Sulla (giovane) arte italiana. Le riflessioni di Anna Mattirolo
La storica dell’arte Anna Mattirolo, co-direttrice delle Scuderie del Quirinale, fa il punto sul panorama dell’arte italiana, tra autori giovani e storicizzati.
Ha diretto il Museo MAXXI di Roma per dieci anni, sin dalla sua nascita nel 2005. Attualmente è alle Scuderie del Quirinale, prestigiosa sede espositiva capitolina in capo al neo-rinominato Ministero della Cultura. Con Anna Mattirolo abbiamo intessuto un dialogo per comprendere appieno l’impegno dell’Italia nei confronti dei propri artisti, siano essi giovani, mid career o storicizzati.
Spesso si individuano nella trinità composta da Vanessa Beecroft, Maurizio Cattelan e Rudolf Stingel gli ultimi rappresentanti di un’arte italiana che si fa notare all’estero e che viene riconosciuta globalmente. È una semplificazione?
Sì, lo è. Molti artisti italiani, anche tra i più giovani, hanno spesso scambi e opportunità all’estero, oltre al fatto che alcuni di loro vivono fuori dall’Italia. Proprio ora sono impegnata in una serie di giurie e continuo a vedere dai curricula quanti artisti abbiano o hanno ancora importanti esperienze all’estero.
Piuttosto è il sistema dei musei italiani che fa ancora fatica a lavorare in modo sistematico con artisti italiani. Per una serie di ragioni (spesso di natura economica) manca una programmazione determinata che metta in scena grandi mostre sui nostri artisti. Era una delle linee programmatiche che avevo impostato al MAXXI: ogni anno una mostra dedicata a un nostro artista mid career in una importante sala del museo, un tempo congruo per approfondire il progetto, un catalogo approfondito da far circolare per il mondo. È anche lì, nei nostri musei, che si aiuta un artista a crescere e a presentarsi in modo professionale, dando opportunità ed esercitando a fondo il ruolo curatoriale. Si può dire, di contro, che spesso ci sono istituzioni straniere pronte a sostenere i propri artisti fuori dai propri confini e dunque nei nostri musei, agevolando così programmazioni che da noi spesso mancano di risorse economiche adeguate.
Se allora il sistema è debole, tanto vale unire le forze. È pur vero che da noi a volte è difficile lavorare in sinergia con altri musei: molto dipende dalla loro stessa natura, che fa capo a enti diversi – statali, regionali, comunali o anche fondazioni – che trovano difficoltà a individuare modalità di collaborazione. Difficoltà che a volte dipende, però, anche dalla poca volontà di creare progetti comuni. Per la mia esperienza, ogni volta che ho potuto condividerne uno ho avuto risultati più che convincenti. Penso ad esempio all’apertura del MAXXI, che ha coinvolto sia la Galleria Nazionale che il Macro, oltre che tutto il sistema di gallerie della città. Insieme e con una programmazione coerente e diversificata, Roma si è aperta al mondo (e il mondo è arrivato) e di questo se ne è giovato l’intero sistema italiano. Penso anche alle mostre condivise con altri musei: tra le altre, quelle dedicate a Ugo Mulas, a Ettore Spalletti – quest’ultima suddivisa per temi e tipologie tra la GAM di Torino e il MADRE di Napoli –, a Michelangelo Pistoletto con il Philadelphia Museum of Art. Ognuna di queste occasioni, nonostante le complessità di realizzazione, ha favorito non poco quegli artisti, soprattutto in ambito internazionale.
Non va poi dimenticato il buon numero di curatori italiani a dirigere istituzioni internazionali di tutto rilievo: ognuno di loro, a quanto si vede, ha nella propria programmazione una parte dedicata all’arte italiana.
Un altro elemento che sovente viene citato è la scarsa rappresentanza di “giovani” artisti italiani nelle nostre stesse istituzioni: si citano le rare mostre personali di rilievo nei musei più importanti del Paese, lo scarso numero di artisti del Belpaese nella mostra internazionale della Biennale di Venezia, il Padiglione Italia collocato in una posizione sconveniente nella rassegna lagunare… Sono impressioni che rispondono al vero o sono frutto di vittimismo?
