Nonostante i profondi cambiamenti subiti nel corso degli ultimi anni, soprattutto in ambito urbanistico ed edilizio, la città di Amsterdam continua ancora oggi a preservare quel suo cuore anarchico e fuori dagli schemi che tanto l’ha caratterizzata in passato. O almeno ci prova. E così, mentre squat storici e villaggi autonomi vengono sempre più sgomberati per lasciar spazio ad abitazioni, uffici e centri commerciali, c’è ancora chi si affida a intuizioni artistico/curatoriali per rivendicare un sentimento profondamente radicato in diverse comunità della capitale olandese. Tra questi vi è indubbiamente Giacomo Cardoni (1987), giovane curatore e artista nostrano che, da circa sei anni a questa parte, ha cominciato a dedicarsi a un progetto a dir poco ambizioso: recuperare una barca abbandonata per trasformarla in un piccolo museo dedicato completamente alla pirateria.
Inaugurato lo scorso dicembre, PiMu – Piraat Museum è attualmente visitabile all’interno dell’area comune della Fondazione De Vliegtuin, una sorprendente realtà, situata al centro del quartiere Noord di Amsterdam, messa in piedi da fabbri ingegnosi, maker e liberi professionisti. Per saperne di più su questo particolarissimo progetto abbiamo incontrato il suo ideatore, al quale abbiamo rivolto un po’ di domande.
INTERVISTA A GIACOMO CARDONI
Partiamo dall’inizio: sei nato nel 1987 nella provincia di Pesaro, dove hai iniziato a formarti sia come artista che come curatore. A un certo punto hai preso armi e bagagli, sei partito per Amsterdam e ci sei rimasto per circa dieci anni. Raccontaci brevemente di te, dei motivi che ti hanno spinto a salpare verso l’Olanda e delle ragioni che ti tengono tutt’ora lì.
Un bando di residenza artistica vinto nell’inverno 2013. Un forte affiatamento tra un collettivo di artisti e amici. Una caparbietà condivisa – nello sperimentare con l’arte a tutto tondo – trasformatasi in successo all’interno di una struttura culturale importante per il centro di Amsterdam, lo spazio OT301. Cosi è nato, e poi cresciuto negli anni, il progetto 4bid gallery, dandomi la possibilità di esplorare il panorama artistico locale.
E il Piraat Museum? Com’è nato il progetto?
Il progetto PiMu – Piraat Museum è nato da uno sguardo aperto alla diversità, un’epifania.
Trovai il relitto di una barca abbandonata nel giardino di una delle comunità alternative sparse nel vivo underground di Amsterdam. Un vero e proprio relitto da romanzo, ma a miei occhi pieno di magia e potenziale. Collegando intuizioni e capacità artistiche, mi sono fatto avanti con una prima idea nel 2015: trasformare la barca in un museo dedicato alla pirateria e metterlo su ruote, iniziai così a costruirci attorno un piccolo villaggio pirata. Attivato per progetti culturali nel 2016, nel 2018 divenne anche una sorta di “fissa dimora”. Dedicandomi principalmente alla realizzazione di PiMu, la mia vita iniziò così a diventare “pirata” in molte sfaccettature del quotidiano. Il 12 dicembre 2021 il museo è stato finalmente presentato, in maniera ufficiale, tra le offerte culturali di Amsterdam.
Cosa si può trovare al suo interno?
PiMu offre un’esperienza multisensoriale nella quale immergersi, immaginati di entrare nella pancia di una barca: da poppa a prua si può ammirare un corpus di illustrazioni che ho realizzato ispirandomi alle figure di alcuni pirati iconici. Poi ci si addentra in un piccolo spazio dedicato a mostre temporanee che attualmente ospita una serie di stampe – prodotte dall’artista olandese Aleid Landeweerd – ispirate a sette celebri piratesse. Il tutto è collegato da un’audioguida interattiva che racconta l’evoluzione della pirateria a 360 gradi.
