Organizzazione culturale di respiro pan-africano, African Artists’ Foundation è nata quasi quindici anni fa con l’obiettivo di consolidare la scena artistica contemporanea di tutto il continente. Un obiettivo ambizioso, che non prescinde dall’educazione dei giovani, dall’inclusione sociale e dal ruolo delle donne. Il direttore Azu Nwagbogu ci ha raccontato i tanti progetti e i risultati ottenuti in questi anni di duro ma entusiasmante lavoro.
Con quali motivazioni è nata l’African Artists’ Foundation?
La Fondazione è stata creata nel 2007 per rispondere a specifiche esigenze dell’epoca. In particolare, si sentiva l’urgenza di stabilire un discorso artistico su basi locali e di supportare gli artisti nella loro pratica. E quindi abbiamo ideato vari programmi e iniziative per rispondere a queste esigenze: prima di tutto, dovevamo creare uno spazio per lo scambio artistico e la produzione di cultura. Il nostro progetto più grande è il Festival LagosPhoto, che si svolge dal 2010. Siamo riusciti a sviluppare varie occasioni di coinvolgimento della comunità, fra cui progetti educativi per i giovani, come gli Youth Empowerment Programs, e abbiamo anche creato un’infrastruttura per gli artisti emergenti e le comunità sottorappresentate attraverso i programmi Artist and Curators in Residence e Female Artists’ Platform. Il nostro spazio della galleria AAF ospita fino a cinque mostre ogni anno, con gli artisti del continente, e parallelamente si tengono momenti di interazione con il pubblico, come workshop, incontri con gli artisti, proiezioni di film, il Club dei collezionisti, tavole rotonde e aperture speciali della biblioteca della Fondazione. E proprio lo scorso dicembre abbiamo lanciato una serie di podcast, chiamata Eziokwu (Verità), attraverso la quale intendiamo esplorare l’arte e la cultura africana contemporanea e il suo potenziale creativo. Oggi il panorama è molto diverso da come era nel 2007 e siamo coinvolti in altre azioni. Siamo molto impegnati, ad esempio, sul concetto di “restituzione” e sulla questione del futuro della museologia in senso globale, ma soprattutto continentale. Stiamo cercando di “disimparare” le vecchie pratiche e pensare alle nuove metodologie che potrebbero essere implementate lavorando con le collezioni. Questa è la cosa emozionate nel lavorare con l’arte contemporanea.
Quali sono gli scopi della Fondazione?
Principalmente ci preoccupiamo della giustizia sociale, di come l’arte può far riflettere nelle situazioni in cui essa manca, e di ciò che gli artisti possono fare per rafforzare il dibattito su questa grande questione della nostra epoca. Il concentrarsi su genere, geografia, identità e altre etichette e mezzi di categorizzazione ha creato una sorta di gerarchia sociale e la mia opinione è che dobbiamo dissolverla, e ricostituire alcune di queste nozioni per creare nuovi sistemi e strutture in cui anche l’arte possa muoversi con più agio.
LE DONNE E L’ARTE IN AFRICA
Qual è il ruolo delle donne africane nell’arte? E come funziona la Female Artists’ Platform?
Per essere sicuri che lo sguardo e la voce femminili sottorappresentati siano prominenti, abbiamo pensato diversi progetti espressamente dedicati alle donne nel mondo dell’arte, ad esempio in occasione dei nostri laboratori di fotografia, che progettiamo sempre in collaborazione con istituzioni specializzate e partner. In quest’ambito, abbiamo collaborato con Anna Fox (Women in Photo) nel Regno Unito per educare e guidare le giovani donne verso la fotografia all’interno di LagosPhoto; inoltre, stiamo lavorando con Zanele Muholi e il suo progetto a Durban. E ancora, nell’edizione 2019 di LagosPhoto, Time Has Gone, il focus era sulle donne, sia per quanto riguarda l’alta presenza di fotografe, sia nell’avere un team curatoriale tutto al femminile. Recentemente AAF ha presentato una mostra, Unusual Suspects, incentrata sulle artiste e attualmente il programma Artist in Residency ospita due giovani artiste contemporanee, Ayanfe Olarinde e Kelechi Chiwendu, che abbiamo selezionato per il loro talento e per gli argomenti che sviluppano.
AAF è particolarmente impegnata nel migliorare il ruolo delle donne non solo nell’arte, ma anche nella società? La cultura può essere un ottimo strumento per raggiungere un simile obiettivo, sei d’accordo?
