di un’unica nota, in un continuum wagneriano oscillante in crescendo tra meditativo (dall’Om all’attuale ASMR), inquietante, fomentante e liberatorio.

Hermann Nitsch, 158.aktion (18.09.2020), Museo Archivio Laboratorio per le Arti Contemporanee Hermann Nitsch Napoli, photo A. Benestante © Fondazione Morra

Hermann Nitsch, 158.aktion (18.09.2020), Museo Archivio Laboratorio per le Arti Contemporanee Hermann Nitsch Napoli, photo A. Benestante © Fondazione Morra

E – soprattutto – garanti dell’ordine sono gli spettatori, primo vero protagonista dell’aktion, canalizzatori d’energie del corpo sociale e di esso emblema, in disagio crescente davanti allo psicodramma delle conseguenze del caos, rese innocue nel rito della finzione artistica: vederle per liberarsene, o meglio integrarle, venirci a patti. Davanti alle aktionen di Nitsch ‒ come alle performance di Vanessa Beecroft ‒ avviene il copernicano fenomeno del rovesciamento dello sguardo, che dall’azione presentata finisce per rivolgersi sull’osservatore stesso, i suoi disagi, voyerismi, limiti, ma anche empatia e bisogno di ridefinizione identitaria: si guarda non solo l’azione, ma il sé, e si cercano gli sguardi degli altri spettatori in conforto dal comune senso di turbamento.
Ormai, le tuniche sono segnate di morte e di vita, la compromissione è completa. Eros e Thanatos, Śiva e Kālī sono pronti per la rinascita dopo la distruzione, l’aria è satura di odori di sangue, frutta, suoni, calore dei corpi: lungi dall’apparire una rievocazione o riproposizione di cliché ormai storicizzati, il rito e psicodramma multisensoriale artistico e collettivo di Nitsch riparte anche stavolta dal giorno zero dei tempi, interrogandone i nostri giorni, più che mai in cerca di strutture smarrite, in argine a un caos che sembra sfuggire di mano.
Come può la sua arte aiutarci a gestire tutto questo?
Lo chiediamo, in una videointervista esclusiva, agli occhi penetranti e mobili ‒ quasi un Chronos pompeiano ‒ dello stesso Hermann Nitsch. Che ci risponde non omettendo che ancora crede “nella vita, e nella creazione”.

Diana Gianquitto

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Diana Gianquitto

Diana Gianquitto

Sono un critico, curatore e docente d’arte contemporanea, ma prima di tutto sono un “addetto ai lavori” desideroso di trasmettere, a chi dentro questi “lavori” non è, la mia grande passione e gioia per tutto ciò che è creatività contemporanea.…

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