Aprirà i battenti il 3 gennaio 2023, ma già il Lusaka Contemporary Art Center si presenta come una realtà culturale impegnata nella ricostruzione sociale dello Zambia, per troppo tempo schiacciato dalle influenze coloniali e neocoloniali. Il fondatore, l’artista Victor Mutelekesha, racconta un’avventura ricca di ambizioni e onestà intellettuale.
Perché hai voluto creare il Lusaka Contemporary Art Center?
Lo Zambia ha una popolazione di circa 18,5 milioni di abitanti, che è quasi raddoppiata negli ultimi ventidue anni. Questa forte crescita demografica implica molte cose, tra cui la necessità di ampliare gli “investimenti” nel campo culturale. Tale investimento deve corrispondere all’aumento del numero di potenziali artisti e alla diversificazione dei linguaggi espressivi all’interno delle arti. Affinché un Paese possa definire la sua identità, e giocare un ruolo attivo nella comunità globale, deve investire nella cultura. Se non lo fa, la popolazione assorbirà inconsapevolmente tutte le opinioni, le influenze, gli stili di vita, rendendosi vulnerabile a un incontrollabile afflusso di stimoli esterni che potrebbero non essere appetibili per l’ambiente locale, e quindi insostenibili. Da un fondamento artistico e culturale definito e stabile possono e devono svilupparsi tutti gli altri campi sociali, commerciali e politici.
A quali esigenze risponde, quindi, il Lusaka Contemporary Art Center?
Nel corso degli anni ho osservato la mancanza di investimenti equi da parte dello Stato per soddisfare i bisogni della popolazione in crescita, così come una persistente apatia da parte della politica nel rispondere alle istanze e ai bisogni degli artisti. E ancora, gli sforzi di molti gruppi artistici si sono limitati a discorsi inconcludenti. Era quindi necessaria, se vogliamo ottenere qualche progresso, un’azione decisiva che rompesse lo status quo e invertisse la rotta dello sviluppo del discorso artistico zambiano. Anche se questo significava investire i propri risparmi di una vita per costruire almeno una parte delle “fondamenta” su cui si reggeranno le generazioni future. Lo Zambia moderno è un crocevia delle rotte migratorie umane e funge da asilo tranquillo per molti migranti. Questa situazione geografica ha generato tradizioni e culture ibride. I progetti di ricerca previsti nelle arti, nei costumi e nelle culture dello Zambia forniranno un necessario contrappeso alla politica dell’ipocrisia e agiranno come una “agenzia di decolonizzazione”.
COME FUNZIONERÀ IL LUSAKA CONTEMPORARY ART CENTER
Quali obiettivi ti sei dato nello specifico?
Ho notato l’urgenza di creare uno spazio di dibattito e analisi critica (soprattutto dalla prospettiva del cosiddetto Sud del mondo); uno spazio di dialogo e di sinergie per accelerare lo sviluppo sociale nello Zambia, così come nell’Africa meridionale e, nei limiti del possibile, contribuire allo sviluppo globale; uno spazio, in sintesi, per democratizzare il dibattito sulla pratica artistica.
Come è organizzato il Lusaka Contemporary Art Center?
Il Centro ha tre settori progettati per aiutare a soddisfare la nostra agenda: la biblioteca per i ricercatori, la residenza per gli artisti e la galleria per mostre, spettacoli, laboratori, eccetera; tutto all’interno di un unico, ampio edificio. Questa forma ibrida del Centro è il risultato di una seria considerazione di ciò che era già chiaro nel mio progetto e di ciò che si è poi definito sul campo. Le arti e le pratiche culturali dello Zambia non hanno il vuoto attorno a sé, il che significa che i nostri sforzi sono complementari a quelli di altri. Tuttavia, ciò che cerchiamo di enfatizzare alla fine consoliderà la nostra “nicchia” e contribuirà a definire l’attività e gli scopi del Centro. Abbiamo progettato la nostra biblioteca per ospitare materiale digitale e cartaceo già esistente ‒ ma anche materiale che sarà generato dai nostri artisti, scrittori, curatori e altri collaboratori residenti ‒ come risorsa per le generazioni future. Speriamo anche di utilizzare il materiale per influenzare la trasformazione dei curricula di educazione artistica nelle scuole dello Zambia, da quelle primarie fino alle università.
LE ARTISTE IN ZAMBIA
Qual è il ruolo delle donne nella scena artistica dello Zambia?
La domanda potrebbe sembrare al limite del paternalistico, dal punto di vista delle artiste. Perché la stessa domanda si sarebbe potuta rivolgere agli artisti uomini. E chi invece rimane “a metà” è comunque costretto a incasellarsi in una categoria. Secondo me, invece, nessuno dovrebbe mai spiegare l’impegno artistico in base al sesso, e lo stesso vale per tutte le altre categorie identitarie. Da questa riflessione nasce la mia fraintendibile resistenza alle “artiste donne” incasellate. C’è un modo alternativo di rispondere alla domanda, e che non raggruppa le artiste in un unico ruolo, ma offre una sintesi della diversità di pensiero delle artiste zambiane.