Tra mappe, testi, storie mitologiche, oggetti emblematici e installazioni multimediali, il visitatore viene così guidato verso il mondo della pirateria contemporanea: una dimensione altra popolata da soggetti che incarnano l’archetipo dell’antieroe.
PIRATERIA IERI E OGGI
Fra i vari pirati a cui è dedicata una sezione della barca-museo vi sono anche le figure di Edward Snowden e del misterioso creatore dei Bitcoin, Satoshi Nakamoto. Alla luce di quello che sta avvenendo in questo momento storico (pensiamo soprattutto alla bolla speculativa generatasi dal fenomeno degli NFT), riesci ancora a vedere nelle criptovalute un certo potenziale rivoluzionario oppure anche questo concetto è ormai da considerarsi parte di un sistema omologato e capitalistico?
Trovo che, nel creare una valuta usufruendo del libero navigare nel digitale, Satoshi abbia offerto una prospettiva di rivoluzione che entra nella sfera semantica stessa della pirateria. Un’idea scomoda che prende piede grazie alle comunità cyberpunk fino a divenire una vera alternativa economica, globale e accessibile. Descritto dai sui creatori e sostenitori come un’opzione anti-governativa, il concetto di Bitcoin ha creato un certo rumore evidenziando i limiti del modello economico standard e aprendo, al contempo, discussioni e prospettive progressistiche.
PiMu si fonda completamente sul pensiero delle comunità open source, l’idea è quella di creare un’esperienza nuova digitalizzando le opere in esso contenute per renderle accessibili attraverso il progetto Pirate Box: un’idea sviluppata programmando una Raspberry-pi e generando una rete WiFi indipendente dedicata all’upload e al download dell’archivio pirata.
Che cos’è per te la pirateria oggi? Dove la si può trovare?
La pirateria al giorno d’oggi è l’arte della disobbedienza. È la capacità di non scegliere di omologarsi a favore di un sapersi coalizzare e reinventare all’interno di una bolla indipendente e autonoma: uno spazio nel quale potersi liberamente mettere in gioco per rivendicare un cammino di vita finalizzato alla rappresentazione di un’idea di società “a misura d’uomo”. Una realtà in netta contrapposizione con le ingiustizie vissute all’interno di un sistema più propriamente mainstream.
Pensando al tuo personale modus vivendi, appare chiaro che tu non faccia troppe distinzioni tra arte e vita privata. In quest’ottica, tutto il progetto Piraat Museum assume quasi le sembianze di un processo fisiologico, confermi?
Ebbene sì: c’è una relazione di scambio costante con questo progetto che continua a crescere da anni, dentro e fuori dalla mia vita privata. PiMu è in continua trasformazione.
Quando accolgo i visitatori al suo interno, e inizio a raccontare storie, presento prima di tutto la barca (affettuosamente battezzata Cheri), come se fosse un essere fatto di anima e corpo. Considero PiMu un progetto vivo, organico, fatto di scambi, di responsabilità e dedizione. Ogni settimana provo a implementarne i contenuti per offrire novità, e devo ammettere che sarebbe stato impossibile senza una buona dose di caparbietà, e forse pure un pizzico di sana incoscienza.
A questo punto è inevitabile chiederti: ti senti un pirata?
Mi stanno un po’ strette le auto definizioni, ma spesso mi sono sentito un pirata in tanti momenti di condivisione e, soprattutto, nel processo di co-creazione di PiMu.
Quando apro il museo ai visitatori, o ne racconto le vicende, sento che la parte narrativa, sostenuta dalle opere d’arte e dai testi scelti, diventa una forma di conversazione che non fa esclusivamente parte di un bisogno personale. Percepisco che la difficoltà di alcune scelte personali si trasforma in entusiasmo, diversità, alternativa e fascino piratesco: delle sensazioni non solo mie, ma condivise anche con gli altri.
‒ Valerio Veneruso
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