Ha poco più di 10 anni il Nafasi Art Space di Dar es Salaam, ma in questo breve lasso di tempo ha vivacizzato e rafforzato la scena artistica nazionale. La direttrice, Rebecca Yeong Ae Mzengi Corey, racconta la multiforme attività di questa giovane istituzione tanzaniana per l’arte contemporanea, dove l’inclusione e il dialogo sulle tematiche sociali sono pilastri importanti dell’attività. Così che l’arte possa essere un concreto strumento di sviluppo civile.
Come è nato il Nafasi Art Space e come viene finanziato?
L’idea di creare il Nafasi Art Space è nata nel 2009, quando un gruppo di artisti tanzaniani ha iniziato a discutere della necessità di un luogo in cui incontrarsi, scambiare, apprendere e condividere le opere con il pubblico. Fu individuato un grande appezzamento abbandonato nella parte industriale della città. Lungo 150 metro e largo 100, lo spazio era un’enorme tela vuota che presto si sarebbe riempita di persone creative, idee ed espressioni. Il grande magazzino a un’estremità del terreno è diventato la principale sala espositiva, con sei spazi per altrettanti studi d’artista, una biblioteca d’arte e un ufficio per la segreteria e la direzione. Lentamente, nel decennio successivo, quindici container sono stati trasferiti qui dal porto di Dar es Salaam e trasformati in nuovi studi di artisti, due nuove gallerie e uno spazio dedicato ai bambini; infine, altri edifici sono stati costruiti in muratura, per soddisfare la domanda quando il centro è diventato un polo di attrazione per la comunità artistica.
Il Nafasi è finanziato attraverso commissioni sulle opere vendute dalle sue gallerie, dai contributi di associazione degli artisti che utilizzano lo spazio, dall’affitto delle varie sedi, dalle donazioni individuali, dai contributi alle nostre campagne di crowdfunding online, e infine tramite sovvenzioni di donatori e finanziamenti basati su progetti da una varietà di partner.
Quali sono i suoi scopi?
L’obiettivo centrale del Nafasi Art Space è elevare e promuovere il potenziale umano attraverso il mezzo dell’arte contemporanea. Nel corso degli anni, Nafasi si è concentrato sul sostegno agli artisti e nel cercare di aumentare il pubblico interessato all’arte concettuale tanzaniana, sia all’interno del Paese che in tutta la regione dell’Africa meridionale. Le nostre principali aree di interesse sono lo sviluppo degli artisti, il coinvolgimento del pubblico, la costruzione di partnership e reti e l’aumento della sostenibilità e della resilienza del settore artistico. Il Nafasi è sempre stato uno spazio di sperimentazione, collaborazione e innovazione. Gli artisti visivi contemporanei hanno lavorato al fianco di ballerini, musicisti, registi, stilisti e altri creativi contemporanei, poiché lo spazio è aperto a espressioni artistiche multidisciplinari e ha incoraggiato un approccio ludico e critico insieme, per mettere in discussione e persino smantellare i confini artificiali tra le discipline.
Il Nafasi ospita regolarmente mostre collettive e personali, un programma internazionale di residenze per artisti che ne ha accolti più di cento provenienti da oltre 30 Paesi (13 dei quali africani), eventi e festival artistici multidisciplinari, proiezioni di film, dibattiti sull’arte e simposi. Abbiamo anche ospitato più di 100 workshop per artisti in teoria, tecnica e imprenditorialità e nel 2020 abbiamo avviato la Nafasi Academy, un percorso artistico di un anno basato sulla ricerca e sviluppato localmente che enfatizza la scoperta delle pratiche artistiche contemporanee per giovani aspiranti artisti tanzaniani, in particolare quelli provenienti dalle fasce sociali più vulnerabili.
LA CULTURA IN TANZANIA
Sei una donna e dirigi il Nafasi Art Space. Il NAS è coinvolto nella lotta per migliorare il ruolo delle donne non solo nell’arte, ma anche nella società? La cultura può essere un ottimo strumento per raggiungere un simile obiettivo, sei d’accordo?
Il Nafasi è interessato a creare uno spazio di vera uguaglianza, sicurezza e libertà per tutti, indipendentemente dall’identità e dalla provenienza degli artisti. Lavoriamo collettivamente per cercare di costruire una coscienza di solidarietà all’interno del nostro spazio, dove vengono riconosciuti i contributi creativi di ognuno. Una delle cose più belle per me del Nafasi è la sua inclusività e il fatto che quasi tutti coloro che trascorrono del tempo nello spazio finiscono per scoprire le proprie capacità artistiche, sia come curatore, sia come pittore, sia come scultore, o altro. È particolarmente gratificante vedere come l’arte può essere un rifugio e un veicolo per trasformare la vita di persone emarginate e vulnerabili, e questo include certamente le donne.
