Con capitali privati di provenienza francese è sorto, nel quartiere Lobozounkpa della città di Cotonou, Le Centre, spazio culturale dedicato all’arte contemporanea così come alla tutela del patrimonio artistico antico. La direttrice, Marion Hamard, ci racconta questa avventura nata nel 2015.
Come e perché è nato Le Centre? Quali sono i suoi obiettivi e come viene finanziato?
La nascita di Le Centre è soprattutto una storia di relazioni tra varie personalità, come l’artista beninese Dominique Zinkpè e Robert Vallois, figura tutelare del Collectif des Antiquaires de Saint-Germain-des-Prés di Parigi. Le Centre è uno spazio ibrido, un centro d’arte, che ospita al sui interno il piccolo Musée de la Récade, ma anche uno spazio abitativo. La nostra missione si concentra sulle arti visive attraverso mostre, residenze e incontri, il sostegno alla scena artistica emergente, l’educazione dei giovani e la conservazione del patrimonio dell’antico Regno di Danxomè. Il Centro è finanziato dal Collectif des Antiquaires de Saint-Germain des Prés, che ha donato le opere per il Petit Musée e finanziato la costruzione e il funzionamento della struttura.
Qual è lo sforzo del governo per sostenere la cultura?
In questi ultimi mesi c’è stata una svolta. Penso al rientro di tante opere dall’estero e all’esposizione Art du Bénin d’hier et d’aujourd’hui: de la restitution à la révélation, ma anche alla legge n° 2021 che tutela i beni culturali nazionali. Si tratta di passi storici per il Paese, e penso spingeranno molti altri Paesi africani ad agire nella stessa maniera. È sufficiente? Certamente non risolve tutti i problemi, ma qualcosa accade e aspettiamo con trepidazione gli sviluppi. C’è la speranza che questo slancio non diminuisca e che segni l’inizio di una nuova era per il settore culturale. Le aspettative degli artisti e dei vari attori culturali sono alte.
Come descriverebbe la scena artistica contemporanea del Benin? Gli artisti sono interessati alle grandi questioni del nostro tempo, come l’ecologia, i diritti umani, la democrazia?
La scena è in piena evoluzione, con tante aspirazioni e tante sfide da affrontare. Ci sono importanti questioni strutturali aperte: serve una formazione trasversale per il sistema, che tenga conto degli aspetti legislativi, giuridici ed economici. È necessario anche il sostegno finanziario di istituzioni e aziende del Paese. E poi, la società deve capire le sfide poste dalla comunità artistica e il suo potenziale per la costruzione del Paese. Penso che ci sia consapevolezza della strada da percorrere, perché gli artisti, ma non solo, sono impegnati sui problemi. Cito, ad esempio, un progetto che abbiamo sviluppato per Médecins du Monde Suisse nel 2021: un programma incentrato sull’educazione alla non violenza in quattro scuole primarie di Cotonou attraverso laboratori di introduzione ai graffiti e alla street art, con gli artisti Seencelor, Mr Stone e Gopal Das.
L’AFRICA E L’ARTE CONTEMPORANEA
Nella grande sfida della modernizzazione, quanto è forte l’identità africana? Qual è l’impegno degli artisti per mantenere vivi tradizioni e valori?
Non mi sembra ci sia un’identità africana, ma più di una. Certo, ci sono somiglianze e impegni comuni, ma è importante considerare le singolarità nelle loro dimensioni politiche, economiche, filosofiche, spirituali, eccetera. Molti artisti lavorano per preservare e promuovere linguaggi e tradizioni, per riscrivere la storia in modo inclusivo, promuovere le specificità e i punti di forza del Paese, indagandone anche i limiti e le debolezze. Penso in particolare a Isola Akpo, Eliane Aisso, Moufouli Bello, Marius Dansou, Sénami Donoumassou, Nobel Koty.
La globalizzazione è arrivata anche qui, ma c’è una forma di resistenza. Basta? Non tutto è male, all’interno di questa dinamica. La domanda mi fa pensare a una frase di Edouard Glissant: “Cambio, scambiando con l’altro, senza però perdermi, né snaturarmi”. Penso che sia uno degli obiettivi di oggi, così come lo era per i nostri antenati.
Lavorate anche con le scuole? Qual è il vostro sforzo per educare le giovani generazioni?
L’età media in Benin è inferiore ai 20 anni, mentre in Francia e Italia è di circa 40 anni. Questo indica che non abbiamo gli stessi problemi, a seconda dello spazio in cui operiamo. Lobozounkpa è un quartiere in cui si trovano molte scuole. I giovani sono al centro della nostra azione e rappresentano più della metà del nostro pubblico. Abbiamo anche sviluppato attività ed eventi specifici per i bambini, per offrire loro l’accesso all’arte a seconda dell’età. Abbiamo il programma Des livres en partage (Libri condivisi), ogni mercoledì, che consiste nel mettere a disposizione dei nostri ragazzi libri da leggere fuori dallo spazio di una biblioteca che potrebbe rivelarsi troppo “scolastica” o accademica. Il sabato è dedicato a Les enfants s’amusent, dove i bambini giocano con il nostro team; e a Baby crew, un laboratorio hip-hop diretto da Arouna Guindo, in collaborazione con Cie Dreamkeys, per stimolare la nascita di una giovane generazione di ballerini. I ragazzi hanno anche l’opportunità di entrare in contatto con i nostri artisti in residenza o appositamente invitati per conoscere, attraverso gli Atelier jeune public, le diverse pratiche artistiche.
Qual è il programma per il 2022? Avete intenzione di avviare collaborazioni internazionali?
Vogliamo proseguire verso gli obiettivi che ci siamo dati e sviluppare nuovi progetti in collaborazione con partner locali come Innov’artions, Dreamkeys, l’Ecole International du Theatre o l’Istituto Francese del Benin. Il Covid ha messo un freno a molti progetti, ma stiamo lavorando per sviluppare nuove collaborazioni in Africa e in Europa.
Per il Petit Musée sviluppiamo il programma Musée en Mouvement, per stimolare il dialogo tra gli artisti e il patrimonio materiale, e sviluppare la ricerca scientifica e storica sulla nostra collezione. La sfida è quella di costituire un archivio dell’antico Regno di Danxomè. Per questo, abbiamo prodotto un documentario per tramandare il know-how degli artigiani che hanno realizzato il patrimonio materiale del Paese, e preservare una storia orale che altrimenti si perderebbe. Anche il teatro può essere un ottimo mezzo per diffondere conoscenza e memoria, infatti collaboriamo con Didier Nasségandè, su un testo drammaturgico da rappresentare qui da noi. E l’artista Sènami Donoumassou sta attualmente lavorando a un’edizione per ragazzi in cui racconterà la storia del Regno di Danxomè attraverso le sue illustrazioni.
– Niccolò Lucarelli
https://www.lecentre-benin.com/
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