L’inchiesta sull’arte contemporanea africana torna in Marocco, questa volta per scoprire la scena fotografica nazionale. Nata di recente, anche grazie all’impegno di Mina Mostefa, fondatrice e direttrice della rassegna Rencontres. Face à la Mer, che ci racconta la sua esperienza.
Come e perché sono nati i Rencontres?
In primo luogo, c’è stato il mio incontro con Tangeri una decina di anni fa; mi sono subito innamorata di questa città cosmopolita dal ricchissimo passato artistico. Per me, riflette una bellissima idea di Mediterraneo, che possiamo fare nostra su entrambe le sponde del nostro mare comune. Da sempre appassionata di fotografia, mi è sembrato fondamentale trovare un modo per raccontare, attraverso le immagini, come si sono evoluti o potrebbero evolversi i nostri territori magrebini e mediterranei. Per cui, io e Wilfrid Estève (l’altro fondatore dei Rencontres, N.d.A.) ci siamo trasferiti qui per un po’, dialogando con soggetti e professionisti locali; ci siamo quindi resi conto delle carenze della scena fotografica locale, sia in termini di formazione sia in termini di strumenti a disposizione; e contemporaneamente abbiamo anche capito le difficoltà che i fotografi avevano nel lavorare qui, e nel far conoscere il loro lavoro nel resto del Maghreb.
Come vi siete mossi allora?
Tenendo presente questo contesto, abbiamo voluto fare qualcosa per professionalizzare il mondo della fotografia maghrebina, e per questo sono nati i Rencontres. Alla base c’è un’esigenza di far incontrare i fotografi locali con esperti e professionisti già affermati, in modo che anche loro possano sviluppare una carriera in tal senso. E poi c’è anche la volontà di far sì che possano promuovere all’estero la loro idea di questa regione. La rassegna è quindi pensata come un luogo di confronto, il cui obiettivo è arginare l’isolamento in cui spesso sono immersi i fotografi. L’organizzazione degli spazi di discussione è sempre al centro del lavoro, con proiezioni delle fotografie e relativi incontri con il pubblico, dibattiti durante i workshop, letture di portfolio, tavole rotonde. Ci evolviamo ogni anno in base alle reazioni. Stiamo esaminando cosa funziona e cosa no e ripensiamo il programma per adattarlo al meglio alle esigenze del pubblico. Le nostre prime tre edizioni ci hanno dato una buona base di partenza, e Face à la Mer (questo il titolo ufficiale della rassegna, N.d.A.) punta adesso a un’espansione e per questo stiamo “ristrutturando” la nostra squadra: Elsa Seignol, con la quale abbiamo lavorato fin dall’inizio, diventa direttrice artistica incaricata dei progetti di sviluppo. Lavora a stretto contatto con uno dei nostri soci, Sido Lansari (della Cinémathèque di Tangeri), che è anche un nostro consulente artistico. Vogliamo rafforzare i nostri legami nel continente, essere aperti alla scena internazionale e anche sviluppare iniziative durante tutto l’anno a sostegno dei fotografi. Il contesto rimane complicato, ma per noi è più importante che mai trovare un modo per non perdere la connessione e permettere alle immagini di viaggiare oltre i confini.
LE EDIZIONI DEI RENCONTRES IN MAROCCO
Nonostante la pandemia, nel 2020 avete comunque realizzato l’edizione dei Rencontres. Come ci siete riusciti?
La crisi sanitaria ci ha spinto a ripensare la nostra dinamica. L’essenza stessa di Face à la Mer è il contatto diretto con il pubblico in occasione di dibattiti, workshop, tavole rotonde e momenti di convivialità. Ma il virus ci ha messo davanti tutti i nostri limiti e i nostri confini terrestri. Come continuare a trasmettere, condividere, diffondere e scambiare? Quindi, come altri, abbiamo dovuto reinventarci, trovare altre strade e immaginare un nuovo sistema 2.0 che portasse alla luce una nuova generazione di autori e artisti con valori umani universali. Le “dirette” in rete ci hanno permesso di condividere il nostro universo fotografico e la nostra quotidianità, di confrontarci per arginare questa solitudine, questa paura, questa mancanza di contatti fisici.
E poi cosa è accaduto?
