Pittura lingua viva. Intervista a Luca Zarattini
Viva, morta o X? 99esimo appuntamento con la rubrica dedicata alla pittura contemporanea in tutte le sue declinazioni e sfaccettature attraverso le voci di alcuni dei più interessanti artisti italiani: dalla pittura “espansa” alla pittura pittura, dalle contaminazioni e slittamenti disciplinari al dialogo con il fumetto e l’illustrazione fino alla rilettura e stravolgimento di tecniche e iconografie della tradizione.
Luca Zarattini (Codigoro, 1984) vive e lavora a Ferrara. Si laurea nel 2009 all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Tra le sue più recenti mostre personali: There is music and music, Wadström Tönnheim Gallery, Marbella, 2019; Composizioni da scomposizioni, RvB Arts, Roma, 2019; Percorsi, Galleria del Conte Giovanni, Castello di Fumone, 2018; Omaggio al pittore Carlo Bononi, Sala Mediolanum, Ferrara, 2017; Mascheramusica, Teatro Ristori, Verona, 2017; Paper works, RvB Arts, Roma, 2017; Slalom, FabulaFineArt, Ferrara, 2016; Parallelismi, AUS + Galerie, Latina, 2016; Interno 109, Rvb Arts, Roma, 2015; Tapis Lapis, Interzone Gallerie, Roma, 2015. Tra le sue più recenti collettive: Pittori fantastici nella valle del Po, Padiglione di Arte Contemporanea, Ferrara, 2020; Inventario Varoli, Della copia e dell’Ombra, Museo Civico Luigi Varoli, Cotignola, 2020; Noli me tangere, Studio Rospigliosi, Milano, 2020; Selvatico [tredici], Ecomuseo delle erbe palustri, Villanova di Bagnacavallo, 2019; Without frontiers, Aula Magna dell’Università di Mantova, 2019; Omaggio a Pietro Pinna, Galleria del Carbone, Ferrara, 2018; Arte a corte, Castello Ducale, Sessa Aurunca, 2018; Mani, RvB Arts, Roma, 2018; Picasso contemporaneo, Five Gallery, Lugano, BJCEM, Tirana, 2017; Biennale del disegno, Sala delle teche e Ala Nuova del Museo della Città di Rimini, 2016.
Come ti sei avvicinato alla pittura?
Sono cresciuto a Comacchio, un piccolo paese circondato dall’acqua. Fin da piccolo ho avuto grande amore per il disegno. Disegnavo spesso e ovunque: era il mio personale modo per oltrepassare quello specchio d’acqua con un volo e raggiungere nuovi territori, esplorare altre geografie. Con la musica del mangiacassette dritta nelle orecchie, mi sforzavo di restituire alla musica una forma visiva. La pittura è arrivata molti anni dopo ed è arrivata come una folgorazione durante una visita all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Lì sono rimasto inebriato dagli odori che circondano le aule di pittura. Non avevo mai toccato un pennello fino ad allora. Così ho scelto di iscrivermi al corso di Pittura.
La storia, la tradizione della pittura incidono sulle tue opere o nella scelta dei soggetti?
Sì, incidono spesso sul mio lavoro, anche se a volte vorrei liberarmene con facilità, un po’ come si fa battendo un tappeto dalla finestra per liberarlo dalla polvere. Questo conflitto che vivo tra l’inevitabile influenza della tradizione e la voglia di contemporaneità è però quella dimensione che suscita in me maggiore ispirazione e interesse. Prendo spesso soggetti dalla tradizione e, come un funambolo in bilico sulla fune, provo a restituirne qualcosa di attuale facendoli passare attraverso il mio personale filtro.
Chi sono gli artisti e i maestri cui guardi?
La mia natura curiosa e onnivora mi porta a guardare di tutto, spesso con occhio borseggiatore. Sono molti gli artisti che mi hanno influenzato, che mi hanno insegnato a guardare o che mi hanno aperto nuove strade. Penso ai grandi della classicità come Michelangelo, Pontormo, Tintoretto, Goya; ma anche le pitture rupestri e quelle pompeiane che appartengono all’archeologia. Continuo a guardare Bacon, Hockney, De Kooning, Gorky, ma mi hanno lasciato moltissimo anche artisti più circoscritti come Romagnoni, Cremonini, Bellandi. Adoro Penone. Ultimamente mi intriga il lavoro di Cecily Brown. Per quel che riguarda le ricerche degli ultimi anni, ho seguito con molto interesse tutti i pittori della scuola di Lipsia e di Cluj. Allo stesso tempo, mi interessa il lavoro che fa Studio Azzurro e, sempre nell’ambito del multimediale, quello di Bill Viola. Insomma, non ho limiti o paletti.