Qual è stata la tua esperienza in questo senso?
Quando sono entrata in Nafasi per la prima volta nel 2016, c’erano pochissime artiste che lavoravano sia al centro sia professionalmente in Tanzania. A quel tempo, uno degli atteggiamenti prevalenti era che le donne semplicemente non fossero interessate o non fossero in grado di diventare le migliori artiste del Paese. Abbiamo lavorato duramente per coinvolgere più artiste, curatrici e art manager, e ciò ha lentamente trasformato il Nafasi in un luogo molto più equilibrato in termini di genere, e inoltre ciò ha ampliata la prospettiva degli artisti già membri. È stimolante vedere artiste sicure delle loro voci, parlare direttamente delle loro esperienze e rifiutare il punto di vista maschile che ha così spesso dominato l’arte sia in Tanzania che in tutto il mondo. L’arte può certamente essere un potente strumento per liberare le persone, ma ovviamente questo deve essere fatto con riferimento alla società nel suo insieme, riconoscendo le forze e le strutture economiche, politiche e sociali che mettono in pericolo o danno potere alle persone. L’arte sfida le persone a porre domande, a pensare più profondamente ed è fondamentale per l’umanità. Come tale ha un potenziale infinito per catalizzare (e anche riflettere) la trasformazione della società.
LA TANZANIA E L’ARTE CONTEMPORANEA
Come definiresti l’arte contemporanea tanzaniana?
La Tanzania ospita alcuni dei più antichi esempi di arte conosciuti al mondo, con dipinti rupestri che si stima abbiano più di 40.000 anni. Tuttavia, storicamente, l’espressione culturale della Tanzania è stata spesso più orientata verso l’espressione collettiva e comunitaria piuttosto che verso l’individuo. L’arte visiva contemporanea concepita secondo l’idea europeo-occidentale è una scoperta relativamente recente in Tanzania. Alcuni artisti, come il compianto George Lilanga, hanno riletto l’arte tradizionale locale su canoni contemporanei a partire dagli Anni Settanta. Dal 2010 in poi, gli artisti del “circolo Nafasi” si sono concentrati sulla rappresentazione delle particolarità della vita urbana a Dar es Salaam, dagli ingorghi del traffico al settore del lavoro informale (Lute Mwakisopile, Masoud Kibwana e altri). Altri come Rehema Chachage e Valerie Amani hanno esplorato la performance, la video arte e l’installazione in modi che riflettono la loro esposizione a un mondo dell’arte globalizzato e digitalizzato, ma attraverso posizioni e punti di riferimento distintamente tanzaniani.
Quali sono le caratteristiche che differenziano l’arte tanzaniana da quella di altri Paesi africani?
È una domanda interessante, e direi che ogni scena artistica in Africa ha sviluppato una propria identità visiva unica e tende ad avere una serie di problematiche e domande condivise, in particolare sulla posizione dell’Africa nell’economia politica mondiale e sulle esperienze storiche che ci danno un fondamento comune, se non identico. Attraverso scambi con artisti come Kresiah Mukwahzi (Zimbabwe), Option Dzikamai (Zimbabwe) e Serge Diakota (DRC) e curatori/direttori di centri artistici come Taonga Kaseka (Zambia) e Vitshois Mwilambwe (DRC), abbiamo esplorato questi punti di convergenza e differenza, e quindi penso che questa sia una caratteristica che definisce di recente l’arte contemporanea tanzaniana: la sua urgenza di essere in contatto con l’arte di altri Paesi africani.
Ci sono alcuni temi, come i diritti umani, l’uguaglianza di genere, la protezione dell’ambiente, in cui NAS è particolarmente coinvolto con il suo programma culturale?
Una delle linee guida di Nafasi è che agli artisti debba essere data piena libertà creativa per parlare delle questioni che sono importanti per loro attraverso il loro lavoro, e che, fornendo un luogo sicuro e di supporto dove possono farlo, affronteranno sicuramente argomenti come diritti umani, uguaglianza di genere, ambientalismo, ecc., ma non perché gli venga dato un particolare incentivo a farlo oltre al proprio desiderio. Spesso questi argomenti corrono il rischio di essere cooptati da certe forze ideologiche che finiscono per costringere gli artisti a produrre un particolare tipo di lavoro che articola certezze, risposte e pensiero binario, piuttosto che domande, sfumature e complessità, ed è qui che invece vogliamo sviluppare il lavoro.
Ci fai qualche esempio?
In questo momento stiamo concludendo una residenza tematica di tre mesi chiamata “New Shapes” ispirata all’affermazione di Kahlil Gibran secondo cui “l’arte nasce quando la visione segreta dell’artista e la manifestazione della natura concordano nel trovare nuove forme“.
