I dimenticati dell’arte. Ugo Celada da Virgilio, il pittore censurato dal fascismo
Vicino alle atmosfere di Cagnaccio di San Pietro e Antonio Donghi e acclamato durante diverse edizioni della Biennale di Venezia, Ugo Celada da Virgilio fu condannato all’oblio per le sue prese di posizione contro il regime. Da qualche anno la sua pittura è stata riscoperta
I rapporti con il regime fascista non sono mai stati facili per gli artisti del Ventennio, che hanno subito a volte operazioni censorie più o meno gravi. È il caso di Ugo Celada (1895-1995), nato a Cerese di Virgilio, un piccolo comune vicino a Mantova: fin da bambino disegna talmente bene da convincere il padre a iscriverlo, a soli dodici anni, alla Regia Scuola d’Arte Applicata di Mantova, dalla quale passerà, grazie a una borsa di studio, all’Accademia di Brera, dove apprezza in particolare le lezioni del pittore Cesare Tallone, autore di ritratti dipinti a fil di pennello, di notevole espressività.
LA STORIA DI UGO CELADA DA VIRGILIO
Nel 1914 parte come volontario per il fronte, dove viene impiegato come disegnatore di mappe militari per la precisione del suo tratto. Tornato dalla guerra decide di trasferirsi a Parigi, e lungo il tragitto si ferma per qualche tempo a Genova ospite della famiglia Della Ca’, che acquista alcune sue opere. Il suo esordio ufficiale nel mondo dell’arte, con il nome di Ugo Celada da Virgilio, avviene alla Biennale di Venezia del 1920: qui le sue tele, caratterizzate da un realismo ossessivo e quasi fotografico, vicino al linguaggio di Cagnaccio di San Pietro e Antonio Donghi, ottengono un buon successo di critica e di pubblico, tanto che Celada viene invitato alle edizioni del 1924 e del 1926, dove, grazie soprattutto all’opera Distrazione, viene elogiato, unico italiano presente in mostra, dal presidente della giuria, il critico francese Émile Bernard, biografo di Cézanne, suscitando grandi invidie da parte dei suoi colleghi. Sulle ali del successo, gli inviti alle mostre si infittiscono.
UGO CELADA DA VIRGILIO: DAL SUCCESSO ALL’OBLIO
Lascia Parigi e si trasferisce a Milano, e presenta le sue tele prima alla Quadriennale di Torino e poi alla Permanente di Milano, mentre nel 1930 espone alla Galleria Samadei in una collettiva insieme ad altri pittori del movimento Novecento, sostenuto da Margherita Sarfatti. Ma il dissenso con il gruppo e soprattutto la firma al manifesto antinovecentista, che denunciava il monopolio della cultura di regime, pubblicato sul giornale Il Regime Fascista, risultano fatali per la sua carriera, iniziata in maniera fulminea e brillante. Celada viene isolato e mai più invitato a mostre pubbliche, e vive grazie alle commissioni di ritratti da parte di noti esponenti della borghesia milanese, che ne apprezza lo stile, vicino a quello di Gregorio Sciltian. Nel 1943, durante il bombardamento di piazza Cinque Giornate, il suo studio viene distrutto con tutte le opere che conteneva. Isolato e schivo, alla fine degli Anni Cinquanta si trasferisce a Varese, dove muore centenario e dimenticato. La sua pittura viene riscoperta nel 1985 grazie all’apertura della collezione permanente del Museo Virgiliano, che custodisce una donazione di 56 opere del pittore. In quell’occasione Flavio Caroli scrive che Celada “supera in qualità tutti i suoi potenziali, valorizzatissimi emuli tedeschi e francesi (…) e merita di essere studiato e apprezzato come si fa di tanti grandi e piccoli maestri del passato”. Il museo è stato riaperto al pubblico nel 2019, con un allestimento curato da Stefano Mangoni.
‒ Ludovico Pratesi
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