La storia della Galleria Appia Antica. Uno spazio per l’arte non convenzionale
Le vicende dell’eccentrico Emilio Villa e quelle della galleria Appia Antica, inaugurata a Roma nel 1957, rivivono nella mostra allestita nel Complesso di Capo di Bove, sempre sull’Appia Antica. Un colpo d’occhio sulla scena culturale capitolina degli Anni Cinquanta.
“Nasce sulla via Appia Antica una iniziativa che intende stabilire con la pittura e la scultura un contatto rinnovato, libero, pensoso”. Così comincia il testo introduttivo di Emilio Villa alla mostra collettiva Exemplaria, inaugurata il 16 settembre 1957 alla Galleria Appia Antica, all’epoca nuovo polo culturale romano diretto da Liana Sisti con il suo compagno Enrico Cervelli, in via Appia Antica numero 20, all’interno di un complesso di case che comprendeva anche una fornace per ceramica.
LA GALLERIA APPIA ANTICA
Uno spazio concepito come un luogo di incontro e convivialità, fuori dal circuito ufficiale della città, allora localizzato a via Margutta e dintorni. Un ambiente eccentrico, dove alle inaugurazioni non venivano offerti cocktail ma “merende alla romana”, che propone artisti delle ultime generazioni in un’atmosfera caratterizzata da un felice binomio tra contesto archeologico e contemporaneo, grazie all’allestimento curato dall’architetto Enrico Galdieri, che attira fin da subito l’attenzione di un personaggio sui generis come Emilio Villa, considerato da Giovanni Carandente “mentore difficile dell’avanguardia italiana”.
Sarà Villa il deus ex machina della galleria Appia Antica, nonché il direttore della omonima rivista, che ne affianca in parallelo l’attività durata due anni (dal 1957 al 1959) ma caratterizzata da un interesse verso giovani artisti che si muovono nell’ambito di un’astrazione non ortodossa ma proiettata “a rievocare il pregio del simbolo, il valore dell’allegoria, l’energia dei moti essenziali della mente”.
LA MOSTRA SU VILLA E L’APPIA ANTICA
Del resto lo stesso Villa era una figura eclettica: poeta, traduttore della Bibbia, bibliofilo, cultore e appassionato di esoterismo, trova in quell’ambiente alternativo, autogestito e libero dai condizionamenti del mercato un ottimo clima per lanciare i giovani protagonisti delle neoavanguardie: da Mario Schifano a Giuseppe Uncini, da Piero Manzoni a Francesco Lo Savio. Una stagione breve ma libera e intensa, ricostruita oggi con puntualità e precisione da Nunzio Giustozzi, curatore della piccola ma preziosa mostra Un Atlante di Arte Nuova. Emilio Villa e l’Appia Antica, ospitata nel complesso di Capo di Bove sull’Appia Antica fino al 19 settembre. “Ho subito accettato con entusiasmo la mostra, proprio perché era strettamente legata alla storia dell’Appia”, racconta Simone Quilici, direttore del Parco Archeologico dell’Appia Antica. Così, in una sala al piano terra di un ex edificio privato, costruito probabilmente dall’architetto Michele Busiri Vici a pochi passi dalla Tomba di Cecilia Metella, acquistato dal Ministero della Cultura nel 2002 e oggi preceduto dalle rovine di un impianto termale romano inserito in un giardino disegnato da Massimo De Vico Fallani, Giustozzi ha allestito la mostra con dovizia di materiali originali ‒ tra i quali molti inediti ‒ che avrebbero meritato più spazio per essere adeguatamente valorizzati. È stato il prezzo da pagare per proporre la mostra in un contesto simile a quello della galleria originale, di indubbio fascino e suggestione: una volta entrati nello spazio espositivo, dove troneggia un camino in marmo a ricordarne la passata “domesticità”, ci si immerge subito nella koinè romana di quegli anni straordinari. Ecco in una teca gli unici due numeri della rivista con le copertine di Burri e Turcato accanto agli inviti delle mostre con i testi di Villa e soprattutto molte delle opere esposte all’Appia Antica in quegli anni.
LE OPERE IN MOSTRA
Tra queste spiccano Senza Titolo (1958) di Agostino Bonalumi ‒ che espone nel 1959 con Enrico Castellani e Piero Manzoni ‒ accompagnato da una lettera autografa di Villa all’artista, dove lo esorta a “non dire mai attività critica ma entusiasmo, occhi, poesia”, alcune preziose grafiche di Alberto Burri; la scultura Magaria (1958) di Nino Franchina; un importante Oggetto Rosso (1960) di Renato Mambor ; Al reverso (1959), un retro d’affiche di Mimmo Rotella, e Senza Titolo (Scacco) (1956) di Nuvolo, insieme al ritratto dell’artista realizzato da Emilio Villa nel 1958 sul pieghevole della personale di Nuvolo, amico e collaboratore di Burri, presso la galleria La Tartaruga. Ogni opera è una storia e un frammento di vita, che si mescola con i lavori degli artisti oggi meno noti ma allora protagonisti di primo piano come Enrico Cervelli, morto in un incidente d’auto nel 1961, Bruno Caraceni, Edgardo Mannucci o il giapponese Taku Iwasaki, suggerito a Villa dall’amica Topazia Alliata.
Una storia per exempla che meriterebbe ulteriori approfondimenti ma rende giustizia a un clima coraggioso e anticonformista, documentato dall’ottimo catalogo scientifico edito da Electa, con approfonditi contributi di Manuel Barrese, Giorgia Gastaldon, Andrea Cortellessa e Bartolomeo Mazzotta, introdotti dal testo del curatore. Una mostra e un luogo da non perdere per ricordare il clima culturale della Roma degli Anni Cinquanta, così diverso da quello attuale.
‒ Ludovico Pratesi
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