Anche qui c’è una buona dose di vittimismo. Questo è stato il tema con il quale mi sono confrontata per decenni. È stato il centro del mio lavoro fin dagli anni alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna: Partito Preso era un progetto dedicato esclusivamente alle giovani leve che riportavano il museo, dopo molti anni, a riaffacciarsi sulla contemporaneità più stringente. È stato così anche nel 2000 quando, con il primo Premio per la giovane arte italiana, il Centro nazionale per le arti contemporanee, il futuro MAXXI, batteva il primo colpo nelle vecchie officine di via Guido Reni appena consegnate e le opere dei 14 artisti vincitori sono state le prime pietre a costruire la futura collezione del museo. Oggi il premio ha compiuto dieci anni, come quelli appena compiuti dal MAXXI, e decine di professionisti di tutto il mondo hanno potuto osservare e giudicare la scena artistica italiana più giovane, e questo ha anche favorito successivi progetti internazionali per molti di loro. E, a ogni modo, i premi o le altre occasioni per presentare giovani artisti in Italia sono parecchie.
Credo che ai nostri artisti, soprattutto ai più giovani, occorra dare vere opportunità per presentarsi, lavorarci a lungo, seguirli con attenzione. Spesso si è peccato di una certa esterofilia e/o approfittato, come dicevo sopra, del supporto di istituzioni straniere in grado di sostenere, soprattutto economicamente, i loro artisti qui da noi. Non posso dimenticare gli anni attivi in Italia del British Council, quando ogni museo, galleria, fondazione presentava la scena artistica britannica. In Italia non eravamo certo pronti a scelte di politica culturale di quella portata, ma è indubbio che molte cose da allora sono cambiate in modo positivo anche qui da noi. Il panorama si è allargato a dismisura e la scena artistica si è aperta a mondi nuovi e c’è ancora molto da investigare. È perciò difficile oggi restringere il campo a un esclusivo scenario geografico. Sono perciò più che mai importanti le occasioni di incontro e di scambio tra artisti di diverse provenienze, e confrontarsi sui temi più urgenti e attuali che la nostra contemporaneità ci impone.
Ma c’è un’altra questione che ora sta modificando il nostro sistema: eccezion fatta per alcuni musei – che si distinguono per un lavoro capillare sul proprio territorio, in confronto continuo con le collettività che lo costituiscono, o per quello innovativo e dinamico, ad esempio in tempo di pandemia –, stiamo assistendo a un continuo fluidificarsi (confondersi) dei ruoli degli attori principali del nostro settore: artisti che diventano curatori, istituzioni che fanno scouting invadendo lo spazio dei galleristi. Stiamo inoltre perdendo una ennesima generazione di studiosi, critici, storici del contemporaneo attratti e allettati piuttosto che da una riflessione sul presente – un esercizio impegnativo ma davvero indispensabile e vantaggioso per tutti – dall’aspetto curatoriale del lavoro, che però dà maggiore visibilità.
In questo scompiglio di parti c’è stata anche la sovrapposizione – a volte – dei musei con le gallerie. Fare scouting per un certo tipo di museo non è sempre la funzione giusta: molto spesso artisti troppo giovani non hanno esperienza sufficiente per confrontarsi con spazi impegnativi o per entrare in una collezione pubblica, sovente si rischia di “bruciarli”. Per questo il ruolo delle gallerie o degli spazi più sperimentali è importantissimo per seguire e osservare un percorso creativo e per poter fare poi scelte giuste. Ma forse uno degli aspetti più critici lo si ha quando negli stessi musei si mescolano i ruoli tra quelli di governance con quelli scientifici e curatoriali. Certo è che i musei sono diventati macchine amministrative con un impegno gestionale impressionante e questo provoca a volte una grande difficoltà di programmazione. In tempi di crisi si corre perciò il rischio di rincorrere il pubblico con progetti apparentemente più attraenti, alla ricerca di consensi a 360° a scapito di scelte critiche serie e culturalmente valide, con programmazioni incalzanti, inseguendo le ultime novità con un turnover di artisti a ritmo pressante.