LA PITTURA SECONDO LUCA ZARATTINI
Composizioni da scomposizioni era il titolo di una tua personale del 2019. Mi piacerebbe partire da qui, anche perché sembra una dichiarazione di poetica.
Composizioni da scomposizioni è, come giustamente suggerisci, una sorta di dichiarazione poetica. Per creare i miei dipinti lavoro intervenendo con la pittura e il disegno su supporti di carta che successivamente faccio a pezzi e riutilizzo per comporre su tela quella che diverrà l’immagine finale. Penso la pittura come qualcosa di vivo e di gustoso, che, in un certo senso, ha a che fare con la masticazione umana o animale. Questo mio modo di agire – rosicchiare un gesto o una forma scomponendoli, per poi ricrearne una nuova immagine sommatoria delle precedenti – mi dà la possibilità di far entrare nel lavoro il mio lato più privato, enigmatico e istintivo. Se vuoi, composizione e scomposizione hanno anche qualcosa a che vedere con la cancellazione e la stratificazione. Il mio modo di vivere e di “aggredire” la pittura è da sempre determinato dal cancellare e dallo stratificare l’immagine. La stratificazione è la conseguenza di più cancellazioni e ripensamenti che si crea inevitabilmente nel perenne sottrarre e ri-addizionare materia. Ma ciò che è sepolto rimane: scavando, sulla superficie può ritornare nuovamente visibile o parzialmente visibile.
Caso e caos come incidono quindi sul tuo lavoro?
C’è sostanziale differenza tra le due cose? Una certa dose di casualità e irrazionalità – forse abbandono – mi è necessaria. Il lavoro si svolge naturalmente e senza inciampi quando l’atto creativo mi prende, costringendomi a inseguire i “fatti” che casualmente si creano sulla tela. Nelle prime fasi di ogni dipinto lavoro moltissimo con il caso. È solo in un secondo momento che ciò che ne viene fuori deve essere compreso razionalmente, e quindi valorizzato o meno.
Cosa rappresenta il frammento per te?
Sono cresciuto negli Anni Novanta, faccio parte della cosiddetta gioventù sonica. Il mio immaginario è fatto di rumorismo, improvvisazione e hip hop. E il frammento, a partire da queste suggestioni, rappresenta per me il sample. Come nell’hip hop, i miei frammenti vengono decontestualizzati e riutilizzati per comporre qualche cosa di nuovo e organico. Mi piace pensarli come panni scaraventati sul pavimento dal cestello di una washing machine in centrifuga.
Creare partendo dal distruggere è il mio modo per far sì che l’immagine abbia forza vitale, metterla nella condizione di tornare a una sorta di inizio, di “grado 0”. Il frammento è, perciò, lo strumento che mi permette di mettere in gioco con fare anarchico queste energie.
Perché la scelta della figurazione che dialoga o sfocia nell’astrazione?
Non è una vera e propria scelta, non c’è nulla di programmatico dietro. Ultimamente, nella mia ricerca trovo piacere nello spingere l’immagine sempre più verso il limite del riconoscibile, in quel confine in cui il soggetto lotta con il proprio disfacimento. È lì che il cortocircuito visivo che mi interessa fa assumere all’immagine una carica erotica di cui sono alla ricerca.
