La morte di Mimma Pisani. Il ricordo di Laura Cherubini
A pochi giorni dalla morte di Mimma Pisani, compagna di vita di Vettor Pisani, Laura Cherubini ne ripercorre l’esistenza. Condividendo i propri ricordi.
Alla fine degli Anni Sessanta una giovane ragazza timidissima, intelligentissima e coltissima arriva a Roma. Viene a raggiungere l’unico e grandissimo amore della sua vita, contro il parere di suo padre e per questo viene allontanata dalla famiglia e “diseredata” (come lei stessa diceva). È Mimma Bruno (Bari, 1936 – Roma, 2021) e l’uomo che ama è un artista grande, solitario e controcorrente, Vettor Pisani. Vettor partiva dal teatro e Mimma Pisani racconta che dopo l’esperienza a Bari con il gruppo La Gironda (di cui facevano parte anche Michele Mirabella e l’attore Gianni Macchia, poi performer per Vettor), Pisani aveva poi lavorato a Roma al Belsiana di via Frattina con Carlo Cecchi: “Io ero ancora a Palermo con mio padre che si era trasferito lì per non farmi vedere Vettor. Vettor era venuto a Roma l’anno prima di me, io vinsi un concorso e lo raggiunsi, diseredata per questo da mio padre”. Come prima cosa Vettor porta Mimma alla Piramide, al Cimitero degli Inglesi, e le fa spiare da una feritoia del muro di cinta la tomba anonima del poeta John Keats. Sulla lapide l’iscrizione recita: “Here lies One Whose Name was writ in water”.
LE PAROLE DI MIMMA PER VETTOR
Il primo testo che ho letto di Mimma è il testo che scrisse per la bellissima opera di Vettor a Contemporanea nel 1973, la mitica manifestazione messa in piedi da Graziella Lonardi nei sotterranei del parcheggio di Villa Borghese e di cui Achille Bonito Oliva curava la sezione Arte. Avevo diciannove anni, allora non conoscevo nessuno di loro, ma ero stata all’inaugurazione, invitata dalla mia prof. di Storia dell’arte Rosaria D’Angelo che lavorava alla mostra. La ricordo come una delle opere che mi piacque di più all’interno di una mostra che ha inciso profondamente sulla mia vita. Si trattava di una performance che vedeva l’attore Gianni Macchia nudo indossare un corpetto dorato con un seno femminile: il tema era quello della figura dell’androgino, l’uomo totale tagliato in due, la riunione dei due generi. L’androgino è una figura del processo alchemico, riferimento centrale per l’intera opera di Pisani, tutta strutturata secondo il principio metaforico dell’analogia, e l’alchimia, spiega Calvesi, è un sistema di conoscenza del mondo basato sul criterio della corrispondenza. Mimma poi mi dirà che la passione esoterica di Vettor nasce con l’arrivo a Roma e la conoscenza dell’opera di Duchamp.
“Carne umana e oro è il titolo del lavoro di Vettor Pisani sul mito dell’androgino. Come simbolo di unità tra i due opposti maschile-femminile, Pisani ha aggiunto il calco di un petto femminile, in oro, sul petto di un uomo nudo. Sul dorso dell’uomo si cela il coltello che è servito al taglio”, scriveva allora Mimma. “L’uso dei materiali: la carne e l’oro, suggeriscono il passaggio dall’imperfezione alla perfezione, da ricordare l’oro mercuriale, fine della ricerca alchemica”. Molto tempo dopo commenterà Mimma: “Che sia il seno, il piede, la testa, il fallo, qualcosa va tagliato”. Tutto nasce da un taglio, da una ferita originaria. Nella stessa sala c’era uno splendido ritratto di Vettor, della fotografa Elisabetta Catalano. Molti anni più tardi Vettor mi dirà: “Lavoravo sul tema dell’eroe da camera e mi sembrò che quel ritratto fosse una giusta maschera per quella figura”. Lo stesso ritratto faceva da copertina a un ciclostilato distribuito in sala con il testo di Mimma L’eroe da camera. Tutte le parole dal silenzio di Duchamp al rumore di Beuys. Credo fosse il periodo delle domeniche a piedi e dovevo andare al compleanno di un’amica che abitava fuori Roma, ma non potevo usare la mia Mini. Così fui costretta a prendere un bus, unico mezzo di trasporto che solitamente mi fa male, e mi portai dietro quel ciclostilato che mi attraeva e mi incuriosiva. Non sono mai riuscita a leggere su un bus, ma non riuscivo a staccarmi da quel testo acuto, di grande finezza interpretativa, ricco di riferimenti coltissimi e tuttavia poetico. Non avevo mai letto niente di così bello su un artista contemporaneo. Ero incantata. Ce l’ho ancora quel ciclostilato. E, nonostante la maggior parte degli scritti di Mimma siano stati raccolti in un libretto (Horti Lamiani Bettivò, 2011, introduzione di Giovanna Dalla Chiesa), conservo gelosamente tutti i ciclostilati con i testi di Mimma che accompagnavano sempre le mostre di Vettor, allacciandosi a esse.