Anche l’attualità che impone una visione allargata della creatività aperta a più discipline può essere una trappola insidiosa. Non credo che il museo debba appropriarsi semplicemente dei ruoli propri del teatro, del cinema o di altre categorie creative, piuttosto sarebbe interessante – e pertinente con il ruolo proprio del museo – immaginare idee che coinvolgano quelle categorie, ma per concepire progetti innovativi, come approfondimenti per la propria programmazione, profondamente inerenti con la propria mission, per costruire un percorso solido e una identità definita.
Riguardo poi al tema Biennale di Venezia, la storia è davvero molto lunga: quando quel capitolo era anche in parte sotto la mia responsabilità, abbiamo potuto avere finalmente il Padiglione Italia e la scelta di Ida Giannelli come curatore fu più che positiva. Poi le cose non sono andate sempre al meglio, ma direi che il metodo attraverso il quale si sta procedendo ora sia piuttosto efficace. Probabilmente oggi ci sono le condizioni per ritornare a parlare di un nostro Padiglione più centrale: mi piacerebbe, anche se non credo sia il tema centrale e risolutivo dei nostri problemi. Piuttosto mi piacerebbe che il Direttore prescelto delle future edizioni avesse la possibilità di prendere visione della scena artistica italiana con studio visit e incontri nei nostri musei. Non sempre questo è stato possibile, ma forse ora potrebbero esserci nuove condizioni per riallacciare future relazioni.
Il sostegno della giovane arte è organizzato in maniera differente a seconda del Paese di cui parliamo. Considerando l’esempio di uno Stato confinante come la Francia, ad esempio, esiste una capillare rete di strutture pubbliche, i FRAC, che collezionano ed espongono opere prodotte da giovani creativi, e anche un sostegno economico non indifferente. Qual è l’impegno da parte delle istituzioni del nostro Paese nei confronti dei giovani artisti italiani e cosa andrebbe migliorato e implementato?
Da anni, ogni volta che si affronta questo argomento, si prende ad esempio la Francia, eppure non ho visto un esercito di artisti francesi invadere la scena internazionale. Piuttosto da noi le cose sono molto cambiate e le nostre istituzioni hanno finalmente un ruolo più che significativo rispetto a questo settore.
Dal 2001 il Ministero si è dotato di una Direzione Generale dedicata alla contemporaneità: per la prima volta avevamo a disposizione il Piano per l’Arte contemporanea per l’acquisto di opere e per la gestione del patrimonio contemporaneo nazionale. Così abbiamo dato avvio alla collezione del MAXXI.
Oggi, tanto per fare un esempio, con la dotazione del PAC è stata bandita, tra le altre numerose iniziative, la nona edizione dell’Italian Council, nato proprio per sviluppare la promozione internazionale di artisti, curatori e critici italiani. Si tratta di finanziamenti che sostengono la partecipazione di artisti a manifestazioni internazionali, di residenze all’estero o per la realizzazione di mostre monografiche presso istituzioni culturali straniere. Per questo sono già stati investiti quasi 10 milioni di euro in quattro anni e promossi 112 tra artisti curatori e critici.
Recentemente sono stata in giuria per un nuovo bando: Cantica 21, promosso dalla Direzione Generale per la Creatività Contemporanea insieme al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale per il sostegno e la promozione dell’arte contemporanea italiana nel mondo attraverso la rete diplomatico-consolare con un cofinanziamento di 800mila euro. Sarà una grande mostra d’arte diffusa, con una sezione speciale dedicata ai settecento anni che ci separano dalla morte di Dante Alighieri, poeta e visionario, che attraverso la poesia ha rivoluzionato la storia dell’arte e della nostra lingua. 293 sono le candidature pervenute da tutta Italia, mentre 178 sono i musei e le collezioni pubbliche che hanno sostenuto le proposte degli artisti.
