Krzysztof Marchlak, l’artista polacco che non ha paura del kitsch
Intervista a Krzysztof Marchlak, in mostra alla Ufo Art Gallery di Cracovia. Alternando pittura e fotografia, l’artista polacco affronta i temi LGBT e guarda all’estetica kitsch come a una risorsa.
La memoria dell’artista polacco Krzysztof Marchlak (Żelechów, 1987) non sembra tradirlo quando si parla dei suoi lavori, complice forse anche la giovane età. Chiedetegli tutto sulle sue tele ma non da quali organi o tavole anatomiche nascano le forme che popolano i suoi dipinti: brandelli organici, vagamente figurativi, dalle tonalità pastello che fanno pensare all’estetica hentai e ai colori che decoravano i carrelli dello zucchero filato della nostra infanzia. Anche quando non ci sono palloncini a segnalarlo, i dipinti esposti nella personale cracoviana Melting Reality curata da Maria Ciborowska presso la Ufo Art Gallery (visitabile fino alla fine di marzo) sono un luna park di motivi fallici, spadici di fiori tropicali mai esistiti e residui anatomici, pronti a liquefarsi sotto gli occhi del visitatore. Ad ancorarli alla realtà soltanto le nuvole o il cielo sullo sfondo, che inquadrano spesso le sue composizioni impendendo loro di precipitare nel vuoto dell’astrazione.
Nato nell’est della Polonia, tradizionalmente ostile a ogni diversità, a metà strada tra Varsavia e Lublino, è da diverso tempo che Marchlak flirta anche con la fotografia artistica. Lo abbiamo incontrato nel suo nuovo atelier in un palazzo antico a ridosso di Kazimierz, il quartiere ebraico di Cracovia, in un periodo in cui l’artista polacco sta cominciando a toccare con mano il successo.
INTERVISTA A KRZYSZTOF MARCHLAK
Come ti sei avvicinato alla fotografia?
Ho comprato la prima macchina fotografica pensando di voler dire la mia sul dibattito legato all’ideologia LGBT che aveva cominciato a infuriare nel mio Paese. In un certo senso, si può dire che è stato l’argomento a dettare la scelta del medium. D’altronde con la pittura mi sono sempre mosso verso l’astrazione e il surreale. Con la fotografia è più facile raccontare la realtà in modo diretto. E da lì che prendono le mosse le serie I would give you my heart (2018-20) e Dreamers (2019-20).
Sfogliando il primo numero della rivista Boys! Boys! Boys! edito dallo spazio londinese Little Black Gallery e al quale hai partecipato, mi viene voglia di chiederti perché la fotografia queer non riesce a uscire dalla nicchia.
In Polonia, ma non solo, questo genere, se vogliamo definirlo tale, non rientra ancora a pieno titolo nella fotografia artistica. Da noi i tempi migliori devono ancora arrivare. Ho incontrato molti attivisti LGBT coraggiosi in Inghilterra che mi hanno spinto a lavorare con la macchina fotografica in questa direzione. Per me il tema è importante almeno quanto le qualità estetiche, almeno quando parliamo di fotografia artistica. I miei lavori rappresentano una riflessione sulla bellezza esteriore e interiore degli uomini e non soltanto sulla mascolinità tout court vista dall’angolo di una minoranza.
Secondo te l’ostilità nei confronti delle minoranze sessuali, e la conseguente necessità di difendersi e legittimarsi continuamente agli occhi dell’opinione pubblica, tolgono più che dare agli artisti in Polonia?
Da questo punto di vista il mio umore segue un andamento sinusoidale. Ho cominciato a lavorare alla serie I would give you my heart qualche tempo prima che la campagna contro le minoranze sessuali prendesse una piega ancora più brutta nel 2019 con gli attacchi al gay pride di Białystok e le prime “zone libere da LGBT”. Non è facile cambiare le cose, ma, quando un artista non è disposto ad accettare la realtà, la voglia di cambiare può servire a libera le energie creative.
L’ARTE DI KRZYSZTOF MARCHLAK
Che cosa rappresentano i passaporti che nascondono come foglie di fico i genitali dei modelli che hanno scelto di partecipare a questo progetto?
Tutto è iniziato con il primo scatto della serie nel 2017, un autoritratto, in cui mi sono coperto con il documento che mi era servito qualche anno prima per viaggiare negli Stati Uniti. Per una persona omosessuale, cresciuta negli Anni Novanta nella parte orientale della regione Masovia, il sogno americano, rivelatosi poi una mera illusione, con le sue promesse di benessere e libertà, era tutto. Questa cosa mi ha scottato. Il passaporto non è un simbolo della volontà di evadere dalla realtà, ma rispecchia piuttosto il desiderio che è di tutti di trovare il proprio posto nel mondo. Ogni soggetto che ha posato ha interpretato in modo diverso questo gesto.
Hai messo in soffitta i colori scuri e la tua pittura è sempre meno materica. A cosa attribuisci questi cambiamenti?
Sì, è vero, negli ultimi tempi mi sono gettato a capofitto nel colore. Credo che la fotografia influenzi il mio modo di dipingere e viceversa. Ultimamente mi sono guardato allo specchio e ho cominciato a vedere dei vasi comunicanti nel mio modo di rapportarmi a queste due discipline.
Qual è il tuo rapporto con il kitsch artistico?
Da studenti nelle accademie di belle arti ci viene insegnato che il cattivo gusto deve essere schivato. Evitare certi modelli, forme e temi fa parte del processo di formazione. Ma quello che piace a tutti può essere trasformato grazie all’ironia e ai colori. Il kitsch attrae e allo stesso tempo repelle proprio come le composizioni di Pierre et Gilles che mi hanno influenzato molto. Anche quello polacco, con tutta la sua chincaglieria religiosa, fa parte della realtà. Il segreto è non avere paura del kitsch.
‒ Giuseppe Sedia
Cracovia
Krzysztof Marchlak – Melting Reality
UFO ART GALLERY
Krakowska 13
https://ufoart.gallery/
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