IL LEGAME TRA VETTOR E MIMMA
Vettor aveva inventato una “macchina celibe” (inizialmente applicata ad alcune cavie ad Amore mio, invitato da Michelangelo Pistoletto, e a se stesso al Castello Svevo, la presenterà anche alla mitica edizione della documenta di Kassel curata da Harald Szeemann con la sorella Luciana), Lo scorrevole, che evidenzia il legame dell’esistenza umana al proprio destino. Una versione dove i performer sono una cavia e Mimma stessa, con occhiali a specchio, viene presentata a Vitalità del negativo, nel 1970, e fotografata da Claudio Abate e Ugo Mulas: sarà la copertina del catalogo della partecipazione italiana alla settima Biennale di Parigi dove addirittura l’opera le è attribuita. Mimma stessa ricordava di aver impresso all’opera, Lo scorrevole (Tavolo caricato a morte), una connotazione di forte denuncia femminista. Poi, in un Plagio reciproco, allo scorrevole ci sarà Maria, la sposa di Pistoletto, fotografata da Elisabetta Catalano. Ma è soprattutto con i testi che Mimma fiancheggia l’opera di Vettor. Su queste stesse pagine Pietro Marino ha usato a ragion veduta l’aggettivo “complice” e complicità è sicuramente la parola che meglio descrive il legame tra Vettor e Mimma.
Mimma era molto fiera del fatto che Giordano Bruno fosse un suo remotissimo antenato. Forse pensava di averne ereditato una forma di scrittura quasi visiva, filosofica e immaginifica. I testi di Mimma sono profondi, ma lampanti; intessuti di citazioni pertinenti, seducenti, direi quasi scintillanti, che gettano luce come brillanti nella fitta trama predisposta dall’autrice; sono testi audaci, densi di cortocircuiti e di accostamenti coraggiosi, inediti e stupefacenti.
LA MOSTRA SU VETTOR PISANI AL MADRE
Quando con Andrea Viliani ed Eugenio Viola abbiamo realizzato la grande e bellissima retrospettiva di Vettor al museo MADRE di Napoli e la successiva importante monografia (Vettor Pisani. Eroica/Antieroica, Electa 2016) abbiamo lavorato a strettissimo contatto con Mimma che ci ha dato la massima collaborazione con tutta la sua energia e tutto il suo amore per Vettor. Con Eugenio abbiamo setacciato il suo archivio che ci ha messo totalmente a disposizione. Consisteva soprattutto in una caotica marea di diapositive (sulle quali abbiamo quasi perso la vista) in genere prive di indicazioni, ma eravamo sostenuti dai suoi vividi ricordi e dai commenti bellissimi che faceva… Quando siamo arrivati in dirittura di arrivo per il librone-catalogo con Andrea abbiamo passato intere nottate nella casa-studio della Piramide (da una ziggurat costruita nel giardinetto Vettor poteva, ancora una volta, vedere la tomba di Keats), riprendevamo un taxi alle 5, alle 6 di mattina e mai Mimma si è tirata indietro, eppure doveva essere stanca, eravamo distrutti noi, continuava ad andare avanti, perché pensava che stessimo facendo insieme qualcosa per Vettor. Quando con Andrea correggevamo le infinite bozze del libro, dove avevamo ripubblicato diversi testi di Mimma, Andrea declamava: “la caverna, i roditori, il pozzo, l’abisso, l’utero, le gallerie, i meandri, i sentieri, i dedali, le budella, l’ombelico, l’ano, i sotterranei, la notte, le acque, le necropoli, le tombe, i canali, il grembo, i magazzini, il sonno, i sogni, le ombre sono architetture terrestri. La scala, la fune, la piramide, la montagna, il palazzo, il serpente, i bastoni sacri, il firmamento, gli alberi frondosi, l’uccello, la roccia, le cupole, le colonne, i monumenti, la sfera, la lampada, la spada, il triangolo, la sfinge, la croce, la messa, il talismano, il sole, il tuono, l’ascia bipenne sono architetture celesti” e commentava: “Bellissimo! Bellissimo! Come si fa a non amare Mimma?”. Erano testi ammalianti come fiabe filosofiche. L’intera opera di Vettor Pisani (e quella parallela di Mimma per lui) va a comporre un grande romanzo di formazione. Vettor e Mimma amavano la letteratura, la poesia, il cinema (Mimma ne scriveva). Amavano gli animali e qui il pensiero va ad Angelina, la scimmietta che viveva con loro e che era stata performer per Vettor alla Biennale del 1978 e a Cicci, la cagnolina che aveva confortato Mimma negli ultimi anni e che andrà a Ischia, l’isola che ha dato origine all’immaginario di Vettor, con Luciana. Vettor aveva costruito un suo Pantheon (da Duchamp a Klein a Beuys, da Böcklin a Khnopff), amava altri artisti, sopra tutti Gino De Dominicis. Mimma diceva che Vettor aveva cominciato a morire il giorno della scomparsa di Gino.
LE MEMORIE DI MIMMA
Ricordiamoci della struggente gabbietta Memorie, una delle prime opere di Vettor: accoglie un crocefisso blu e nere piume di uccello, da essa penzola un topolino in gabbia, non si evade dalla propria gabbia, siamo intrappolati nel nostro destino. Tra le sbarre spunta una rosa blu e sulla parete adiacente la scritta freud in blu colloca la scena nella dimensione dell’inconscio, dell’indissolubile nodo delle profonde pulsioni di Amore e Morte. Ma a coronare l’umile gabbietta da uccellini stanno ritte due figurette che incarnano il maschile e il femminile. Vestono abiti da sposi. Vengono in effetti dalla sommità di una torta nuziale: proprio quella del matrimonio tra Vettor e Mimma. Stanno per ricostituire il mitico androgino?
“Possibile lo scacco, il naufragio dentro l’abisso sconfinato delle apparizioni. La morte abita l’uomo, è la sua propria essenza. Resta la palpitante promessa del ricominciamento, ma altrove”.
Cara Mimma, ti voglio bene come sempre e dedico ora a te queste tue parole nella speranza che in quell’altrove ci sia Vettor con te.
‒ Laura Cherubini
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