Nel lavorare sul ritratto ti sei confrontato anche coi ritratti del Fayum…
Lavoro sul ritratto sin dai tempi dell’Accademia. Allora dipingevo a olio su lastre di ferro sulle quali in un secondo momento gettavo dello sverniciatore per alterarne lo strato pittorico. Successivamente, cominciavo ad annaffiarle per giorni, come se fossero dei vasi di fiori. La ruggine, affiorando dal fondo delle lastre e mescolandosi lentamente con la pittura, creava un dialogo tra la corrosione della natura e l’immagine prodotta del pensare dell’uomo. I soggetti dei ritratti dipinti erano presi da un libro che raccoglie le fotografie dei least wanted americani degli Anni Quaranta: spesso erano ciò che molta gente oggi chiamerebbe “froci”, “negri”, “tossici” e “bagasce”. La patina rugginosa nel mescolarsi con la pellicola pittorica dava a questi nuovi dipinti l’aspetto di vecchie pitture, pressoché somiglianti nella composizione e nelle tinte a quelli del Fayum. I miei falsi non erano rivolti alla commemorazione della persona appartenente alle classi sociali più privilegiate dell’aristocrazia romana-egiziana, ma alle minoranze, intese come luoghi in cui la parte più intima e fragile dell’essere umano è violentemente esposta: “froci”, “negri”, “tossici” e “bagasce”, appunto.
Quando fai dei ritratti neghi però il volto, lo sottrai alla vista. Perché?
Come posso mantenere la riconoscibilità del soggetto negandone i connotati? Come faccio a parlare oggettivamente di identità facendo un unico ritratto? Queste sono alcune delle domande che mi hanno ossessionato e che continuano a ossessionarmi. E dal momento che mi viene difficile formulare una risposta precisa alla tua domanda, ti porto un esempio: nel 2018, in una sala del Castello di Sessa Aurunca, ho installato a terra, a pochi centimetri dal pavimento, tre ritratti eseguiti su dei coperchi di metallo per fusti alimentari, che per la loro caratteristica forma convessa e rientrante ho potuto riempire di acqua. Prova a immaginarti questi ritratti-contenitore di liquido poggiati a terra che obbligano il visitatore a sporgersi sopra per vederli nella loro interezza. Nel riflesso, il volto senza fisionomia che ho dipinto, creano un continuo rimando tra l’altro e sé stessi… Ecco, è per queste ragioni che nego il volto.
E il tempo cosa rappresenta?
Fino a qualche anno fa, il tempo aveva per me valore di memoria. Oggi lo percepisco come sospeso. Devo ancora capire cosa per me rappresenti.
SPAZIO, TEMPO, MATERIA
A questo proposito, la tua è una pittura lenta o veloce?
Impiego molto tempo nella preparazione del materiale pittorico e grafico, poi, in tempi relativamente brevi, se tutto gira nel migliore dei modi, faccio a pezzi e compongo in immagine sulla tela. Terminata questa prima “buttata” di materiale, segue una fase di riposo, in cui l’immagine che ottengo deve essere letteralmente girata contro il muro, lasciata sedimentare, e dopo un certo “tempo”, nel caso, rimanipolata e modificata. Deve quindi trascorrere qualche tempo affinché l’immagine venga accettata dal mio sguardo. E finché questo non succede non posso considerare finito un quadro.
E che significato ha lo spazio per te?
Lo spazio è l’orizzonte dove le mie forme sono alterate, manipolate e distorte. I miei soggetti possono in certi casi non rispondere alle regole prospettiche della visione e galleggiare a testa in giù, ad esempio. Quello che vorrei è che i miei lavori vivessero di proprie regole interne, li vorrei stranianti e vertiginosi. Vorrei che fossero mondi altri, altri mondi possibili.
Dicevi che il tempo in passato ha rappresentato la memoria. E ora?
Per molti anni ho scavato nel mio lavoro per far affiorare, al di là di tempo e spazio, una memoria. Al momento sto cercando di dare un nuovo senso a questa parola, che, a oggi, mi appare decisamente edulcorata.
Come nascono i titoli delle tue opere?
Spesso mi vengono suggeriti dall’opera stessa, oppure dalla musica che mi accompagna durante il lavoro. In qualche circostanza vengono estrapolati dalle mie letture. A ogni modo, assegnare i titoli ai miei lavori è sempre stata una sofferenza! Ci sono volte in cui mi trovo in difficoltà e sono costretto a chiamare in aiuto mio fratello, molto più ironico e spiritoso di me, e anche molto più bravo nel sintetizzare concetti o nell’inventare nomi per le cose.
Come si è trasformato il tuo lavoro nel tempo?
