In un Paese non facile, dove la cultura gode di poco sostegno governativo, e dove le tensioni interne mettono a dura prova la stabilità, il 32° East – Ugandan Arts Trust lavora per dare agli artisti un luogo dove confrontarsi e completare la loro formazione, attraverso un vasto programma di residenze e di laboratori.
La giovane direttrice Teesa Bahana ci parla dell’attività senza tralasciare le problematiche dell’Uganda di oggi.
Perché è nato il 32° East Ugandan Arts Trust e come viene finanziato?
32° East è stato creato nel 2011 come luogo per costruire relazioni e condividere risorse, e permettere agli artisti di sperimentare senza la pressione del mercato. All’epoca non esistevano spazi di residenza, ma grazie a noi molti artisti talentuosi hanno beneficiato di uno spazio dove esprimere la propria creatività, grazie anche alla biblioteca e altri strumenti didattici che potevamo fornire. Attualmente riceviamo il sostegno di società e fondazioni come Doen Foundation, The Sigrid Rausing Trust, Mimeta, Outset Contemporary Art Fund, nonché di singoli donatori privati.
Come descriveresti la scena artistica contemporanea ugandese?
È una scena piccola, nel senso che ci sono pochi spazi espositivi, e molti artisti lavorano in casa. Gli artisti spesso passano da un linguaggio espressivo all’altro e da una disciplina all’altra, il che rende interessante seguirne le evoluzioni negli anni. In ogni caso, la tecnica resta un aspetto importante della pratica. L’Uganda ha poi anche la tradizione della lavorazione della corteccia e delle perline di carta, per i quali artisti come Fred Mutebi e Sanaa Gateja sono già famosi, mentre i più giovani come Sheila Nakitende stanno ripensando l’approccio verso questi materiali.
In che modo la cultura può migliorare le condizioni delle donne in Uganda? Qual è il ruolo delle donne nell’arte ugandese? Hanno possibilità di fare carriera o trovano “porte chiuse” e pregiudizi?
La scena artistica è prevalentemente maschile. Le donne non subiscono necessariamente discriminazioni, ma devono sopportare il giudizio maschile sulle loro capacità creative, o sottostare alle aspettative di genitori e suoceri circa un loro impegno familiare. Ci sono ragazze cui i genitori non danno indipendenza, e poiché molti giovani vivono ancora con i genitori fino a quando non sono sposati o indipendenti, questa mentalità può avere un forte impatto sulla carriera di una ragazza. Inoltre, come accade altrove, le artiste con figli non trovano tante opportunità che tengano conto del loro status di madri. E ciò ha un impatto significativo sui loro guadagni. Nonostante queste barriere, ci sono molte donne che hanno sviluppato una carriera, esposto a fiere d’arte internazionali e ricevuto premi. Fra le artiste che abbiamo avuto in residenza ce ne sono alcune molto interessanti, come Immy Mali, che indaga la memoria e la sua conservazione attraverso installazioni e performance, o Stacey Gillian Abe, che negli anni è passata dalla scultura alla fotografia alla pittura mentre esplora la forza e la fragilità. Infine, Leilah Babirye mette in luce l’esperienza storica e contemporanea LGBTQ attraverso la scultura.
L’UGANDA, L’ARTE E LA CULTURA
Cosa sta facendo il governo per sostenere lo sviluppo della cultura?
Non c’è molto sostegno; i finanziamenti agli artisti durante la pandemia avevano criteri di distribuzione molto equivoci, e hanno raggiunto ben pochi di loro. Spesso il governo crea un ambiente ostile per la libertà di espressione. Scrittori e poeti come Kakwenza Rukirabashaija e Stella Nyanzi sono stati arrestati e torturati per aver offeso il presidente o la sua famiglia ai sensi del Computer Misuse Act, secondo cui chi utilizza la comunicazione digitale per disturbare la quiete o la privacy altrui commette un illecito. Si può capire come un’interpretazione estensiva di questa legge possa portare a una grave lesione del diritto di espressione. Oltre al fatto che gli eventi culturali spesso devono pagare tasse elevate per potersi svolgere, e le proiezioni pubbliche devono essere prima sottoposte alle autorità per l’approvazione. Quindi, il governo potrebbe fare molto rimuovendo queste barriere.
Quanto è forte il neocolonialismo in Uganda? Gli artisti sentono ancora questa influenza? Pensi che una forte identità nazionale possa aiutare a fermare questo fenomeno di ritorno?
Il neocolonialismo è ovunque. Fino a quando la struttura economica del nostro mondo non cambierà, il neocolonialismo sarà presente. Gli artisti ne sono consapevoli, anche perché ciò che sappiamo del mondo dell’arte viene principalmente dall’Europa o dagli Stati Uniti, e ciò che è considerato buona arte ne è fortemente influenzato. Ci sono molti giovani che si diplomano in arte senza conoscere molti artisti africani, e tuttavia possono essere molto abili dal punto di vista tecnico. Penso quindi che le residenze siano strumenti molto importanti per gli artisti per trovare la propria voce e capire più profondamente chi sono e cosa vogliono dire, perché in questi contesti sono incoraggiati a sperimentare, a non pensare al mercato dell’arte e al prodotto finale, ma solo a concentrarsi sul processo creativo e a sperimentare nuove soluzioni.
32° East ha sviluppato programmi/workshop/mostre, per riflettere sull’identità ugandese, per riscoprire tradizioni culturali e tecniche artistiche tipiche?
La conoscenza delle tradizioni può essere un potente mezzo per comprendere la propria identità e anche per raccontarla secondo nuovi criteri. Ad esempio nel 2014 abbiamo ospitato una residenza per History in Progress Uganda, con tre artisti (Papa Shabani, Achola Rosario e Lwanga Emmanuel) che hanno creato illustrazioni ispirate alle didascalie di Simuda Nyuma, trilogia degli Anni Trenta di Ham Mukasa, che fu visir alla corte di Mutesa I di Buganda, nel sud del Paese. Mukasa scrisse le vite di tre re che governarono il Buganda dal 1850 fino agli Anni Trenta. All’interno della collezione di famiglia di Mukasa, che comprende fotografie, libri, manoscritti e documenti, il curatore Andrea Stultiens ha trovato un elenco con le descrizioni delle illustrazioni. Gli artisti hanno interpretato le didascalie mentre erano in residenza al 32° Est. History in Progress Uganda ha anche prodotto una serie di pubblicazioni che, come scritto nella prefazione “aprono possibilità di relazionarsi con la storia dell’Uganda attraverso le fotografie”. Penso che progetti come questo siano un modo potente per aiutarci a capire il colonialismo e il suo continuo impatto e, si spera, distruggere parte del potere del neocolonialismo.
‒ Niccolò Lucarelli
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