Carlo Stanga, l’architetto-illustratore

Noto per le sue illustrazioni dedicate alle grandi metropoli del mondo, Carlo Stanga ci racconta i suoi nuovi progetti: dalla collettiva in corso a Ravenna, dedicata a Dante Alighieri, al bus a due piani da ricoprire con i suoi disegni.

Carlo Stanga usa le parole come fa con la penna rapidograph, con attenzione e slancio creativo. Illustratore, architetto e autore – suoi i volumi I am Milan, I am London e I am New York (per Moleskine), a cui si aggiungono le illustrazioni del recente Zaha Hadid (Corraini) scritto da Eloisa Guarraccino e destinato ai più piccoli –, Stanga è prima di tutto un uomo curioso di parole e della loro etimologia, quanto di mondi reali e immaginari. “Non basta essere ‘solo’ un illustratore, né è possibile ricondurre la creatività a una tecnica. Occorre non avere paura, esplorare, andare fuori registro“, sintetizza.
Del suo lavoro, che gli è valso parecchi premi, e lo ha reso noto in Italia e all’estero, parla con la leggerezza di una passione mai cristallizzata. “Gli esseri umani sono un concentrato di energia, una inestricabile interazione tra analogico e digitale, fra corpo e mente”, dice, aprendo la nostra conversazione.

L’INTERVISTA A CARLO STANGA

Su cosa sei impegnato in questo periodo?
Sono concentrato su una illustrazione di 140 metri quadrati destinata a ricoprire un bus berlinese a due piani per lo storico cinema Babylon. Il mezzo condurrà i bambini dalla scuola al Babylon, e l’illustrazione sarà ricca di riferimenti al cinema tra mostri, fantascienza e suggestioni policrome. Quest’estate lavorerò anche sull’illustrazione animata di un video per l’Hotel Mandarin Oriental di Tel Aviv. Poi ci sono illustrazioni per riviste e campagne pubblicitarie, e una serie di conferenze che terrò in autunno.

Nella tua recente lectio al MEET – Digital Culture Center di Milano hai detto: “Fra analogico e digitale, non c’è attrito. Il digitale non è altro che un ulteriore sviluppo dell’arte“. Non tutti la pensano così…
Se pensiamo ai nuovi supporti cui l’umanità ha affidato i propri segni, qualcuno si sarà sempre stracciato le vesti. Dalle tavolette di argilla che hanno sostituito la trasmissione orale – immagino il coro di chi diceva: “L’uomo perderà la capacità di ricordare!” – al momento in cui il papiro ha sostituito la tavoletta – “Questo materiale è deperibile!”. Oggi si prefigura la fine delle abilità manuali e la trasformazione della mano da cinque dita a uno solo. In realtà il digitale è esattamente nel solco dell’evoluzione della nostra specie, che si distingue dalle altre per l’uso di strumenti tecnologici.

Raccontami per tappe come nasce una tua illustrazione, dalla carta allo schermo.
Parto sempre da schizzi a matita su carta per passare all’inchiostratura. Il disegno a china viene poi scansionato e trasformato in file. A quel punto, in digitale, incontra i colori e vive in un mondo in cui tutto o quasi è possibile. Gli errori si correggono con un click, l’illustrazione può essere ingrandita per esaminare i particolari, e io ne faccio tanti. Terminato il lavoro, il file digitale può essere inviato al cliente via mail. In pochi secondi, il mio lavoro raggiunge il destinatario, anche a 4mila chilometri di distanza, e si può discutere subito il risultato.

Courtesy Carlo Stanga

Courtesy Carlo Stanga

DALL’ARCHITETTURA ALL’ILLUSTRAZIONE

Ti definisci, ironicamente, un “giovane” illustratore. In effetti, hai iniziato ufficialmente nel 2009 collaborando con la Repubblica. Mi racconti com’è andata quella prima volta?
Nino Brisindi de la Repubblica mi ha scoperto sul web nel 2008, mi ha chiamato per una serie di immagini di architetture italiane e poi mi ha presentato all’art director Angelo Rinaldi e a Stefano Cipolla. La collaborazione è continuata con doppie pagine dedicate a cultura e cronaca, cucina e serie di illustrazioni estive che accompagnavano i racconti di viaggio di Paolo Rumiz. Già prima avevo avuto diverse esperienze nel campo dell’illustrazione, parallelamente all’attività di architetto. Le collaborazioni con la Repubblica mi hanno spinto a dedicarmi totalmente al mio “daimon” affinando il tratto, la tecnica e curando i contenuti in rapporto con ambiti nuovi.

