Intervista a Fanny Ardant. Che ricorda Franco Zeffirelli
In occasione della mostra fotografica all’Hotel Savoy di Firenze dedicata alle dive che hanno collaborato con Franco Zeffirelli, abbiamo intervistato la madrina della rassegna, Fanny Ardant. L’attrice francese ripercorre il proprio legame con il regista e il suo rapporto con Maria Callas
Fotografia che omaggia il cinema che omaggia la musica: in un gioco di specchi tra le arti maggiori e le nuove arti, l’incontro tenutosi presso l’Hotel Savoy di Firenze, (indirizzo toscano del gruppo Rocco Forte Hotels), in collaborazione con la Fondazione Franco Zeffirelli Onlus, è stato occasione di riflessioni sull’immortalità trasversale che la bellezza può donare. L’appuntamento è la presentazione della mostra fotografica Le Dive di Zeffirelli, visitabile all’Hotel Savoy fino al 18 aprile 2022, nella quale sono esposte una selezione di iconiche fotografie dell’archivio Zeffirelli in bianco e nero rappresentanti alcune tra le più famose star italiane e internazionali con cui il grande regista ha lavorato nel corso della sua carriera nel cinema, nel teatro di prosa e nell’Opera in musica.
Le dive in mostra, ritratte tra il 1958 e il 2009, sono Maria Callas, Fanny Ardant, Cher, Olivia Hussey, Brooke Shields, Valentina Cortese, Faye Dunaway, Carla Fracci, Judy Dench, Maggie Smith, Anne Bancroft, Anna Magnani, Claudia Cardinale, Elizabeth Taylor, Glenn Close, Joan Plowright, Marisa Allasio, Monica Bellucci, Katia Ricciarelli, Teresa Stratas, Mariangela Melato, Monica Vitti e Stefania Sandrelli, in un percorso espositivo che si estende dalla lobby al salotto lounge e al ristorante & bar Irene e si conclude nella suite presidenziale.
MARIA CALLAS, FANNY ARDANT E FRANCO ZEFFIRELLI
Tra tutte le grandi protagoniste femminili citate, ve ne sono due la cui presenza pare più tangibile delle altre: Maria Callas, la cui voce registrata aleggia nella suite presidenziale, e Fanny Ardant (Saumur, 1949) ‒ che della diva dell’Opera interpretò il ruolo nell’ultimo lungometraggio cinematografico di Franco Zeffirelli Callas Forever ‒ giunta in città per la presentazione della mostra di cui ha accettato il ruolo di madrina.
Una conferenza stampa ristretta per fare qualche domanda a quella che è senza dubbio una delle migliori attrici francesi della sua generazione, e che durante la sua carriera ha vinto due Premi César (a fronte di 6 candidature), un European Film Award, un Orso d’argento al Festival di Berlino e due Nastri d’argento, oltre a essere stata l’ultima grande musa di François Truffaut che la diresse nei celebri film La signora della porta accanto e Finalmente domenica!. Un’occasione unica per capire qualcosa in più sul suo rapporto con l’Italia, su quello con Zeffirelli e sul ruolo della memoria nell’arte in ciò che lei brillantemente definisce un “mise en abyme”.
INTERVISTA A FANNY ARDANT
Innanzitutto complimenti per l’italiano. Dove l’ha imparato?
Dagli italiani. La generazione di Scola, Gassman era gentilissima, si sforzavano sempre tutti di parlare in francese. Ma alla fine lavorare con loro è stata per me un’occasione unica per imparare la lingua.
Per una diva interazionale come lei, che per anni è stata in movimento, deve essere sembrato strano stare ferma per tanto tempo. Come sono stati per lei questi mesi di clausura forzata?
Un po’ come per tutti, sono stati occasione di riprendere il filo delle passioni a lungo sopite. Ne ho approfittato per suonare il pianoforte e per leggere libri che mi erano stati più volte consigliati e non avevo ancora avuto modo di affrontare, come ad esempio L’uomo senza qualità di Robert Musil.
Oggi siamo qui per parlare di Zeffirelli, ma in senso più ampio del ruolo della memoria. Che cosa rappresenta per lei questo concetto?
Ci sono vari modi di concepire la memoria: il più facile è quello esemplificabile con l’immagine dei tedofori, che si passano una fiamma di valori e di arte l‘uno con l’altro. Ma non penso che questa visione sia sufficiente, penso che il ragionamento sia molto più oscuro. Trovo che il ruolo del cinema non sia quello di creare una lezione di storia.
In che senso? Può spiegarci meglio?
L’obbiettivo di un film, che esso parli della Callas, di Caravaggio, di Giovanna d’Arco oppure di Caterina dei Medici, non è quello di tenere viva la memoria di questi grandi personaggi, bensì di quello che hanno fatto. Si tratta in realtà di parlare dell’umano e dell’artista che ha portato nel proprio lavoro l’umano al suo livello estremo.
ZEFFIRELLI, MARIA CALLAS E LA MEMORIA
E questo è per lei parte dell’eredità spirituale di Zeffirelli?
Quando ho visto la mostra presso la fondazione a lui dedicata ho capito di più Franco: ho capito il suo percorso umano, che è partito da lui bambino, gli studi alle Belle Arti. Ha disegnato, ha dipinto sulla carta i suoi sogni, ha lavorato molto, ha studiato, ha letto. Il racconto della sua opera è un racconto dedicato alla passione che ha messo per potere presentare la sua arte. In francese si dice “mise en abyme” (espressione usata inizialmente da André Gide per indicare un espediente narratologico che prevede la reduplicazione di una sequenza di eventi o la collocazione di una sequenza esemplare che condensi in sé il significato ultimo della vicenda in cui è collocata e a cui rassomiglia, N.d.R.) per definire ciò che è stato il rapporto tra Franco e la Callas, e in qualche modo tra me e lui.
In quest’ottica che significato ha Callas Forever?
È un canto d’amore alla Callas: uno comincia a accostarsi all’Opera come un canto d’amore. Lui voleva che la grandezza della cantante fosse evidente agli altri, quelli che non sapevano niente, e che sono andati a vedere il film senza sapere. L’immortalità inseguita è quella per l’amore che la Callas metteva nel proprio lavoro più che per la Callas o per l’Opera in quanto tali.
Un messaggio che sente anche come suo?
Io conosco molta gente che mi dice “l’Opera lirica è una noia mortale”: allora li faccio sdraiare al buio e dico “ti metto qualcosa”, e faccio risuonare la voce di Maria Callas e subito “c’est qui?”.
Dunque per me lei è stata questo, un’artista che ha allargato le mura della percezione di qualcosa di molto tradizionale come l’Opera lirica. La stessa cosa è stato Franco, che ha iniziato dalla regia per il teatro con i grandi maestri, e quando si è buttato nel cinema l’ha fatto con una passione straordinaria, portando quei codici comunicativi a un pubblico sempre più ampio, ma, come si evince dai bozzetti e dai costumi esposti alla fondazione, lo ha fatto sempre restando fedele a se stesso, e questo secondo me è il suo grande lascito artistico da tramandare.
‒ Federico Silvio Bellanca
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