Essere curatrici indipendenti oggi. La storia di Caterina Avataneo
Quali sono le peculiarità del lavoro di un curatore indipendente? E quali dinamiche costituiscono il rapporto con gli artisti? A rispondere è Caterina Avataneo, assistente curatrice del Padiglione Lituania per la 58. Biennale di Venezia, vincitore del Leone d'Oro, e attualmente membro del team curatoriale per il programma di residenza presso Cripta747
Il lavoro del curatore è svariato e multisfaccettato. Innanzitutto, come suggerisce la parola stessa, curare implica “prendersi cura”… delle opere, degli artisti, dei visitatori. Il curatore deve sapersi immedesimare nell’altro, gestire decisioni tecniche, organizzative e amministrative, lasciando agli artisti la mente libera per la creatività. Il curatore deve mediare, contestualizzare i lavori nello spazio e i lavori tra loro, senza dar nulla per scontato e rendendo idee complesse accessibili, ma non semplificate. Curare ha una dimensione etica fondamentale, perché significa negoziare utenze e committenze assicurandosi che mai ci si dimentichi che essere artisti è un lavoro, non una passione.
COSA SIGNIFICA FARE IL CURATORE
Fare il curatore, poi, non è solo un lavoro pratico, ma anche creativo e critico. Significa essere aggiornati, osservare le dinamiche del mondo e capirne le radici; dal momento che l’arte non è per sé – distaccata dalla vita – ma contingente e legata al contesto storico, politico, culturale e sociale, nonché allo spazio e alle esperienze vissute.
Ciò che più mi piace dell’essere curatrice è che curare significa lavorare insieme, e soprattutto non smettere mai di imparare. La curatela ha il potenziale enorme di agire sulle dicotomie della modernità per complicarle, parlando attraverso il pensiero e il lavoro di artisti, ricercatori e teorici e approcciandosi a questi come una lente, o meglio un caleidoscopio, che rivela complessità e molteplici possibilità del reale.
Dal 2015 curo mostre e progetti presentando prospettive che deviano dalle interpretazioni dominanti della realtà. Ho esplorato nozioni di tempo lineare, misticismo, liminalità, contagio, superficie e natura; e negli ultimi anni mi sto dedicando all’oscuro e al negativo. Nei miei progetti sono trasversale e intuitiva, mescolando medium e generazioni. Nel tempo ho costruito rapporti profondi e di stima con artisti, che si sono tradotti nell’esigenza di lavorare insieme su mostre personali o testi (tra questi, Chiara Camoni, Leonor Serrano Rivas, Miriam Austin, Anastasia Sosunova, Irati Inoriza, per citarne alcuni). Mi piace generare scambi e contaminazioni e dal 2019 ho iniziato una serie di sperimentazioni con un format espositivo basato su collaborazioni a due, tra artisti le cui pratiche utilizzano mezzi o linguaggi molto diversi.
IL LEGAME TRA CURATORE E ARTISTA
Mi interessa capire come un curatore indipendente possa lavorare con gli artisti in modo organico, aggiungendo un elemento o un pensiero uno dopo l’altro e creando di conseguenza una certa intimità; riconoscendo l’urgente necessità di abbandonare l’illusione di individualità e trovando altri modi per forgiare alleanze (tra gli artisti partecipanti a questi esperimenti: Anna Barham, Diego Delas, Rolf Nowotny, Rory Pilgrim, Giuliana Rosso, per citarne alcuni). In questo senso lavorare come assistente curatrice per Sun & Sea, presentato per il Padiglione Lituania alla 58. Biennale di Venezia, è stato davvero fondamentale e vicino alle metodologie di curatela che più mi interessano.
L’arte e la curatela possono contribuire a plasmare il pensiero, e il pensiero a sua volta plasma il modo in cui viviamo. Spero quindi di essere in grado, con il mio lavoro, di saper produrre un sapere indisciplinato, contraddittorio e caotico, che metta in discussione la realtà e la sua percezione, fino a reinventare il modo di far emergere i temi più urgenti.
Infine curare significa anche essere attenti a ciò che in inglese viene definito come agency, ovvero chi o cosa ha un potere d’azione che confluisca nella mostra (e non solo). Ciò significa sapersi aprire a voci diverse, queer, umane e non (come agenti fisici, naturali, animali e tecnologici, tempo, spazio, architettura, oggetti e così via). “Prendersi cura” diventa quindi la capacità di ascoltare, recepire e ricevere, per poi comunicare e condividere.
‒ a cura di Dario Moalli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #63
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