Ci fai qualche esempio?
Mi limito a una breve presentazione di artiste interessanti, con cui abbiamo scelto di lavorare o con cui abbiamo intenzione di lavorare in futuro. Gladys Kalichini è un’artista visiva e ricercatrice di Lusaka, che basa il suo lavoro sui concetti di cancellazione, memoria e rappresentazioni, e sulla visibilità delle donne nelle vicende di resistenza anti-coloniale; Sana Ginwalla è una fotografa e curatrice. Il suo lavoro prodotto in e sullo Zambia si è costantemente concentrato sulla ricerca e la narrazione della vita quotidiana passata e presente, con i suoi ritmi e i suoi riti. È inoltre la fondatrice e direttrice creativa di Everyday Lusaka e Zambia Belonging, piattaforme artistiche dedicate all’esplorazione di una rappresentazione visiva più attenta della realtà del Paese, al fine di costruire un archivio per le generazioni future.
Anawana Haloba si divide fra Livingstone, nello Zambia, e Oslo, e la sua pratica artistica è un continuo processo di indagine sul ruolo delle società all’interno di vari contesti politici, sociali, economici e culturali, e processi di post-indipendenza. La sua pratica artistica è strettamente legata alla poesia, cui dà forma sulla tela attraverso schizzi astratti che divengono l’ispirazione per performance contornate da immagini in movimento, installazioni e suoni. Si creano quindi situazioni attraverso le quali è possibile indagare la cultura materiale di un dato luogo e ripensarla dal punto di vista della soggettività contemporanea, in continua trasformazione.
Hai intenzione di avviare collaborazioni con altre istituzioni estere?
Stiamo lavorando per raggiungere collaborazioni strategiche e reciprocamente vantaggiose con istituzioni, collettivi e singoli individui di tutto il mondo, i cui interessi integreranno i nostri sforzi e obiettivi. Cercheremo ma anche accoglieremo le proposte di altri potenziali collaboratori e partner.
CULTURA E COLONIALISMO IN ZAMBIA
Cosa sta facendo il governo dello Zambia, in generale, per sostenere la cultura nel Paese?
Ho osservato che la quantità di investimenti statali in arte e cultura in Zambia non è correlata alla crescita della popolazione, alla diversità delle espressioni e ai suoi bisogni. Sebbene l’Evelyn Hone College di Lusaka fornisca un’educazione artistica di discreto livello, credo che questa istituzione non abbia mai soddisfatto le domande e le esigenze della maggior parte degli artisti dello Zambia. Pertanto, gli artisti devono la loro carriera direttamente o indirettamente a collettivi come Rock Stone, oppure a organizzazioni non governative come il Visual Arts Council, e alcuni sono stati abbastanza “fortunati” da ricevere un’istruzione accademica formale all’estero, attraverso fondi fiduciari come il Lechwe Trust. Tuttavia, alcuni di questi sostegni non sono più in vigore, mentre altri si sono indirizzati verso settori diversi. Altri artisti, invece, hanno avuto il privilegio di poter contare su ampie risorse familiari per frequentare scuole d’arte e accademie all’estero. Con il recente cambio di governo, il minimo che possiamo aspettarci è un ambiente favorevole che non violi i diritti artistici. Tuttavia, rimaniamo fiduciosi che si possa fare di più, come creare un’accademia nazionale di belle arti o un museo nazionale delle arti.
Quanto è forte il neocolonialismo? Ci sono giovani artisti zambiani che stanno affrontando questa problematica attraverso il loro lavoro?
Il neocolonialismo e il colonialismo sono stati e sono un problema sostanziale e una minaccia sia per lo Stato che per il settore artistico e culturale dello Zambia. Le armi più potenti utilizzate per la loro prosecuzione sono state il capitale, la religione e, ironia della sorte, le arti. Il colonialismo non finì nel Giorno dell’Indipendenza del 1964. Le menti degli ex colonizzati furono completamente indottrinate e, in larga misura, lo fu anche il loro modo di percepire le arti. Quella struttura ha predeterminato lo sviluppo e gli atteggiamenti nelle arti. Godfrey Setti, uno degli artisti e studiosi dello Zambia, ha osservato questo fenomeno dalla prospettiva di un pittore, nella sua tesi di master in belle arti, affermando: “La pittura contemporanea dello Zambia non è originaria dello Zambia. Gli artisti dello Zambia hanno imparato questo stile di pittura da zero quando fu introdotto in Zambia dagli europei, che convinsero gli artisti locali che questo era il tipo di arte che avrebbero dovuto emulare“.