Ma potrei citare anche altri premi promossi dalla stessa Direzione: il Premio New York, il Premio Mosca – quest’ultimo rivolto ai curatori – o il Premio Città del Capo, insieme ad altre iniziative che mettono in contatto i nostri artisti con curatori e direttori di residenze internazionali. Negli ultimi cinque anni la Direzione Generale, con un budget di oltre 40 milioni di euro, ha dato avvio a premi e concorsi, curato progetti di ricerca, e soprattutto ha sostenuto produzioni artistiche e favorito la circuitazione internazionale di opere e artisti italiani.
La straordinaria rete mondiale costituita dagli Istituti Italiani di Cultura costituisce un potenziale enorme. Quali sono le attività specificamente rivolte alle arti visive e ai giovani artisti italiani che vengono svolte dagli IIC? Anche in questo caso, quali potrebbero essere le strategie migliori per aumentare la loro visibilità nei Paesi in cui gli stessi IIC hanno sede?
Gli Istituti Italiani di Cultura rappresentano certamente uno dei più potenti veicoli di promozione che il nostro Paese può mettere in campo come strumento di diplomazia culturale. Il Ministero degli Esteri li definisce luoghi “di incontro e di dialogo per intellettuali e artisti, per gli italiani all’estero e per chiunque voglia coltivare un rapporto con il nostro Paese”. È evidente che la cultura può essere un volano prezioso per la promozione del “sistema Italia”, in termini di export “immateriale” come rete di promozione internazionale della nostra cultura.
Negli ultimi anni, tra gli assi portanti della promozione integrata avviata dal Ministero, c’è stato un forte impulso proprio per la promozione della nostra arte contemporanea nel quadro degli accordi culturali bilaterali, negoziando con interlocutori istituzionali l’organizzazione di mostre o lo scambio di residenze all’estero di artisti italiani. Più di recente l’adesione del Ministero alle Giornate del Contemporaneo ha arricchito il programma della manifestazione con lo scopo di far conoscere e proporre un’immagine che racconti il nostro Paese oggi. Gli Istituti di Cultura, dunque, sono diventati sedi più sistematiche di eventi, dibattiti, presentazioni, mostre incentrate sul tema della cultura artistica contemporanea, incluso l’intero “sistema” produttivo dell’arte contemporanea in Italia. Non solo artisti e opere, quindi, ma anche produttori, curatori, allestitori, direttori di musei, critici, riviste e libri d’arte nel mondo a rappresentare il sistema dell’arte contemporanea in Italia. È un passo importante per raccontare il Paese di oggi e la sua creatività all’estero.
Come ho già detto sopra, va segnalata anche la collaborazione per tutti i premi realizzati in collaborazione con il Ministero, a partire da quello ormai storico, il Premio New York. Anche la Collezione Farnesina – con le sue 470 opere e il continuo aggiornamento aperto alle nuove generazioni – riveste un ruolo significativo non solo offrendo a diplomatici, visitatori o delegazioni straniere in visita al Palazzo l’occasione di conoscere le profonde trasformazioni avvenute nel dopoguerra, ma soprattutto facendo veicolare le opere all’estero con progetti specificamente adottati a seconda delle sedi che le accolgono.
Va dunque proseguita e sostenuta una progettualità e una strategia condivisa sulla promozione della cultura italiana all’estero così come tutte le iniziative messe in campo stanno indicando. La collaborazione con il Ministero della Cultura è importante per una reale collaborazione che permetta di individuare in modo sempre più sistematico e con una visione a medio-lungo termine progetti specifici, mirati alle diverse aree geografiche. Puntare su questa collaborazione, avvalendosi delle reciproche professionalità, significa aggiungere sempre più valore alla politica diplomatico-culturale del nostro Paese.
‒ Marco Enrico Giacomelli
Versione aggiornata dell’articolo pubblicato su Artribune Magazine #57 – Speciale Farnesina
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