Si è trasformato radicalmente. Negli anni è sempre stata presente un’attenzione alla materia unita all’attitudine del costruire i lavori a partire dalla loro destrutturazione. Naturalmente, queste caratteristiche hanno assunto varie forme, preso diverse declinazioni nei vari periodi della mia vita. Ho cominciato innaffiando lastre di ferro, ho proseguito scalpellando grossi strati di cemento dipinti e poi ho fuso con la fiamma ossidrica immagini realizzate su falde di plastica. Attualmente costruisco delle immagini a partire da brandelli di carta che sembrano sopravvissuti a una esplosione. Tendo a mettermi continuamente in discussione.
Che cos’è colore? E la materia?
Il colore è la lotta, eros, tragedia, profondità. La materia è la lotta fra questi e la carne.
Quali formati prediligi?
Tendenzialmente prediligo i formati grandi. Facilitano l’immersione nel lavoro da parte di chi ne fruisce. Non è, però, una scelta ideologica. Non ho regole prestabilite.
La tecnica conta?
Sì, ma non necessariamente. Credo sia importante quando è funzionale al messaggio che vuoi mandare.
LE FONTI DI ISPIRAZIONE DI ZARATTINI
La musica, il cinema, la letteratura, la poesia incidono sui tuoi immaginari?
Certamente. Tutto ciò che ho letto, guardato e ascoltato ha impattato inevitabilmente sul mio immaginario. Oltre la pittura, la mia più grande passione è la musica, in tutte le sue forme e manifestazioni. Sono anche un musicista, suono la chitarra in una band, ci chiamiamo Modotti. Ascolto di tutto e il fare musica mi ha spesso portato a creare progetti site specific in cui la musica è entrata in dialogo con la pittura, attraverso l’utilizzo di riproduttori audio o in forma di vere e proprie performance dal vivo. In occasione dell’inaugurazione di una mia personale, io e il clarinettista Gianluca Fortini abbiamo improvvisato in galleria due brani dalle sonorità rumorose, scomposte e frammentate che dialogavano con i dipinti esposti.
Perché fare pittura oggi?
Non sono ancora riuscito a darmi una risposta convincente al perché non farlo. Sarebbe come smettere di esplorare un medium che offre moltissime possibilità.
Cosa pensi della scena della pittura italiana contemporanea?
Trovo complicato avere una visione chiara in merito: vedo talmente tante cose che a volte mi sento stordito. È impossibile non accorgersi che c’è del fermento e di questo non posso che essere felice. D’altro canto mi accorgo che se la pittura italiana fosse maggiormente supportata dalle istituzioni, potrebbe essere più competitiva nel mondo.
‒ Damiano Gullì
LE PUNTATE PRECEDENTI
Pittura lingua viva #1 ‒ Gabriele Picco
Pittura lingua viva #2 ‒ Angelo Mosca
Pittura lingua viva #3 ‒ Gianluca Concialdi
Pittura lingua viva #4 – Michele Tocca
Pittura lingua viva #5 ‒ Lorenza Boisi
Pittura lingua viva#6 ‒ Patrizio Di Massimo
Pittura lingua viva#7 ‒ Fulvia Mendini
Pittura lingua viva#8 ‒ Valentina D’Amaro
Pittura lingua viva#9 ‒ Angelo Sarleti
Pittura lingua viva#10 ‒ Andrea Kvas
Pittura lingua viva#11 ‒ Giuliana Rosso
Pittura lingua viva#12 ‒ Marta Mancini
Pittura lingua viva #13 ‒ Francesco Lauretta
Pittura lingua viva #14 ‒ Gianluca Di Pasquale
Pittura lingua viva #15 ‒ Beatrice Meoni
Pittura lingua viva #16 ‒ Marta Sforni
Pittura lingua viva #17 ‒ Romina Bassu
Pittura lingua viva #18 ‒ Giulio Frigo
Pittura lingua viva #19 ‒ Vera Portatadino
Pittura lingua viva #20 ‒ Guglielmo Castelli
