I dimenticati dell’arte. Giovanni Falconetto, i Mesi e il Cinquecento
Questa settimana la rubrica dedicata ai dimenticati dell’arte torna al mondo delle immagini. Però fa un salto indietro di diversi secoli: siamo a Verona e poi a Mantova, fra Quattro e Cinquecento.
Lo avevano soprannominato “il Rosso di San Zeno”, perché abitava alla Beverara, il quartiere intorno alla Chiesa di San Zeno a Verona, dove era nato nel 1468.
GLI ESORDI E IL MATRIMONIO DI GIOVANNI FALCONETTO
Giovanni Maria Falconetto (1468-1535) era figlio del pittore Jacopo, che lo introdusse alla pittura nella sua bottega fin da piccolo. Ma più che ai santi e alle madonne, Giovanni era interessato al mondo dell’antico, anche se da giovane lo troviamo a dipingere con altri colleghi la decorazione ad affresco delle Cappella di San Biagio nella Chiesa dei Santi Nazaro e Celso a Verona, giusto un anno prima di sposare Elena, la figlia di un tessitore del quartiere – dal matrimonio, celebrato nel 1498, nacquero una decina di figli.
L’AMORE DI FALCONETTO PER L’ANTICO
Gli affreschi sono ricchi di citazioni dall’antico; secondo quanto racconta Giorgio Vasari, Falconetto l’avrebbe studiato nel corso di uno o più viaggi a Roma, in Umbria e a Napoli nel corso degli Anni Novanta del XV secolo. Era libero e giovane, si guadagnava da vivere lavorando come disegnatore e copista per altri artisti e nel frattempo disegnava “tutte quelle mirabili antichità, cavando in ogni luogo tanto che potesse vedere le piante e ritrovare tutte le misure, né lasciò cosa in Roma, o di fabrica o di membra, come sono cornici, colonne e capitegli di qualsivoglia ordine, che tutto non disegnasse di sua mano con tutte le misure”, racconta Vasari. Ci immaginiamo il nostro Falconetto disegnare non solo grottesche, capitelli e colonne, ma probabilmente edifici interi, secondo il gusto della cultura antiquaria così in voga alla fine del Quattrocento.
È probabile che l’artista conoscesse non solo il ciclo di affreschi quattrocenteschi sulle pareti della Cappella Sistina ma anche quelli di Melozzo da Forlì nella sacrestia del Santuario di Loreto, tanto che si diceva addirittura che fosse stato allievo dello stesso Melozzo.
LO ZODIACO AL PALAZZO D’ARCO DI MANTOVA
Il Falconetto dà il meglio di sé nella Sala dello Zodiaco, situata all’interno del Palazzo d’Arco a Mantova, abitato all’inizio del Cinquecento da Luigi Gonzaga, padre di Vespasiano Gonzaga duca di Sabbioneta. Fu lui a commissionare all’artista un ambiente rettangolare, interamente affrescato con una serie di scene legate allo Zodiaco, forse ispirate al Ciclo dei Mesi affrescato dal Pinturicchio nel palazzo di Domenico della Rovere a Roma tra il 1480 e 1490, che l’artista poteva aver visto nei suoi viaggi nella Città Eterna.
A Palazzo d’Arco i segni zodiacali compaiono tra le nuvole della scena principale, incorniciata da un arco, che inquadra un personaggio storico o mitologico con un edificio antico sullo sfondo, secondo un’iconografia assai complessa, quasi enciclopedica. Per l’Ariete è stato scelto Muzio Scevola, a indicare l’inizio delle attività militari nel mese di marzo, raffigurato insieme al re Porsenna davanti all’Arena di Verona; per il Cancro il protagonista è Ercole che uccide l’Idra e sullo sfondo troneggia il Colosseo, mentre in basso a sinistra è raffigurato un vecchio con un mantello nero, che potrebbe essere l’autoritratto del pittore. Per lo Scorpione è stato raffigurato un uomo che caccia col falcone, identificato col gigante Orione che andava a caccia con Diana, poi trasformato dalla dea in uno scorpione perché aveva tentato di sedurla: qui la scena si svolge davanti alla Chiesa di San Vitale a Ravenna.
CAPIRE IL CINQUECENTO GRAZIE AI MESI DI FALCONETTO
Sotto le scene principali l’artista ha raffigurato fregi in finto marmo con rappresentazioni mitologiche, mentre sullo sfondo ci sono piccole immagini di persone impegnate nell’attività del mese corrispondente: la pastorizia in aprile, la navigazione in giugno, la mietitura in agosto, la semina per dicembre. Il tutto dipinto a fil di pennello con uno stile pittorico caratterizzato da vivaci cromatismi e descrizioni minuziose, quasi da codice miniato.
Con la Sala dei Mesi, Falconetto ci ha regalato un’ enciclopedia per immagini che unisce storia e mito, archeologia e natura, in uno stato di conservazione quasi perfetto: uno strumento visivo utile per comprendere meglio un’epoca complessa come il Cinquecento.
– Ludovico Pratesi
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