I dimenticati dell’arte. Storia del pittore Mario Puccini
Finisce in manicomio dopo una delusione sentimentale, poi la miseria. Ma negli ultimi anni la qualità della vita di Mario Puccini migliora, mentre alcuni critici si accorgono di lui. Ora una mostra a Livorno lo celebra.
Era figlio di un semplice fornaio livornese ma già da adolescente Mario Puccini (1869 -1920) aveva capito che avrebbe dedicato la sua vita alla pittura, nonostante la ferma opposizione del padre, che lo voleva come aiutante.
Nulla da fare: Mario vince la sua battaglia familiare e nel 1884 si iscrive all’Accademia di Belle Arti a Firenze, dove entra in contatto con l’ambiente artistico dei macchiaioli, dominato dalla figura di Giovanni Fattori, che diventa fin da subito una sorta di figura di riferimento per il giovane, vicino a Silvestro Lega e Plinio Nomellini. Puccini inizia la sua attività artistica con intensi ritratti, che caratterizzano la prima fase del suo lavoro.
MARIO PUCCINI DAL MANICOMIO ALLA MISERIA
Una volta terminati gli studi, torna a Livorno e viene colto da una forte crisi depressiva causata da una delusione sentimentale. Ricoverato in un ospedale psichiatrico a Livorno e in seguito in un manicomio a Siena, ne esce dopo cinque anni per tornare a lavorare alla trattoria La Bohème, gestita dal padre.
Nel frattempo la sua pittura cambia radicalmente, dominata da pennellate libere e cromatismi violenti vicine alle esperienze dei fauves francesi, come si vede nel dipinto Darsena (1902), una sorta di manifesto del suo nuovo stile.
Dopo aver perso entrambi i genitori, l’artista cade in miseria. Vive in un seminterrato e si guadagna da vivere da ambulante costruendo aquiloni e giocattoli per bambini, senza però smettere di dipingere, nonostante le precarie condizioni economiche che lo portano a utilizzare l’olio dalle scatole di sardine per mescolare i colori nell’umile locale dove abita.
QUANDO DUE AMICI AIUTARONO MARIO PUCCINI
In questi anni difficili si dedica soprattutto a paesaggi, marine e scorci della città di Livorno, con lo sguardo rivolto verso la pittura post-impressionista francese. Grazie al suo talento decora una sala del caffè Bardi, ritrovo di artisti e intellettuali a partire dal 1909, dove incontra i suoi amici e colleghi livornesi. Due di loro, Benvenuto Benvenuti e Piero Pierotti della Sanguigna, decidono di aiutarlo e nel 1911 fondano una società per vendere i suoi dipinti, sempre più apprezzati da artisti come Oscar Ghiglia e da collezionisti come Gustavo Sforni, che possiede opere di Degas, Cézanne, Utrillo e van Gogh, che influenzano la sua pittura.
LA RISCOPERTA DI MARIO PUCCINI
Non è un caso che un critico di rango come Emilio Cecchi definisca Puccini “un van Gogh involontario”: opere come Vecchio Ponte e Il porto di Livorno mostrano la vicinanza con il pittore olandese. Un altro suo grande estimatore è il critico Raffaele De Grada, che lo descrive con queste parole: “Mario Puccini è un grande pittore che, se si fosse portato su un piano culturale più largo, poteva diventare non inferiore, nel suo aspetto ruggente, al conterraneo […] Amedeo Modigliani”.
Piano piano le condizioni economiche dell’artista iniziano a migliorare, anche grazie alla sua partecipazione ad alcune mostre: si trasferisce in una vecchia portineria e vende alcuni suoi dipinti al collezionista Romolo Monti. Purtroppo la sua salute, minata dalla tubercolosi, peggiora rapidamente: Puccini trascorre gli ultimi anni della sua vita in Maremma, dove si ritira a dipingere paesaggi e scene di vita agreste con uno stile sempre più istintivo.
Trascurato a lungo dalla critica ufficiale, anche a causa del suo carattere libero e anticonformista, viene rivalutato solo oggi grazie alla mostra Mario Puccini “Van Gogh involontario”. Una collezione riscoperta e altri capolavori, curata da Nadia Marchioni e aperta fino al 21 settembre 2021 al Museo della Città di Livorno: un’occasione da non perdere per conoscere la pittura di un maestro irregolare ma di indubbio talento.
– Ludovico Pratesi
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