Artista e collezionista. Intervista ad Albert Oehlen
Non solo artista, ma anche collezionista. Albert Oehlen porta al MASI Lugano una serie di opere che appartengono alla sua raccolta, alternandole alle proprie. Lo abbiamo intervistato per saperne di più
È un legame viscerale e senza compromessi quello che unisce Albert Oehlen (Krefeld, 1954) alla pittura. Non incasellabile in definizioni, movimenti o etichette, lo stile dell’artista tedesco ha affermato la propria coriacea indipendenza a più riprese, scegliendo il linguaggio pittorico quando la sua impopolarità era evidente e decostruendone le categorie formali. Nelle mani di Oehlen figurazione e astrazione diventano recinti da scavalcare, insieme all’interpretazione a tutti i costi del contenuto dell’opera.
Come riportato nel catalogo che accompagna la mostra allestita al MASI Lugano, la posizione assunta dall’artista su questi temi è sempre stata netta: “In realtà non mi interessa il significato dei quadri. Le persone possono interpretarli come vogliono. La pittura, secondo me, significa provare ad allontanarsi il più possibile dal significato, e questa è forse la cosa più difficile di tutte. In realtà, cerco solo di creare qualcosa di nuovo ogni volta. Sono uno sperimentatore che riesce a convivere con le contraddizioni e con gli errori che la sperimentazione comporta”.
LA MOSTRA E LA COLLEZIONE DI OEHLEN
Un approccio aperto e fluido, echeggiato dall’attività collezionistica di Oehlen, che nella mostra svizzera riveste un ruolo complementare a quello di artista. Fin dal titolo – “grandi quadri miei con piccoli quadri di altri” –, l’esposizione gioca sul filo dell’acume e dell’ironia per sovvertire catalogazioni e logiche di facciata: una selezione di opere incluse nella raccolta di Oehlen (i “piccoli quadri di altri”, che in realtà hanno spesso dimensioni molto ampie) sono al cospetto della pittura dell’artista (i “grandi quadri miei”), innescando dialoghi inaspettati e mai definitivi, che svelano non solo l’orientamento di Oehlen nei confronti del suo stesso medium, ma anche le traiettorie del desiderio di un collezionista animato dall’impulso, per sua stessa natura allergico alle mediazioni.
La mostra a Lugano procede nel solco dell’intuizione, accostando a opere che racchiudono l’inquieta energia creativa di Oehlen – capace di spaziare dalle colate di colore degli Anni Novanta ai richiami pop di inizio Anni Zero fino all’acceso minimalismo cromatico del 2020 con Space is the Place – lavori di Mike Kelley, Richard Phillips, Daniel Richter, Paul McCarthy, Rebecca Warren, Gino De Dominicis, Richard Artschwager, Duane Hanson e Julian Schnabel. Alla stregua della pittura, anche il collezionismo per Oehlen non conosce dinamiche ferree, ma conversazioni liquide, mutevoli, non per forza comprensibili e certamente non didascaliche, tuttavia di una potenza visiva indubitabile. Proprio come la mostra progettata dallo stesso Oehlen per il museo elvetico.
INTERVISTA AD ALBERT OEHLEN
In questa mostra lei è l’artista, il collezionista e anche il curatore. Come ha combinato i tre ruoli e che cosa hanno in comune, dal suo punto di vista?
Collezionista e curatore hanno qualcosa in comune. Come artista ho un ruolo diverso e, sempre come artista, in rapporto agli autori delle opere, possono entrare in campo sentimenti come l’ammirazione, il rispetto, l’invidia.
Essere un artista, in particolare un pittore, influenza le sue scelte come collezionista?
Sì, l’opera può confermare qualcosa che voglio esprimere con il mio lavoro. Oppure essere qualcosa che trovo del tutto impossibile.
Parlando di scelte, in base a quali criteri ha selezionato le opere della sua collezione da includere nella mostra insieme ai suoi dipinti?
Ho cercato di non prendere in considerazione la fama né il valore di mercato.
C’è una logica specifica che ha guidato l’allestimento della mostra e il dialogo tra le opere?
Poiché non ci sono uno o più temi generali in questa raccolta di opere, ho dovuto raggrupparle in qualche modo. Mentre lo facevo, ho individuato un paio di argomenti che sembravano interessarmi. L’iperrealismo e le strade parallele al Surrealismo, ad esempio.
Il titolo della mostra è geniale. Ritiene che l’umorismo conti nell’essere un artista (e anche un collezionista e magari un curatore)?
Credo che l’umorismo sia così essenziale nell’arte e nella vita che non sia necessario pensarci molto. Le opere, al pari delle persone, che si portano dietro il loro umorismo come una etichetta non sono divertenti.
Qual è la necessità che la guida nel momento in cui sceglie un’opera da aggiungere alla sua collezione?
Non lo so. Vedo una cosa e penso: ecco!
‒ Arianna Testino
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #26
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati