Nik Spatari, l’artista che ideò un parco-museo in Calabria
Lontano dall’attenzione della critica, Nik Spatari scelse di dedicare la propria esistenza all’arte attraverso una ricerca estrema, perentoria e perenne. Porta la sua firma e quella della compagna Hiske Maas il Musaba, parco-museo-laboratorio a Mammola, in Calabria.
Secondo Roland Barthes “Il contemporaneo è l’intempestivo”. Ma se l’artista contemporaneo è intempestivo, fuori tempo, la contemporaneità è la capacità di scorgere e percepire nel nuovo l’arcaico, l’origine. Se è vero che “la chiave del moderno è nascosta nell’immemoriale e nel preistorico” (Giorgio Agamben, Che cos’è il contemporaneo?, Nottetempo, Milano 2008), il contemporaneo è colui che si affaccia alla modernità volgendosi prima al mondo antico per poterne ravvisare l’accesso. Contemporaneo è quindi Nik Spatari, artista che nacque nell’aprile del 1929 e morì nell’agosto del 2020 a Mammola, piccolo paesino calabrese.
LA STORIA DI NIK SPATARI
Spatari rivolse la propria ricerca alla modernità attraverso una continua osservazione dell’arcaico; lontano dai cliché, veicolò attraverso l’arte se stesso e scandagliò minuziosamente il mondo. Durante l’infanzia visse l’orrore della guerra e perse l’udito e la parola ma, assecondando le proprie mani, iniziò a scoprirsi artista. Fu un autodidatta, non riuscì a frequentare le accademie d’arte ma esercitò a lungo il proprio fare pittorico: attratto dal richiamo della propria cultura mediterranea, cercò di scoprirne le verità e saggiò anche, con il proprio estro, più correnti artistiche d’avanguardia, piegandole però alle proprie esigenze espressive. La poliedrica evoluzione artistica di Spatari va contemplata con un’unica visione, poiché ogni opera trascina dietro di sé il racconto densissimo della sua biografia. Le opere giovanili, pur risultando acerbe e dedicate per lo più ai suoi vissuti quotidiani, denotano già una flessibilità pittorica stupefacente e il tratto dell’artista, non ancora pienamente definito, risulta proteso verso l’espressionismo nordico per temi, scelte coloristiche e pennellata. Nel 1955 un evento rivelò l’arte di Spatari alla critica: all’età di ventisei anni, espose circa duecento opere al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria durante la sua prima mostra personale. La mostra, che fu coronata da un brillante successo, lo spinse alla ricerca di ambienti più fertili per la propria arte: si trasferì dapprima a Losanna e poi a Parigi, dove la critica, che accolse positivamente la sua espressività, lo etichettò come artista ribelle. A Losanna creò il Prismatismo, stile pittorico caratterizzato dalla scomposizione coloristica delle tonalità e fondato sulla volontà di utilizzare la tela come un prisma, per poter catturare tutti i colori. Le tele di questa collezione accolgono combinazioni armoniose di colori caldi e freddi, stesi in bande verticali e orizzontali che catturano lo sguardo e introducono la vigilia della fase astratta dell’artista.
SPATARI DA PARIGI A MILANO
Ma fu Parigi, città florida e stimolante, che lo consacrò artista: si mise al cospetto della grande arte, scoprì la validità della propria poetica e un fortissimo amore per l’architettura grazie all’apprendistato presso lo studio di Le Corbusier. Ma dopo essersi messo alla prova, aderendo allo spirito del proprio tempo, le esigenze espressive di Spatari mutarono nuovamente: nel 1966 tornò in Italia, dove a Milano, nel cuore di Brera, fondò insieme alla compagna olandese Hiske Maas la Galleria Studio Hiske, che non adempiva solo alla funzione espositiva ma era un’isola di cultura aperta ad artisti e laici. In quegli anni, l’artista espose in diverse gallerie internazionali e la sua produzione fu tesa a una rielaborazione personale del proprio linguaggio: non rinnegò l’evoluzione parigina, si notano infatti tratti più essenziali e una maggiore consapevolezza figurativa che si avvia alla pittura materica.
Alla fine degli Anni Settanta, alla ricerca di spazi più congeniali alla propria sperimentazione, insieme a Hiske Maas approdò a Santa Barbara, un sito distante pochi chilometri da Mammola. In una natura incontaminata, meravigliosa quanto ostile, i due artisti con lungimiranza trasformarono il progetto di quello che doveva essere uno studio d’artista nel progetto di un parco museo laboratorio: il Musaba, un progetto in progress, la più grande opera di Spatari. La Fondazione, nata dopo varie difficoltà, vuole scansarsi dalle classiche dinamiche di mercato oltrepassando quasi totalmente il tipico ambiente artistico per essere zona franca per l’espressione.
L’OPERA DI SPATARI A MAMMOLA
Spatari a Mammola divenne architetto, ristrutturò la vasta area antica e creò anche la caleidoscopica architettura spatariana: forme plastiche, gioco sapiente di volumi, proporzioni e colore come ricerca di spazialità che, nel rispetto della matrice originale del luogo, adempiono alla funzione di bottega e scuola per giovani artisti. Il primo step del progetto fu la trasformazione del casello ferroviario dell’ex stazione calabro-lucana in abitazione-studio: eliminando le porte e le finestre, Spatari realizzò un cubo con delle feritoie di differenti forme; qui è palese il rimando alla Cappella Ronchamp di Le Corbusier. L’ex chiesa di Santa Barbara accoglie invece il Sogno di Giacobbe, un’opera tridimensionale che racconta con dovizia anatomica e purezza delle tinte la storia di un patriarca della Bibbia, in cui tanto Spatari si rispecchiò. Il capolavoro, conosciuto anche come la “Cappella Sistina della Calabria”, avvolge lo spettatore e lo trasforma in fruitore attivo dell’opera.
La Foresteria, invece, i cui lavori iniziarono nel 2004, è composta da undici “celle d’artista” e dall’area ristoro: un grande triangolo che protegge un chiostro, le cui pareti accolgono un ciclo musivo che narra episodi biblici. In cima alla collina del parco, come una strategica sala di comando, sorge La Rosa dei Venti, spazio espositivo al piano terra e abitazione al primo piano, realizzata da Spatari a partire dal 2008, quando era quasi ottantenne.
SPATARI ARTISTA DA RISCOPRIRE
La Fondazione Spatari/Maas, a partire dagli Anni Ottanta, con varie manifestazioni propose non solo la valorizzazione della cultura e del territorio, ma si impose come volano di un nuovo modello educativo che lo inquadra come uno dei centri artistici più rivoluzionari del Mediterraneo. Spatari fu un fuori tempo, quello che molti oggi definirebbero un fuori classe ma che molti forse definirono sconsiderato. L’arte di Spatari, ancora poco approfondita dalla critica, non può essere solo raccontata ma va compresa contemplando le sue opere: ricorre la volontà di spingersi oltre i confini della tela, scaturisce il rapporto personale che si cela dietro i suoi soggetti, lo studio e la meditazione, non un semplice getto e gesto creativo istantaneo, ma la conoscenza sapiente e un magistero disegnativo esplicitato attraverso la rivisitazione intima e mai tramite la mimesi. L’arte di Spatari, disseminata nel tempo e nello spazio, è indissolubilmente impressa tra i confini del Musaba. L’arte dell’infinito, per l’infinito.
‒ Claudia Pansera
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