Pittura lingua viva #21 ‒ Riccardo Baruzzi
Pittura lingua viva #22 ‒ Gianni Politi
Pittura lingua viva #23 ‒ Sofia Silva
Pittura lingua viva #24 ‒ Thomas Berra
Pittura lingua viva #25 ‒ Giulio Saverio Rossi
Pittura lingua viva #26 ‒ Alessandro Scarabello
Pittura lingua viva #27 ‒ Marco Bongiorni
Pittura lingua viva #28 ‒ Pesce Kethe
Pittura lingua viva #29 ‒ Manuele Cerutti
Pittura lingua viva #30 ‒ Jacopo Casadei
Pittura lingua viva #31 ‒ Gianluca Capozzi
Pittura lingua viva #32 ‒ Alessandra Mancini
Pittura lingua viva #33 ‒ Rudy Cremonini
Pittura lingua viva #34 ‒ Nazzarena Poli Maramotti
Pittura lingua viva #35 – Vincenzo Ferrara
Pittura lingua viva #36 – Luca Bertolo
Pittura lingua viva #37 – Alice Visentin
Pittura lingua viva #38 – Thomas Braida
Pittura lingua viva #39 – Andrea Carpita
Pittura lingua viva #40 – Valerio Nicolai
Pittura lingua viva #41 – Maurizio Bongiovanni
Pittura lingua viva #42 – Elisa Filomena
Pittura lingua viva #43 – Marta Spagnoli
Pittura lingua viva #44 – Lorenzo Di Lucido
Pittura lingua viva #45 – Davide Serpetti
Pittura lingua viva #46 – Michele Bubacco
Pittura lingua viva #47 – Alessandro Fogo
Pittura lingua viva #48 – Enrico Tealdi
Pittura lingua viva #49 – Speciale OPENWORK
Pittura lingua viva #50 – Bea Bonafini
Pittura lingua viva #51 – Giuseppe Adamo
Pittura lingua viva #52 – Speciale OPENWORK (II)
Pittura lingua viva #53 ‒ Chrysanthos Christodoulou
Pittura lingua viva #54 – Amedeo Polazzo
Pittura lingua viva #55 – Ettore Pinelli
Pittura lingua viva #56 – Stanislao Di Giugno
Pittura lingua viva #57 – Andrea Barzaghi
Pittura lingua viva #58 – Francesco De Grandi
Pittura lingua viva #59 – Enne Boi
Pittura lingua viva #60 – Alessandro Giannì
Pittura lingua viva #61‒ Elena Ricci
Pittura lingua viva #62 – Marta Ravasi
Pittura lingua viva #63 – Maddalena Tesser
Pittura lingua viva #64 – Luigi Presicce
Pittura lingua viva #65 – Alessandro Sarra
Pittura lingua viva #66 – Fabio Marullo
Pittura lingua viva #67 – Oscar Giaconia
Pittura lingua viva #68 – Andrea Martinucci
Pittura lingua viva #69 – Viola Leddi
Pittura lingua viva #70 – Simone Camerlengo
Pittura lingua viva #71 – Davide Ferri
Pittura lingua viva #72 – Diego Gualandris
Pittura lingua viva #73 – Paola Angelini
Pittura lingua viva #74 ‒ Alfredo Camerottti e Margherita de Pilati
Pittura lingua viva #75 – Andrea Chiesi
Pittura lingua viva #76 – Daniele Innamorato
Pittura lingua viva #77 – Federica Perazzoli
Pittura lingua viva #78 – Alessandro Pessoli
Pittura lingua viva #79 ‒ Silvia Argiolas
Pittura lingua viva #80 – Dario Carratta
Pittura lingua viva #81 ‒ Il progetto Linea 1201
Pittura lingua viva #82 – Stefano Perrone
Pittura lingua viva #83 – Linda Carrara
Pittura lingua viva #84 – Adelaide Cioni
Pittura lingua viva #85 – Marco Eusepi
Pittura lingua viva #86 – Narcisa Monni
Pittura lingua viva #87 – Alessandra Giacinti
Pittura lingua viva #88 – Miss Goffetown
Pittura lingua viva #89 – Ottavia Plazza
Pittura lingua viva #90 – Matteo Cordero
Pittura lingua viva #91 – Beatrice Alici
Pittura lingua viva #92 – Mattia Barbieri
Pittura lingua viva #93 – Giovanni Copelli
Pittura lingua viva #94 – Anna Capolupo
Pittura lingua viva #95 – Anna Marzuttini
Pittura lingua viva #96 – Vincenzo Schillaci
Pittura lingua viva #97 – Vincenzo Ferlita
Pittura lingua viva #98 – Pierpaolo Curti
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