Realtà e linguaggio secondo gli artisti. Intervista a Fabio Cavallucci

Alla galleria Enrico Astuni di Bologna, una selezione internazionale di artisti offre un ampio ventaglio di interpretazioni della realtà e dei conseguenti modelli linguistici. Ne abbiamo parlato con il curatore Fabio Cavallucci

Lo scopo della mostra allestita alla galleria Enrico Astuni di Bologna, che riunisce le opere di Maurizio Cattelan, Maurizio Mochetti, Maurizio Nannucci, Giulio Paolini, Agnieszka Polska, Rafaël Rozendaal, Tomás Saraceno, Nedko Solakov, è avviare un dibattito sul ruolo del linguaggio in quest’era digitale. Non vuole essere una soluzione, ma un incipit, anche in ottica futura. L’arte con i suoi linguaggi ci consentirà di mantenere l’autonomia rispetto all’intelligenza artificiale? Parte da queste riflessioni l’intervista al curatore Fabio Cavallucci.

Perché affrontare il tema dei linguaggi oggi?
L’ultimo contributo critico in Italia sui linguaggi dell’arte è di Filiberto Menna con La linea analitica dell’arte moderna. Sono passati ormai quarant’anni e questo è il periodo giusto per aprire un dibattito. Il digitale e la realtà virtuale stanno cambiando il nostro modo di vedere. E di qui a poco vivremo in una realtà aumentata e connessa che si definisce metaverso, con forme di rappresentazione decise da altri. Deciderà l’intelligenza artificiale. Non in maniera dittatoriale, ma quel processo, che si è sviluppato nel corso anche di secoli, di definizione del linguaggio, soprattutto quello visivo, verrà realizzato in pochissimo tempo, da pochi addetti ai lavori, e non più da una comunità ampia. Ecco la necessità di parlare di linguaggi e non di linguaggio. Gli artisti con le loro forme di linguaggio consegnano modalità uniche. Anche nella contraddizione e differenza, rappresentano la vitalità della natura umana, con margini di opposizione e dialogo che fanno progredire.

Nedko Solakov, On the Wing (text on the wings of 6 Boeing 737…), 2001, 12 fotografie a colori montate su alluminio. Courtesy Galleria Enrico Astuni

Nedko Solakov, On the Wing (text on the wings of 6 Boeing 737…), 2001, 12 fotografie a colori montate su alluminio. Courtesy Galleria Enrico Astuni

Il lavoro di Nedko Solakov vuole dimostrare il possibile fallimento della comunicazione?
Io partirei spiegando i suoi Doodles, che sono giochi linguistici. Sono strutturati su vari livelli: quello basato sulle forme e immagini e l’altro basato sulla parola scritta, che diventa un diario e la modalità di definizione dei sentimenti e delle idee. Ci sono modi spesso individuali di comprendere e dire, e lui gioca su queste dinamiche linguistiche individuali, manifestando quindi la difficoltà del linguaggio a essere effettivamente qualcosa di oggettivo.

I neon di Nannucci, invece?
Anche Maurizio Nannucci utilizza l’elemento della parola scritta; lo fa dagli Anni Sessanta con la luce neon. Si sposta dal concetto all’immagine, e quindi lavora sulla percezione rendendo incerto il contenuto della parola stessa. I suoi luminosi giochi di dubbi, in rapporto con l’ambiente dove sono collocati, sono la manifestazione della fallacia della parola nell’esprimere appieno il contenuto.

Tomás Saraceno, Ring Bell Helios, 2019, corda di poliestere, dacron, occhielli, lamina iridescente, fibra di carbonio, nylon. Courtesy Galleria Enrico Astuni

Tomás Saraceno, Ring Bell Helios, 2019, corda di poliestere, dacron, occhielli, lamina iridescente, fibra di carbonio, nylon. Courtesy Galleria Enrico Astuni

GLI ARTISTI E IL LINGUAGGIO

Quali i segnali della trasformazione inevitabile del linguaggio?
Rafaël Rozendaal traspone in arazzi gli algoritmi digitali. Il linguaggio tecnologico si sviluppa autonomamente nei suoi lavori, e l’artista dopo l’input accetta l’elaborazione data. Le sue opere sono pensate per una moltiplicazione di forme possibili, e sono vicine alla pittura astratta del De Stijl. C’è una concomitanza tra questi due mondi: quella di lavorare per un mondo sociale eliminando la dimensione individualistica, abolendo l’importanza del gesto artistico. Mentre Agnieszka Polska mantiene il primato della realizzazione artistica: in una modalità ancora tradizionale, scrive i testi ed elabora i suoi video. Le sue opere trattano del rapporto tra uomo e macchina, ma allo stesso tempo analizza la forma stessa del linguaggio digitale. Vi si pone in maniera critica sottolineando, con forme piacevoli e in divenire, la passività dell’uomo rispetto all’AI.

Quali codici possibili ritroviamo negli artisti esposti in galleria?
Chiaramente Giulio Paolini lavora sul linguaggio dell’arte. È una prigione dorata entro la quale si svolge tutto. Una riflessione che impone il dubbio se questo sistema di linguaggio non rappresenti tutto quello che c’è nella realtà. E incomincia a lavorarci pensando che sia un sistema chiuso, creato nel corso del tempo. Così Paolini mostra da una parte la potenza e dall’altra la debolezza del linguaggio come sistema autoreferenziale.
Maurizio Cattelan lavora in generale con delle forme di linguaggio più vicine alla sfera dei fatti, come se parlasse attraverso le cose, utilizzando sistemi di comunicazione già esistenti del sistema dell’arte. Il suo lavoro richiede una componente performativa e vuole stimolare nello spettatore una critica sul sistema stesso.

E quelli più distanti dal linguaggio dell’arte?
Il minimalismo della materia di Mochetti è vincolato all’idea che la materia sia energia, e soprattutto si lega alle ultime ricerche scientifiche della fisica quantistica. Mochetti si interroga su cosa sia la realtà. Ponendosi il dilemma mette alla prova, anche attraverso la luce, le leggi della realtà. È un linguaggio simile a quello di Tomás Saraceno. Entrambi utilizzano un linguaggio il più naturale possibile. Ma questa dimensione naturale in Saraceno è paradossalmente consentita dalle nuove tecnologie. Sono due artisti vicini, anche se non stilisticamente, al minor margine di interpretazione possibile, vicini al mondo naturale.
Ritornando invece alla primissima domanda, io non sono in grado di dire se l’arte sarà l’ambito di maggiore autonomia, ma certo che questa sarà la sfida in una delle più grandi rivoluzioni dell’umanità.

Antonella Potente

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Antonella Potente

Antonella Potente

Se già da piccolo sai quello che vuoi è un guaio: ho passato le ore più belle a fantasticare del niente e a guardare le figure dell'enciclopedia e mi sono ritrovata a scegliere il Liceo Artistico, perché mi piaceva disegnare…

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