Futuro Antico. Intervista a Marino Niola
Antropologia e arte dialogano nel pensiero di Marino Niola, nuovo protagonista della rubrica curata da Spazio Taverna
Come vede il futuro un antropologo con la passione per l’arte? A rispondere è Marino Niola (Napoli, 1943), che svela il suo debole per Aby Warburg e la pittura di El Greco
Quali sono i tuoi riferimenti ispirazionali nell’arte?
Per quanto riguarda la teoria, i miei livres de chevet sono quelli di Aby Warburg, La rinascita del paganesimo antico e Il rituale del serpente. Aggiungerei anche Heinrich Wölfflin, Rinascimento e barocco, insieme a Eugenio D’Ors, Il barocco. Infine, Lévi-Strauss, Guardare, ascoltare, leggere. Per un antropologo che guarda l’arte dall’esterno, da lontano, questi autori ispirano letture e punti di vista sghembi, eterodossi, indisciplinati.
Qual è l’opera che ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi?
La mia opera coup de coeur in realtà sono due. L’entierro del conde de Orgaz di El Greco e Las Meninas di Velázquez. Il secondo è una teologia della pittura, un teatro della potenza, uno specchio della regalità che è soggetto e oggetto della visione. Mentre il primo è l’antropologia della pittura. Che attraverso la rappresentazione del lutto fa affiorare la statica e la dinamica di una società, il suo ethos e il suo pathos. Il corrispettivo pittorico del Dramma barocco tedesco di Walter Benjamin.
Che importanza ha il genius loci all’interno del tuo lavoro?
Per un antropologo il genius loci è l’oggetto stesso della ricerca. Ma non inteso come identità di superficie. Bensì come intrico oscuro delle radici che si avviluppano e si stratificano nelle profondità dimenticate del genius loci in una tenebrosa e profonda unità, come la chiama Baudelaire. Non mi interessa l’origine, vera o presunta, immaginata o inventata, ma la provenienza, l’Herkunft di Nietzsche, dove le identità sfumano lasciando il posto al mormorio remoto delle differenze che la costituiscono. E ci rendono al fondo stranieri a noi stessi.
IL FUTURO SECONDO MARINO NIOLA
Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credi che il futuro possa avere un cuore antico?
Il futuro ha un cuore antico. O non ha cuore. Non a caso per gli antichi gli indovini erano quelli che conoscevano ogni attimo del passato e proprio per questo erano in grado di prevedere lo svolgersi del futuro. O meglio di “pre-soffrire” quel che verrà, come il Tiresia della Terra desolata di Eliot. Che sedette sotto le mura di Tebe. E dal suo passato remoto pre-vede quel futuro anteriore che annuncia il breakdown della modernità.
Quali consigli daresti a un giovane che voglia intraprendere la tua strada?
Di coltivare la sua curiosità, di sviluppare il senso del disorientamento, di non ascoltare i consigli di genitori e insegnanti, ispirati da una ragion pratica che spinge a cercare un posto e a perdere se stessi.
In un’epoca definita della post verità, ha ancora importanza e forza il concetto di sacro?
Il sacro conserva la sua importanza purché non lo si identifichi in una religione. Ma in un cielo di valori etici, estetici e poetici che dia luce all’esistente. Il declino della politica oggi deriva proprio dalla perdita del mito e dei simboli, che finisce per mettere a nudo l’infondatezza di una vita retto solo dall’utile. Da una ratio calcolante che chiude la mente e il cuore.
Come immagini il futuro? Sapresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
Alfabetizzazione digitale di massa. Valorizzazione dei Beni Culturali. Ma soprattutto realizzazione delle pari opportunità di genere. Perché una società con troppe donne in panchina, come la nostra, rinuncia a una quota vitale di creatività, di organizzazione, di talento di cui abbiamo necessità assoluta. E non solo perché le donne hanno bisogno di lavorare. Ma perché la società ha bisogno del loro lavoro. Altrimenti resterà come un’anatra zoppa. O un bimotore che vola con un motore solo.
‒ Ludovico Pratesi
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