Ecco! Ti ho sentito spesso parlare di daimon, il “codice della nostra anima”, per citare lo psicanalista James Hillman. In che modo si è manifestato il tuo?
Il daimon: è così che gli antichi greci rappresentavano, dandogli forma umana, ciò che oggi definiamo talento, il motivo per cui siamo su questa terra. Non seguire il proprio daimon voleva dire compromettere la propria felicità, che in greco si dice eudemonia.
Quanto a me, non c’è stato un momento preciso in cui ho realizzato la presenza del daimon artistico, piuttosto si è manifestato come un fiume carsico. La difficoltà era capire se avessi possibilità concrete di dedicarmi a una passione incerta e insolita, abbandonando un mestiere ben stabilito come quello di architetto.

A quando risale la “svolta”?
La svolta c’è stata quando ho realizzato che potevo crearmi un lavoro “su misura” facendo convivere il disegno, l’illustrazione, le città, i viaggi e l’architettura. Quando, nel 2014, il direttore di Moleskine Publishing Roberto di Puma mi ha chiesto un progetto, ho pensato a una collana dedicata alle città del mondo per consolidare questo “nuovo” lavoro a cui il daimon mi stava portando.

DISEGNARE LE CITTÀ

Oggi sei un illustratore noto internazionalmente per riuscire a mettere su carta la “personalità” delle città. In che modo ti “difendi” dall’effetto cartolina?
Bisogna rimanere se stessi e condividere il proprio sguardo sulla città, esaltando la prospettiva, la luce, le ombre. Forse i registi sono gli artisti più capaci a farlo. Vedere il film Roma di Federico Fellini, così come la Manhattan di Woody Allen nell’omonima pellicola, dimostra come una città possa essere colta in modo assolutamente non stereotipato.

Hai recentemente realizzato un ritratto di Dante per la mostra Dante Plus in corso a Ravenna. Per te le città sono persone, ma come ti trovi a disegnare le persone?
Ho ritratto Dante con i tratti di una città, rappresentata alla maniera dell’arte trecentesca. Volevo sottolineare che il “sommo poeta” era immerso nel clima culturale di quel secolo. Mi interessa disegnare le persone come parte di una identità cittadina: il loro comportamento, il modo di vestirsi e come parlano del luogo in cui vivono. D’altra parte una città è fatta di molte persone, e la possibilità di scambiare opinioni e collaborare con tante persone è il vero motivo per cui si vive in una città.

Courtesy Carlo Stanga

Courtesy Carlo Stanga

IL DISEGNO PRIMA DEL DISEGNO

I disegni di quando si è bambini sono luoghi in cui c’è già la verità“, lo hai detto sempre al MEET, suggerendo ai giovani illustratori di scovare i loro primissimi disegni e ritrovare quell’imprinting “primordiale”. Ti ricordi il tuo primo disegno?
Mi ricordo i miei primi disegni più che altro perché mia madre, insegnante, si accorse che c’era qualcosa di particolare e li conservò. Il primo è di quando avevo 18 mesi. C’è un disegno, che chiamerei “munariano”, in cui un albero veniva ripetuto sette o otto volte e declinato in modo diverso. Il tronco e i rami erano gli stessi, ma avevo rappresentato la chioma ora a tratteggi, ora con una linea raggomitolata, ora con puntini, ora con una grande macchia. Insomma, pare che il mio “daimon” avesse già fatto capolino.

Mi fai i nomi di tre giovani illustratrici e illustratori, italiani o stranieri, da tenere d’occhio?
Da quando insegno e tengo conferenze, mi incuriosiscono le proposte artistiche dei giovani artisti, ma è difficile rispondere perché, grazie alla rete, mi trovo davanti a molti nuovi talenti. Ne cito tre, ma potrei nominare tanti altri: Giulia Sagramola, Laura Carlin, Yann Kebbi.

Lorenza Delucchi

https://www.carlostanga.com/

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