Questa situazione ci ha anche spinto a pensare a un qualcosa che rimanesse nel tempo e che potesse raggiungere un pubblico più ampio; abbiamo quindi pubblicato per la prima volta una rivista, in collaborazione con Elsa Seignol e Revers Edition, un’operazione che non ha mai avuto tanto senso quanto in quel momento così particolare. Attraverso questo progetto è stato possibile fermarsi a considerare e immaginare cosa siamo e cosa potremmo essere. È infatti importante sviluppare progetti artistici che portino riflessioni approfondite sull’esperienza vissuta. Più che mai, vogliamo contribuire a trasmettere un’identità mediterranea interculturale lungimirante che celebra le energie creative supportando il coinvolgimento dei fotografi nel cambiamento sociale, tenendo conto dei cambiamenti che ci riguardano, ci isolano e ci uniscono. Elementi che ci riportano ogni giorno alle nostre origini, al nostro presente, pensando però al nostro futuro. Per concludere questa specialissima edizione 2020, abbiamo deciso di mantenere tre giorni di workshop, che si sono svolti dal 10 al 14 dicembre presso la Fondation pour la photographie di Tangeri, dove però solo otto fotografi marocchini hanno potuto essere presenti viste le condizioni sanitarie.
Come si è svolta l’edizione 2021? Quali questioni avete affrontato e cosa ne è uscito?
L’edizione 2021 si è presentata molto bene nonostante le condizioni sanitarie ancora molto difficili. Abbiamo riunito quindici fotografi di fronte a quindici mentori professionisti provenienti da Francia e Marocco.
Ognuno di loro ha avuto un supporto personalizzato, e ha potuto partecipare a workshop e tavole rotonde, ma la diffusione della variante Omicron ci ha costretto a interrompere questa edizione e siamo dovuti tornare in Francia prima che lo spazio aereo si chiudesse. Abbiamo comunque avuto tempo per incontrare nuovi talenti e scoprire bellissimi lavori fotografici documentari e artistici. Abbiamo discusso in particolare della trasformazione della professione e dell’importanza dei social network nella diffusione di queste nuove prospettive, ad esempio con il giovane collettivo Noorseen. Ciò che emerge dai lavori delle nuove generazioni di fotografi è strettamente legato alla nozione di territorio e ambiente. Ad esempio, Amine Houari, 21 anni e vincitrice del nostro Grand Prix 2021, propone con la sua serie Territori un viaggio attraverso un enigmatico paesaggio marocchino. È un’indagine delle caratteristiche architettoniche degli spazi peri-urbani del Marocco. Le costruzioni assumono sguardi e forme misteriose, intriganti e talvolta persino surreali. Tutti, però, vengono realizzati con un sincero senso di appartenenza e radicamento nel territorio. E ancora, la fotografa Yzza Slaoui, la cui prematura scomparsa ci ha profondamente colpiti, stava lavorando alla sedentarizzazione della tribù nomade Beni Guil a causa del riscaldamento globale e della desertificazione della terra nell’est del Paese, nella zona degli altipiani di Tendrara.
CULTURA E FOTOGRAFIA IN MAROCCO
Il governo marocchino è impegnato in qualche misura nel sostenere la scena culturale nazionale?
Devo dire che i Rencontres collaborano essenzialmente con soggetti privati. Fa eccezione l’Istituto Francese, con sedi in varie città, fra cui Tangeri, ovviamente, ma anche Agadir, Marrakech, Rabat, Casablanca, ed è molto attivo sul territorio. Fra i nostri partner privati ci sono la Fondation Alliance di Casablanca, e il Musée d’Art contemporain Africain Al Maaden di Marrakech, la Cinémathèque e la Fondation pour la photographie, entrambe di Tangeri. Abbiamo inoltre il sostegno di aziende francesi come Pixways, Hans Lucas e SAIF.
Qual è la cultura della fotografia in Africa oggi?
Mentre il resto dell’Africa sembra andare in una direzione molto più artistica, il Maghreb, da quello che si vede, punta su lavori di testimonianza e recupero del passato, dal taglio documentaristico o giornalistico, legato magari alle rivoluzioni giovanili o “primavere arabe”. La nuova generazione ha molta familiarità con gli strumenti, essendo molto attenta alla conoscenza delle basi fondamentali. Notiamo anche un apprezzamento e una volontà di imparare a lavorare nel cinema. Direi che abbiamo a che fare con una generazione più curiosa e sensibile alla professionalità e alla conoscenza della tecnica.
In che modo i Rencontres hanno cambiato la percezione della fotografia in Marocco?