Il programma è interessato a esplorare interrogativi artistici sulla natura e l’ambiente, il lavoro, la cultura e la storia, come un modo per suggerire futuri alternativi di armonia e sostenibilità di fronte al cambiamento climatico, che sta già colpendo molto la Tanzania, sotto forma di siccità, inondazioni, caldo estremo, ecc. Come parte di questo programma abbiamo creato scambi con artisti e curatori in Tanzania, Messico e Sudafrica, e abbiamo anche organizzata una residenza di ricerca di dieci giorni sui monti Uluguru nei dintorni di Morogoro, in Tanzania, dove la maggioranza degli abitanti sono agricoltori. Questo approccio transdisciplinare cerca di individuare fonti di conoscenza al di fuori del consueto, per poi condividerle artisticamente nella speranza di raggiungere un nuovo pubblico e iniziare un diverso tipo di discorso sull’ambientalismo. Molti dei nostri partner e donatori ci sostengono specificamente perché hanno visto come la nostra strategia di dare priorità alla libertà artistica finisce per portare a un lavoro forte che affronta proprio i temi a cui sono interessati, ma in modi inaspettati, sorprendenti e che sfidano lo status quo.
LE ATTIVITÀ DEL NAFASI ART SPACE
Su quali temi prendete posizione?
Ci sono questioni particolari su cui ci relazioniamo fortemente e su cui prendiamo posizione, come la dignità delle persone e delle culture africane e la necessità che gli artisti e le istituzioni artistiche facciano parte della lotta per dare giustizia a coloro che sono oppressi.
In definitiva, c’è sempre un senso di negoziazione fra artisti, istituzioni, donatori, pubblico, enti governativi, ecc. su significati e approcci, e dobbiamo essere onesti su questo. Ma cerchiamo punti di allineamento in modo da poter lavorare insieme verso i nostri obiettivi condivisi che sono maggiore libertà e interazione sociale per tutti.
Cosa sta facendo il governo della Tanzania per sostenere la cultura nel Paese? Ci sono programmi specifici a cui può partecipare anche il Nafasi?
Nella sua strategia, il governo si concentra molto sulla conservazione della cultura e dell’artigianato tradizionali, cosa che trovo giusta in quanto queste espressioni rischiano sempre di svanire con l’assalto implacabile della cultura globalizzata, che è principalmente guidata dal Nord America, ma anche da altre aree del mondo, persino certe aree urbane aperte al business in Tanzania come in tutto il continente africano. Il Bagamoyo College of Arts (TaSUBa) e il Makumbusho Village Museum, ad esempio, sono istituzioni specificamente finalizzate alla formazione continua nelle arti tradizionali, nell’artigianato, nell’architettura e nello spettacolo. Sfortunatamente, questo significa che non c’è molto supporto per l’arte contemporanea, tuttavia diversi partner internazionali hanno investito per vari decenni in questo settore, e quindi soprattutto a Dar es Salaam, dove ha sede il Nafasi, c’è una scena culturale piuttosto dinamica e strutturata. Per quanto ne so, il governo non ha attualmente fondi specifici per iniziative culturali, anche se negli ultimi anni ci sono state molte discussioni e pressioni sull’argomento.
Avete in programma di avviare nuove collaborazioni con istituzioni culturali straniere, in Africa e in altri continenti?
È un nostro vecchio desiderio quello di collaborare con le istituzioni culturali di tutto il mondo, specialmente dove c’è una connessione in termini di valori e obiettivi. Siamo fortunati ad aver beneficiato molto di tali collaborazioni in passato, con istituzioni come KinArt Studio in RDC, Modzi Arts in Zambia, Arquetopia Foundation in Messico e Perù, Waza Art Center in RDC, Kuona Arts Trust in Kenya, 32 Degrees East in Uganda, Z/KU in Germania, Fabrikken in Danimarca e altri. Ci piacerebbe continuare a costruire questa rete di operatori culturali poiché abbiamo visto quale grande supporto può fornire agli artisti e quali opportunità di scambio e crescita.
Come immagini la Tanzania nei prossimi 10 anni? E quale può essere il ruolo degli artisti?
La Tanzania è un luogo incredibilmente emozionante e meraviglioso con una storia profonda e una cultura variegata, che ha dato contributi intellettuali (e materiali) alla liberazione del continente, oltre a creatività e innovazione continue. Come abbiamo visto negli ultimi due anni, viviamo in tempi turbolenti pieni di incertezze. E gli artisti hanno un ruolo molto importante perché il futuro è sempre in divenire. Attraverso l’immaginazione e la visione, rivelateci dagli artisti, questo futuro può essere più gentile, giusto e bello. Almeno questa è la mia grande speranza.
‒ Niccolò Lucarelli
https://www.nafasiartspace.org/
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