Fotografia, buddismo e poesia. In ricordo di Giulia Niccolai
All’indomani della morte di Giulia Niccolai, avvenuta lo scorso giugno, Marco Senaldi ripercorre il suo legame con la fotografa, poetessa e monaco buddista.
La scomparsa inattesa di Giulia Niccolai (Milano, 1934-2021) è un fatto che rattrista profondamente. Ma sono sicuro che, se avesse anche solo sospettato che mi accingevo a scrivere un coccodrillo per lei, per giunta in forma di frisbee, sarebbe uscita in una di quelle sue risate contagiose che era solita regalare.
Si dice che Giulia abbia vissuto tre vite: la prima, quella da fotografa di talento, inviata per Life e Paris Match, rotocalchi per i quali aveva anche realizzato reportage sulle Olimpiadi del 1960; poi quella di scrittrice e poetessa, vicina al Gruppo 63, compagna di Adriano Spatola e affascinata dalla poesia visiva; e infine, dal 1990, monaco buddista. A me, però, è sempre parsa una persona unica – non solo nel senso di unitaria, al di là delle vicissitudini e delle stagioni in cui ci trascina la vita, ma unica nel senso di irripetibile, peculiare, irriducibile ad alcun parametro.
L’ESPERIENZA DEL MULINO DI BAZZANO
Ricordo bene quando, da adolescente, l’ho conosciuta a metà degli Anni Settanta, raggiungendo lei e Adriano al Mulino di Bazzano, dopo un viaggio su un trenino da presepe e l’ultimo tratto in autostop, fino alla grande casa sulle rive dell’Enza. Già allora, quella coppia di poeti che abitava alla periferia di tutto, ed era stata capace di trasformare quell’esilio nel centro di ogni cosa, appariva a me e ai miei amici come un qualcosa di semi-mitologico. Ancora oggi non saprei dire con esattezza che cosa mi condusse fino a lì – ma l’incontro fu comunque superiore a ogni aspettativa. Al mulino infatti si macinava davvero letteratura, si produceva poesia, si faceva arte. E lo si faceva in diretta, bevendo e parlando sul grande tavolo del soggiorno, ascoltando vecchi dischi di Mina, creando nonsense in italoamericano e andando di forbici e colla per creare un nuovo numero della leggendaria Antologia di Geiger (il periodico d’arte e poesia, numerato e firmato, fiore all’occhiello della casa editrice omonima).
GIULIA NICCOLAI E ADRIANO SPATOLA
A quell’epoca, Adriano e Giulia apparivano come un duo poeticamente complementare, ma anche come un duplice nume tutelare dai caratteri ben distinti; se Adriano era istrionesco e teatrale, pur nel rigore di certe sue composizioni accuratissime, Giulia era invece ospitale e apparentemente noncurante, ma dotata di un occhio fotografico quasi implacabile (non le sfuggì la punta acuminata dei miei peraltro abbastanza ridicoli stivaletti da pseudo-cow-boy).
E devo dire che ho sempre ritrovato le medesime qualità anche quando ci siamo rivisti in seguito, nella sua casa di Milano o a qualche lettura di poesia in giro per l’Italia. Al punto che, si sarebbe tentati di dire, non è che Giulia sia stata rispettivamente una fotografa, una poetessa e un monaco buddista, ma piuttosto che in lei fotografia, poesia e buddismo si sono inspiegabilmente fusi in un mélange inimitabile, tanto impossibile da pensare quanto semplice (per lei) da praticare.
È davvero strano quanto tempo ci voglia per rendersi conto di quali sono stati gli incontri che ci hanno formato. Ma mi sento di poter dire che quello con Giulia Niccolai, con il suo giocare a frisbee con l’interlocutore e col suo olimpico sense of nonsense, è certamente stato uno di quelli.
‒ Marco Senaldi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #61
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