Non c’è differenza sostanziale, oggi, tra un fotografo del Maghreb e un fotografo di una qualsiasi altra parte del mondo. Le differenze possono esserci soltanto dal punto di vista della formazione e della professionalizzazione, nell’accesso a workshop, tavole rotonde, alle grandi fiere e gallerie (queste ultime a causa dei visti che spesso vengono richiesti). Un altro dei motivi per cui abbiamo creato Face à la Mer qui a Tangeri è stato per consentire ai fotografi maghrebini di viaggiare senza visto. L’esperienza della rassegna ha permesso a tanti fotografi di crescere, colmando le precedenti distanze con i loro colleghi stranieri, e oggi direi che siamo a un livello di parità. Questo incontrarsi e confrontarsi non era però così ovvio, anzi in passato qui nel Maghreb non accadeva, nemmeno nelle grandi città, e quando sono arrivata qui questa lacuna mi ha colpito molto. Fotografi della città di Casablanca si sono incontrati per la prima volta con i loro concittadini durante i primi eventi di Face à la Mer, e questa esperienza li ha resi consapevoli della necessità di incontrarsi e di non rimanere isolati. Si sono così formati due collettivi sin dai primi incontri di Tangeri 2019, Koz Collective e Noorseen. Quindi, in maniera diretta o indiretta, li supportiamo nello sviluppo della loro pratica. Infine, grazie alle nostre azioni, abbiamo portato opere e artisti nei principali eventi in Francia e abbiamo reso possibile la copertura mediatica del loro lavoro.
Ci fa qualche esempio?
Nello specifico, Seif Kousmate, dalla sua nomination Grand Prix Face à la Mer 2019, ha partecipato a diversi festival, Arles, Perpignan e Cadaques, che abbiamo sostenuto. Il suo lavoro è stato pubblicato sulla rivista Epic ed esposto alla Galerie Les insolites di Tangeri e alla Fondation pour la photographie, fra gli altri. E ancora, abbiamo permesso a Céline Croze, vincitrice del Prix Revelation 2020, in collaborazione con il Toulouse Map Festival, di partecipare a numerosi festival e ottenere borse di studio. Inoltre, i vincitori dei nostri premi entrano nei network FALM e Hans Lucas, con cui sviluppano per un anno un progetto, utile per iniziare la carriera. In particolare, FALM è un vero trampolino di lancio per i giovani talenti. Infine, nel 2021, il lavoro di Amine Houari è già stato pubblicato su Polka Magazine, Marianne, La Croix e sarà presto anche su Epic.
IL RUOLO DEI FOTOGRAFI IN MAROCCO
Con questo incessante progresso tecnologico, come immagina il ruolo della fotografia tra dieci anni?
Le nostre società hanno sempre più difficoltà a comunicare, e quindi la fotografia sta diventando un mezzo adatto a supplire a questa carenza, perché è un linguaggio universale, secondo me. E poi la fotografia consente ai giovani di essere in grado di parlare liberamente ed esprimere i problemi della loro società; mai l’immagine ha avuto così tanto impatto e suscitato speranze su questa gioventù che aspira alla vera libertà.
Ci sono urgenze della nostra contemporaneità di cui si parla ai Rencontres?
Notiamo che il concetto di territorio e ambiente lo si ritrova con una certa frequenza; ma anche alcuni problemi sociali, che rimangono ancora molto difficili da affrontare pubblicamente, vengono portati all’attenzione attraverso la sottigliezza dei fotografi emergenti. È forse questa una delle ragioni d’essere del loro lavoro? In fondo, i fotografi riescono veramente ad appropriarsi di una storia e a raccontarla con i loro occhi. Penso a progetti come Hammam Diaries di Mehdy Mariouch o Among You di M’hammed Kilito.
Qual è il ruolo delle donne nella fotografia, in Marocco?
Contrariamente a quanto possiamo vedere in Europa, le donne sono piuttosto emancipate nel mondo della fotografia. Non ci sono molti “rapporti di forza”, le relazioni sono molto più naturali e informali. I loro principi le spingono a difendere le questioni ambientali, alcune delle quali legate alla funzione delle donne sul territorio. Le donne sono libere di praticare la fotografia quanto gli uomini. Non vedo particolari differenze. Ciò che noto soprattutto è questo modo molto più sottile di lavorare su questioni sociali difficili da affrontare in questi territori; ad esempio, la questione della mascolinità per Yasmine Hatimi, l’isolamento delle donne causato dai cambiamenti climatici per Yzza Slaoui o la questione della digitalizzazione e del suo rapporto con la società e il singolo per Abdelhamid Belahmidi.
Quali sono i rapporti dei Rencontres con la Francia? Qual è il loro scopo?
I Rencontres si basano sul principio degli scambi sulla pratica fotografica, tra i fotografi (marocchini e mediterranei) e gli appassionati marocchini, francesi e internazionali. Wilfrid Estève e io siamo francesi. Viviamo fra Tangeri e la Francia, ci è sembrato importante trovare un canale di scambio per poter continuare a narrare la nostra storia comune e imparare gli uni dagli altri. Abbiamo molti partner in Francia che supportano le nostre attività durante tutto l’anno. Facilitiamo il collegamento tra l’Africa e l’Europa. Inoltre, il vincitore del Grand Prix farà una mostra in Francia e parteciperà a numerosi eventi.
– Niccolò Lucarelli
https://rencontres-facealamer.com/
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