Che cos’è la Neuroarthistory: intervista al pioniere John Onians
Qual è il legame tra arte e neuroscienza? E come può aiutare a mettere a punto un approccio più inclusivo e non eurocentrico alla storia dell’arte? Risposte e spunti nelle parole di John Onians, pioniere della materia
Lo storico dell’arte britannico John Onians (1942) è professore emerito di World Art presso l’Università dell’East Anglia, a Norwich. I suoi interessi spaziano dall’analisi approfondita dell’architettura rinascimentale italiana e dell’arte greca e romana alla sperimentazione con un ampio avvicinamento all’arte quale fenomeno mondiale, come la geografia dell’arte. Onians è il pioniere della Neuroarthistory e l’autore di Neuroarthistory: From Aristotle and Pliny to Baxandall and Zeki (2008), e European Art: A neuroarthistory (2017).
INTERVISTA A JOHN ONIANS
Che cos’è la Neuroarthistory?
La Neuroarthistory è la storia dell’arte che sfrutta le scoperte delle neuroscienze. È noto da tempo che fare arte e reagire all’arte richiedono entrambi un uso intensivo delle nostre risorse neurali, in particolare quelle al servizio dell’occhio e della mano. Solo di recente, tuttavia, le tecnologie, come la scansione cerebrale, hanno consentito di analizzare e comprendere i complessi processi coinvolti. Il risultato è stato che ora possiamo migliorare le nostre risposte a vecchie domande storico-artistiche e impegnarci con quelle nuove. Basandosi sul lavoro di pensatori precedenti, da Aristotele a Gombrich, la Neuroarthistory utilizza le più recenti conoscenze sulla struttura del cervello e sui principi che ne regolano il funzionamento per spiegare i processi coinvolti nella creazione, visualizzazione, uso e interpretazione di tutti i tipi di arte, di tutti i luoghi e di tutte le epoche.
Come funziona nel dettaglio?
La Neuroarthistory può assumere molte forme, da quelle più modeste a quelle più ambiziose. Può comportare solo l’utilizzo di un aspetto delle neuroscienze per integrare gli approcci esistenti allo studio di un particolare oggetto, ad esempio un dipinto come la Gioconda (J. Onians, The distinctive creativity of Leonardo and Michelangelo, Secrets of Creativity. What Neuroscience, the Arts and our Minds Reveal. S. Nalbantian and P. M. Matthews, Oxford 2019, 353-375). Oppure potrebbe essere più ambizioso, richiedendo una considerazione completamente nuova di tutta l’attività mentale umana, riconoscendo che il motivo per cui possediamo un cervello e un sistema nervoso non è, come spesso si è ritenuto, per permetterci di pensare, ma, come con tutti gli altri animali, per aiutarci a muoverci fisicamente in modi che garantiscano con successo la trasmissione del nostro materiale genetico.
Quale ruolo gioca l’arte in questo scenario?
L’arte, come tutte le altre azioni che sono facilitate dal nostro sistema nervoso, è quindi in qualche modo visceralmente importante per noi, essendo più rilevante per la nostra sopravvivenza fisica di quanto ci siamo resi conto in precedenza. Questo ruolo ritrovato del nostro sistema nervoso nel promuovere la nostra sopravvivenza fisica aiuta a spiegare perché possiede alcune proprietà straordinarie che sono state selezionate dall’evoluzione. Una è la plasticità neurale: la proprietà che assicura che le connessioni nelle nostre reti neurali non siano, come si pensava, fisse, ma mutevoli e soggette a cambiamenti costanti in risposta alle variazioni delle nostre esperienze, assicurando così, tra le altre cose, che siano sempre adattate alle nostre circostanze particolari. Un’altra proprietà è il mirroring neurale. Ciò garantisce, tra l’altro, che siamo responsabili, inconsciamente, di imitare e comprendere le azioni di coloro che ci circondano, rendendo così i nostri comportamenti più compatibili con il nostro ambiente specifico.