Come Lusaka Contemporary Art Center, sentiamo che uno dei nostri tanti scopi è quello di aiutare il settore artistico nazionale a conoscere questi episodi, in modo da iniziare una nuova fase di riscoperta e ricostruzione, e rimettere le leve del potere nelle nostre mani.
MOSTRE E PROGRAMMI DEL LUSAKA CONTEMPORARY ART CENTER
Come vi state preparando per l’apertura del 2023?
Abbiamo dedicato gran parte del 2021 all’identificazione di artisti e partner per collaborazioni a lungo termine, e adesso stiamo anche offrendo le prime visite guidate sia agli artisti che al pubblico in generale per farci conoscere e per fare sin da ora pubblicità al momento dell’apertura ufficiale. Stiamo ancora lavorando all’arredamento dell’edificio e a dotarlo della necessaria attrezzatura. Inoltre, ancora prima che questo fosse costruito, nel vasto terreno circostante abbiamo piantato frutti locali e altri alberi e arbusti, perché vogliamo creare un piccolo bosco che potrà allietare sia i visitatori sia gli artisti in residenza. E poi, chissà, con il tempo potrebbe anche diventare una grande scultura vivente che possa aiutare a bilanciare le immissioni globali di anidride carbonica nell’aria.
E sul fronte espositivo?
Ovviamente stiamo sviluppando la nostra mostra inaugurale, che aprirà il 3 gennaio 2023. Sarà principalmente di natura archivistica, per indagare la nascita della nazione dello Zambia. Abbiamo in programma di inserire nella mostra uno o due giovani artisti zambiani molto versatili, il cui lavoro si interessa di questioni simili per dare un senso al presente e influenzare la direzione del nostro futuro comune.
Elementi della mostra inaugurale rimarranno per un po’ nella nostra galleria/project room per essere studiati dagli artisti in residenza, che poi creeranno una nuova opera in dialogo con la mostra. Quindi sostituiremo alcuni elementi della mostra inaugurale originale con nuovo materiale dei nostri residenti e collaboratori esterni per “rinfrescare” il discorso visivo. Questo progetto rimarrà per almeno due anni, durante i quali lavoreremo allo sviluppo di nuove mostre.
Avete programmi specifici dedicati alle problematiche della nostra epoca, come i diritti umani, la democrazia, l’immigrazione, la tutela dell’ambiente?
La nostra agenda di ricerca, così come le attività artistiche, verteranno sul modo in cui gli artisti dello Zambia e altri attori culturali locali percepiscono il mondo che li circonda. Intendiamo radicare tutte le nostre attività in ciò che è rilevante e più urgente per gli artisti, la gente comune e il Paese che consideriamo la nostra casa; perché è lì che deve indirizzarsi prima di tutto il nostro senso di solidarietà.
Lo Zambia è un Paese giovane. In meno di 140 anni, il territorio è passato dall’essere un avamposto coloniale britannico per interessi commerciali, all’essere, 57 anni fa, uno Stato indipendente. Sullo sfondo di quella storia pre-coloniale, coloniale e post-coloniale, le persone di lingua bantu emigrate principalmente dai regni Luba-Lunda dell’odierno Congo si erano stabilite all’interno e attorno agli attuali confini politici, stabilendo regni separati. Poi, insieme agli inglesi, con il tempo si stabilirono qui anche piccoli gruppi di indiani e comunità ebraiche. Questa breve storia parla di emigrazione, colonialismo, geografia e soprattutto “ibridità”, un tema che sarà uno dei cardini più importanti in alcuni dei nostri progetti.
In quanto artista, come avverti il tuo ruolo nella società contemporanea?
L’arte contemporanea è essenziale per la stessa società contemporanea. Così come abbiamo bisogno di un medico per curare i malati e i feriti, abbiamo bisogno dell’artista. Detto questo, l’arte del pensiero coinvolge tutti i nostri sensi e suggerisce audacemente nuove prospettive e comprensioni, ho scelto consapevolmente di creare un qualcosa che contribuirà a migliorare questo dibattito. Lavoro con questioni ricorrenti che influenzano lo stato della condizione umana, come il conflitto derivante da meccanismi di identità artificiali e divisivi, o il pregiudizio infondato e non scientifico nei confronti di una qualsiasi identità “altra”.
La mia attenzione è anche orientata ad aumentare la consapevolezza di ciò che la combinazione fra la diaspora, l’ibridità e l’identità può fare per dissipare questo conflitto.
Il mio approccio nell’affrontare questi problemi ha prospettive e mezzi diversi, perché nessuno di essi, da solo, soddisfa pienamente i miei obiettivi. Quindi, anche se mi identifico come scultore, lavoro ugualmente con immagini, video, performance e testo. Attingo deliberatamente da altri campi del sapere come le neuroscienze, l’astronomia e persino la linguistica, al di fuori dei confini tradizionali delle arti visive, perché tutte le discipline che definiscono l’umanità sono interdipendenti.
‒ Niccolò Lucarelli
https://www.facebook.com/LusakaCAC/
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