Robert Montgomery, l’artista che mescola poesia e luce
Autore della installazione luminosa sulla facciata di BASE Milano, Robert Montgomery ha fatto della poesia, del fuoco e della luce in genere la base di partenza per i suoi lavori. Senza dimenticare le tradizioni delle feste pagane. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare qualcosa in più sulla sua poetica.
In questo periodo, una scritta luminosa creata dall’artista scozzese Robert Montgomery (Chapelhall, 1972) campeggia in cima all’ingresso di BASE Milano. La voce poetica di quest’opera di text art illumina l’oscurità di uno degli inverni più cupi della nostra storia moderna e si rivolge a tutti i passanti, nell’attesa di giorni migliori. The Future Is A Risk of Our Hearts è il suo titolo, mentre la scritta recita The future is an invisible playground, completando il significato del testo. A parlarci di questa e altre scelte concettuali è lo stesso scultore e poeta, intervistato in occasione dell’installazione milanese di questo “light poem”.
Nel mondo contemporaneo le parole si “consumano velocemente”, al punto che i social network hanno fissato un numero massimo di battute, affinché il testo sia coinvolgente per il lettore. In questo scenario, la poesia ha ancora un ruolo da svolgere? E, se sì, quale secondo te?
La poesia, secondo me, si adatta piuttosto bene ai brevi periodi di attenzione, caratteristici della nostra era. Credo che le persone trovino sempre più difficile sedersi per due ore in silenzio con un romanzo, mentre puoi dedicarti alla poesia ogni giorno per 15 minuti, come una sorta di meditazione. Puoi immergerti, ma penso che il suo aspetto migliore sia che offre un antidoto ai “discorsi dominanti” della odierna società, come li avrebbe chiamati Roland Barthes. I linguaggi dominanti della nostra società sono quello della pubblicità, dei mezzi di informazione e di Internet ‒ tutti e tre si distinguono per essere interamente materialisti.
La pubblicità e Internet ci trattano come un consumatore, i media e la politica come un dato demografico, un elettore. Questi linguaggi dominanti si rivolgono solo al nostro io esteriore, nessuno parla al bambino dentro di noi o al nostro cuore. La poesia conversa con i nostri cuori spezzati, a mio avviso, e, man mano che il mondo diventa più tecnologico, questo è qualcosa di cui abbiamo intensamente bisogno. Siamo tutti vittime di una sorta di trauma collettivo – penso – a causa di ciò che i media digitali hanno fatto alla nostra psiche.
Hai creato un linguaggio concettuale, sperimentando nuove tecniche, aggiungendo LED ed elementi insoliti, come il fuoco. L’opera poetica infuocata che hai creato per il tuo matrimonio, SALVAGE PARADISE. LOVE IS THE WEATHER. DAYDREAMS FOREVER, è probabilmente una delle creazioni più romantiche del nostro tempo. Qual è il tuo processo di lavoro?
In realtà, studio solo il mio cuore spezzato e confido che, se il mio cuore è affetto da ciò che sta accadendo, allora lo sarà anche quello degli altri. E poi cerco di trovare la salvezza nell’amore. Greta e io abbiamo scritto insieme la poesia per il nostro matrimonio. La prima sera che ci siamo incontrati, abbiamo iniziato a scrivere insieme e proprio da queste scritture è nata quella poesia di fuoco. Ho iniziato a bruciare i testi nel 2013, in un progetto su commissione dell’Edinburgh Art Festival. Vedo il fuoco come un medium pre-cristiano o un medium pre-calvinista. In Scozia, da dove vengo, la tradizione popolare prevedeva feste pagane del fuoco per celebrare ogni solstizio ed equinozio. Dopo la Riforma del 1560, guidata da John Knox (il fondatore della Chiesa di Scozia), furono soppresse. Nel 2013, su invito dell’Edinburgh Art Festival, ho proposto una poesia infuocata, posizionata di fronte alla sede della Chiesa di Scozia e sotto la statua di John Knox. Volevo trovare un mezzo antico, che toccasse una sorta di memoria ancestrale. E quell’opera fu la prima poesia di fuoco.
POESIA, LUCE, MUSICA E LINGUAGGIO
La tua ricerca artistica è caratterizzata da diverse influenze, dalla graffiti art ai testi di Roland Barthes e Jean Baudrillard, sino alla filosofia di Guy Debord e alle teorie del Situazionismo. In una recente intervista hai detto che “il mezzo è il linguaggio”, cosa intendi esattamente?
Non sono sicuro che solo il mezzo sia il linguaggio. Il linguaggio è sempre tale, ma penso che una poesia sia più bella scritta in forma di graffito su un muro, anziché sulla pagina di un libro. Ho sempre trovato bellissimi i graffiti.
The Future Is A Risk of Our Hearts è la tua ultima creazione, attualmente in mostra a BASE Milano. Una “poesia leggera” che parla del futuro con ottimismo, dedicata al solstizio d’inverno, che segna il passaggio dal 2020 al 2021. Sintonizzarsi sulla “poesia pagana” (come forse la chiamerebbe Björk), allineandosi ai ritmi della natura, fa parte del tuo processo creativo o questa scelta rispecchia le specifiche circostanze?
Sì, esattamente! Stavo pensando al buio invernale e al solstizio d’inverno del 2020, che forse è il più cupo in assoluto ‒ i giorni non sono gli unici a essere bui, ma lo sono anche i teatri, i ristoranti e i bar. E così ho realizzato il pezzo sperando che l’equinozio di primavera del 2021 possa essere il più brillante, edificante, il più vivido sentimento di ritorno alla vita. Anche se forse saremo più vicini a questo risultato intorno al solstizio d’estate. È così bello scandire il tempo con i solstizi e gli equinozi, perché funziona come un antidoto allo spettacolo della cultura digitale, ci riallinea e sintonizza con la natura.
Spesso le tue poesie rispecchiano lo stesso tono e struttura usati dai cantautori e si percepisce una certa malinconia, che ricorda i poeti crepuscolari e band inglesi come i Cure. Quali artisti e musicisti hanno maggiormente influenzato il tuo lavoro?
Ero ossessionato dai Cure. Ho trascorso gli anni della mia adolescenza ascoltandoli in camera mia, mentre mi dedicavo alla calligrafia. L’intera sintesi della mia arte probabilmente è proprio lì.
Qual è il ruolo svolto dal pubblico nella tua arte?
Lavoro in uno spazio pubblico perché voglio che l’opera abbia una specie di voce anonima, ma emotiva, come se si trattasse di piccole lettere d’amore a sconosciuti.
Le tue creazioni sono esposte in tutto il mondo, dalle città europee, come Berlino, Ginevra, Parigi, Londra, agli Stati Uniti. Quale ti rende più orgoglioso? Esiste qualcosa che non hai ancora avuto la possibilità di creare?
Il pezzo attualmente in mostra a BASE Milano è sicuramente il mio preferito a oggi. Il pezzo che hai appena realizzato dovrebbe sempre essere il tuo preferito. Se non è così, allora non lo hai fatto bene! Anche i curatori di BASE Milano hanno fatto un ottimo lavoro, in termini di posizionamento e scala dell’opera, nonché tempistica. Una sincronia perfetta con l’opera d’arte. Linda di Pietro è davvero una brava curatrice e adoro lavorare con lei.
‒ Elena Arzani
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