In questo momento stiamo costruendo nuovi percorsi per rispondere alle esigenze della condizione del mondo dell’arte post-pandemia del Ventunesimo secolo, che sia consapevole della necessità di una società più giusta ed equa e dei benefici che ne derivano per tutti. E poi siamo molto interessati a un eccezionale esempio di lavoro sul campo, cui ho fatto riferimento prima, che viene della BaMu Arts Foundation, fondata da Zanele Muholi e dal Dr. Bajabulile La Dhlamini-Sidzumo, che rende l’arte accessibile a una comunità più ampia e crea opportunità per giovani artisti di utilizzare il loro talento (si tratta del progetto con la comunità rurale di uMbumbulu, a sud di Durban, N.d.R.). Stiamo cercando di supportare il loro fantastico lavoro e stiamo pianificando una collaborazione per l’anno 2022. AAF ha sostenuto i giovani professionisti che sono scesi per le strade di Lagos nell’ottobre 2021, nelle proteste contro la brutalità della polizia, parte del movimento End SARS. Abbiamo sostenuto la nostra gente, per le strade, standole accanto.
PROGETTI E MOSTRE DELL’AFRICAN ARTISTS’ FOUNDATION
Vorreste stabilire collaborazioni con istituzioni estere?
Sì, AAF è sempre aperta alla collaborazione. Recentemente abbiamo sviluppato un programma di scambio di residenze per giovani professionisti e artisti con HANGAR, un centro di ricerca artistica di Lisbona. Stiamo anche sviluppando l’agenda per i prossimi anni con le organizzazioni partner governative e non profit a Berlino, Amsterdam e Parigi. Per il 2022-2023 stiamo pianificando un grande progetto di mostra sul viaggio, Dig Where You Stand, che si basa su un modello rigenerativo per un più ampio impegno sulle questioni della diaspora panafricana, che toccherà anche questioni come la decolonizzazione e il rimpatrio. Si tratta di un progetto congiunto tra AAF, il Savannah Center for Contemporary Art (SCCA) a Tamale, in Ghana, diretto da Ibrahim Mahamma, il Cercle d’Art des Travailleurs de Plantation Congolaise (CATPC) e White Cube di Lusanga, in Congo, avviato da Renzo Martens.
Qual è l’idea alla base di questa mostra?
Indagare il ruolo degli artisti che lavorano all’interno del mondo dell’arte, ma che utilizzano i suoi meccanismi commerciali in modi innovativi per educare i giovani artisti delle comunità in cui lavorano e vivono. SCCA, White Cube e AAF sono esempi di istituzioni rigenerative orientate al futuro. Dig Where You Stand verrà lanciata il 1° maggio 2022 presso SCCA a Tamale e viaggerà attraverso il continente e forse raggiungerà l’Asia, l’Europa o qualsiasi altro Paese al di fuori dell’Africa.
Cosa stanno facendo i governi africani, in generale, per sostenere la cultura in Africa?
Oggi i governi devono essere lungimiranti e comprendere che la pluralità di voci e opinioni è un fattore chiave per il progresso sociale. Dobbiamo identificare gli aspetti della nostra cultura che offrono un vantaggio competitivo su scala globale. In Africa, in tutto il continente, osserviamo che la cultura indigena, lo spettacolo, la letteratura, le belle arti sono mezzi potenti per creare economie e nutrire ed educare la nostra gente. Vorrei che i governi lo capissero e facessero di più per sostenere le industrie creative.
Quanto è forte il neocolonialismo? Ci sono giovani artisti africani che stanno affrontando questo problema nelle loro opere?
La maggior parte dei Paesi africani è diventata indipendente dalle potenze coloniali meno di un secolo fa, ma a quel tempo erano in gran parte ignari delle strutture coloniali lasciate sul posto per renderli perennemente dipendenti. Questa è la sfida di oggi. Quei leader che decisero di seguire e plasmare un nuovo destino come Thomas Sankara, Patrice Lubumba furono uccisi sotto le direttive dei colonialisti e sostituiti dai loro tirapiedi. Sì, gli artisti africani sono interessati a questi temi. Ad esempio Ayogu Kingsley, che sta lavorando alla serie Icons in the White House. Per gli artisti africani, oggi, le decolonizzazione è una questione molto importante. Si tratta di disimparare alcune cose e impararne parallelamente di nuove, un percorso che implica molta attenzione da parte degli artisti. È chiaro che oggi, per destreggiarsi tra le difficoltà dei tempi precari che stiamo vivendo, abbiamo bisogno di trovare nuovi sistemi e nuove forme di conoscenza e questo ci ha portato al progetto First Nation People’s, incentrato sulle popolazioni indigene che hanno mantenuto un approccio di tutela delle tradizioni ancestrali della vita quotidiana.
