I dimenticati dell’arte. Alessandro De Feo, l’avvocato romanziere
Si era laureato in Giurisprudenza solo per volontà del padre. Ma poi ha fatto il giornalista, lo sceneggiatore e il romanziere. La storia di Sandro De Feo, immigrato pugliese che elesse Roma a città di adozione.
Era stato suo padre Angelo De Feo, funzionario del Ministero degli Interni, a obbligare il figlio Alessandro (Modugno, 1905 – Roma, 1968) a laurearsi in giurisprudenza per intraprendere una carriera da avvocato a Roma, dove il giovane si era trasferito dalla Puglia, regione di origine della famiglia. Ma non erano certo le aule dei tribunali a interessare Sandro, quanto la terza saletta del Caffè Aragno su via del Corso, luogo d’incontro di scrittori, giornalisti e artisti, dove passavano personaggi come Giorgio de Chirico, Vincenzo Cardarelli o Emilio Cecchi.
SANDRO DE FEO TRA GIORNALISMO E CINEMA
Invece di utilizzare la penna per scrivere atti o ricorsi, il giovane De Feo comincia a collaborare come giornalista all’Ora di Palermo, per essere poi chiamato nel 1933 nella redazione del Messaggero dall’allora direttore Francesco Malgeri, che ne aveva fiutato il talento, prima alla sezione esteri e poi agli spettacoli, dove De Feo ricopre l’incarico di critico cinematografico fino al 1943.
Negli stessi anni comincia un’attività presso la società Cines, che aveva come direttore artistico Emilio Cecchi: il suo primo lavoro è la sceneggiatura del film Ragazzo, scritta insieme a Nino D’Aroma, girato nel 1934 da Ivo Perilli. La pellicola, mai proiettata e andata perduta durante la guerra, è nota per due motivi: è stata la prima produzione sonora di taglio realista e l’unica a essere censurata dal regime fascista per motivi mai chiariti.
DE FEO CRITICO TEATRALE
Nonostante un esordio non dei più fortunati, il suo lavoro nel cinema prosegue per vent’anni e lo porta a collaborare con registi di rango come Roberto Rossellini – per il quale scrive la sceneggiatura di Europa 51 insieme a Ivo Perilli –, Mario Pannunzio e Brunello Rondi.
Nel dopoguerra De Feo comincia a scrivere per Il Corriere della Sera, mentre nel 1955, quando Arrigo Benedetti fonda il settimanale L’Espresso, gli affida la rubrica dedicata agli spettacoli teatrali, che De Feo mantiene fino alla morte, orientando i suoi gusti tra rispetto della tradizione e interesse per le avanguardie non convenzionali ma strutturate e contribuendo alla notorietà di talenti come Luca Ronconi.
I ROMANZI DI ALESSANDRO DE FEO
Il suo gusto è finissimo e la scrittura è leggera ma penetrante, attenta anche ai risvolti della vita sociale della Capitale, colta dallo sguardo di un intellettuale meridionale, amante dei salotti e dei caffè, in un momento dinamico e stimolante come l’alba degli Anni Sessanta.
Non a caso, De Feo dedica a Roma il suo primo romanzo, Gli inganni, pubblicato nel 1962 da Longanesi: il protagonista è Antonio, venuto a Roma da Bari per lavorare nel cinema, dove trascorre 24 ore della sua esistenza in una città cinica ed indifferente, e “con lo scirocco passa la voglia di tutto”. L’anno successivo esce la raccolta di racconti La Giudia e nel 1967 il secondo romanzo, I cattivi pensieri, che entra nella cinquina del Premio Strega.
Sandro parla di Roma “con spirito che oggi possiamo quasi definire profetico, come di un luogo abitato essenzialmente da stranieri, da gente arrivata da fuori, magari per un semplice periodo di vacanza, e mai più riuscita a liberarsi dai lacci della città. La metafora fondamentale di questa esperienza è, sulla pagina di De Feo, quella di un progressivo e inesorabile insabbiamento”, scrive Emanuele Trevi in un articolo uscito su Repubblica nel 2005, colpito dal fatto che la fama dello scrittore fosse quasi del tutto cancellata. Ed era così fino all’anno scorso, quando la casa editrice Cliquot – specializzata in ottimi repêchage letterari – ha ripubblicato dopo sessant’anni Gli inganni, con una prefazione di Massimo Raffaeli.
– Ludovico Pratesi
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