Avete programmi specifici dedicati ad alcuni temi della nostra epoca, come i diritti umani, la democrazia, l’immigrazione, la tutela dell’ambiente?
AAF cerca di consolidare la propria attività verso una maggiore collaborazione su scala panafricana insieme a una programmazione educativa approfondita e allo sviluppo di conoscenza e capacità tecnica. Alla luce dell’attuale crisi mondiale, la Fondazione attua una svolta significativa nella sua programmazione e introduce Generator, un percorso a lungo termine con un potenziale impatto sulle pratiche dell’arte contemporanea tra cui fotografia, pratiche museali, l’industria creativa, l’educazione artistica, sviluppo delle capacità e know-how gestionale in Africa. La chiave di questa nuova fase è un maggiore impegno per le persone e i progetti che sono “Made in Africa” e che influenzano direttamente la professionalizzazione degli operatori culturali e il corretto ed efficace svolgimento delle future iniziative artistiche nel continente africano. Per quanto riguarda la restituzione del patrimonio trafugato, la metodologia di Generator non è l’aspettare il ritorno delle opere, ma quella di costruire, nel frattempo, la cultura, la capacità e la conoscenza per poterle poi gestire e valorizzare. La Fondazione riconosce che la pandemia richiede la creazione di nuove partnership digitali e approcci collaborativi di supporto reciproco attraverso l’implementazione di piattaforme analogiche e digitali simbiotiche. Con Generator ci impegniamo a studiare le emergenze climatiche e a sviluppare una piattaforma ecologica delle arti. Consapevoli della necessità di sistemi di produzione e comunicazione ecologici e rispettosi dell’ambiente, ci poniamo fra i pionieri in questo tipo di impegno civile in Africa, e ricerchiamo tutte le risorse necessarie per attuare un’ecologia della realizzazione artistica, della produzione e della diffusione.
Come agite, nel concreto?
Vogliamo sviluppare forme di interazione creativa che combinino la conoscenza tradizionale e storica con un design socialmente consapevole e lungimirante. Inoltre, le concezioni contemporanee del diritto d’autore e della proprietà intellettuale sono mediate insieme alle competenze gestionali e curatoriali, contribuendo a costruire un centro dinamico che promuove il talento locale, fornisce una formazione efficiente e porta occupazione per i giovani.
Il progetto Generator cerca di amplificare i canali di comunicazione fertile tra le attività “sul campo” in Nigeria e le opzioni fornite da piattaforme e reti digitali espansive. Nel potenziare la diffusione di AAF e nel rivolgersi al pubblico africano e internazionale online, ma anche a quello fisicamente presente sul posto a Lagos, Generator mira a promuovere l’inclusività e lo sviluppo dei talenti locali che portano a una maggiore occupazione e a nuove start-up nel settore culturale. Gli inevitabili ostacoli che dovranno affrontare i soggetti attivi nel mondo dell’arte nel prossimo futuro saranno discussi con i consulenti del progetto e le altre organizzazioni partner in Africa.
Cosa può dirci della prossima edizione di LagosPhoto, organizzata da AAF? Qual è il trend della fotografia contemporanea africana?
LagosPhoto 2022 continuerà a portare un contributo allo sviluppo della museologia portando il discorso a un livello successivo, cioè quello dell’indagine dello spazio dell’immaginario, che è poi quello dello studio fotografico. Passando dagli oggetti ai ricordi, ci proponiamo di guardare all’importanza del mezzo fotografico e al ruolo che ha avuto nel plasmare l’individuo e la memoria collettiva in tutto il continente. Questa volta il tema è stato innescato da una lettera ricevuta due mesi dopo il lancio di LagosPhoto20. Il 27 gennaio 2021, Ana Briongos, una scrittrice con sede a Barcellona, mi ha contattato per condividere la storia della misteriosa valigia lasciata a sua madre circa cinquant’anni prima da un artista nigeriano, il principe Emmanuel Adewale Oyenuga. I documenti trovati nella valigia guardano a diversi momenti socio-culturali della storia della Nigeria e non solo. Attraverso di essi si sono potute avviare diverse riflessioni sui seguenti argomenti: la guerra civile nigeriana, i legami culturali tra due Paesi, Nigeria e Spagna, l’eredità dell’artista, la storia dell’emigrazione, la fotografia nigeriana da interno degli Anni Settanta e, naturalmente, il rientro di opere all’estero. L’intenzione di Ana Briongos e di tutta la nostra squadra è restituire la valigia alla famiglia del principe Emmanuel Adewale Oyenuga e far luce sui ricordi personali e collettivi della nostra gente.
‒ Niccolò Lucarelli
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