Conoscere i principi neurali su cui si basano queste proprietà fornisce nuove intuizioni su molti comportamenti legati all’arte. Ad esempio, poiché questi processi neurali guidati dall’ambiente sono biologici e in una certa misura prevedibili, possiamo dire che più conosciamo l’ambiente materiale e sociale di qualcuno, più conosceremo la sua attività mentale. Dato ciò che sappiamo dei principi che governano la formazione neurale, possiamo ora ricostruire aspetti salienti delle risorse neurali che consentono a individui e gruppi di adattarsi al loro contesto. La conoscenza dei principi delle neuroscienze ci fornisce così un nuovo accesso alla vita mentale degli individui senza che abbiamo bisogno né di parlare con loro né di metterli in uno scanner.
LE CARATTERISTICHE DELLA NEUROARTHISTORY
Come si è interessato alla Neuroarthistory?
Da studente laureato negli Anni Sessanta, il mio supervisore, E. H. Gombrich, mi ha introdotto alla psicologia dell’arte e poi, negli Anni Settanta, il neuroscienziato Colin Blakemore mi ha avvertito del potenziale ruolo delle neuroscienze in quella psicologia. L’importanza di questo ruolo è stata poi messa in rilievo negli Anni Ottanta dalla mia ricerca di uno strumento che mi desse uguale accesso all’arte di tutti i popoli in tutto il mondo dalla preistoria ai giorni nostri e mi liberasse dai vincoli tradizionali nelle discipline umanistiche. Non richiedendo più di dare il primato alle parole e di pensare in termini di coscienza e razionalità, l’uso delle neuroscienze mi permette di comprendere l’importanza dell’attività mentale che si esprime in azioni corporee che sono guidate da bisogni vitali, essendo registrati nelle viscere.
Quali sono le principali differenze tra la Neuroarthistory e gli altri metodi e teorie della storia dell’arte?
Gli altri metodi e teorie storico-artistiche, seguendo una tradizione che risale all’antica Grecia, tendono a trattare le parole come la migliore espressione della mente umana. La maggior parte deve ancora accettare le intuizioni prodotte dalle ultime neuroscienze. Hanno quindi poca consapevolezza dell’importanza del sistema nervoso per tutta l’attività mentale umana. La Neuroarthistory, al contrario, poiché riconosce che il sistema nervoso collega le funzioni superiori della mente a tutte le parti del corpo, agli arti, ai visceri e ai sensi, si occupa di aspetti dell’esperienza ignorati da altri approcci, ad esempio il movimento fisico, le sensazioni, emozioni e memoria. La Neuroarthistory riconosce pienamente il ruolo del fisico nel mentale.
Riconosce anche più pienamente il ruolo dell’individualità. Altri approcci trattano l’arte principalmente come una manifestazione culturale, modellata dal pensiero razionale e dagli scambi verbali, concentrandosi su spiegazioni che sono sociali e di gruppo. La Neuroarthistory, al contrario, riconosce che la formazione neurale è individuale, essendo un prodotto dell’interazione tra l’eredità neurale genetica di una persona alla nascita e i cambiamenti nelle sue esperienze personali.
Alcuni studiosi hanno criticato la Neuroarthistory come un metodo puramente scientifico che non considera le influenze culturali sul cervello nel plasmare l’arte. Cosa ne pensa?
Questo punto di vista si basa su un malinteso. La Neuroarthistory non è “puramente scientifica”, ma utilizza la conoscenza scientifica come ausilio per la comprensione di processi culturali familiari come la formazione e la trasmissione di preferenze, valori e ideologie. Nel mio caso, la scienza mi dice che sono daltonico a causa della mia eredità genetica. Chiarisce anche le strategie culturali che posso adottare per compensare quel deficit.
ARTE E NEUROSCIENZE
Dopo il 1989 l’arte contemporanea ha sfondato i confini occidentali ed è diventata globale. Pertanto, l’arte globale necessitava di un nuovo approccio alla storia dell’arte. Per aiutare a sviluppare la storia dell’arte come disciplina globale ed evitare l’eurocentrismo, molte università hanno cercato di adottare un curriculum più inclusivo, aggiungendo più corsi di storia dell’arte non occidentali. La Neuroarthistory può facilitare il processo?
Assolutamente sì! In effetti, una delle principali motivazioni dietro lo sviluppo della Neuroarthistory è stata il desiderio di trovare un approccio che fosse ugualmente applicabile a tutti i popoli, luoghi e periodi. Uno dei problemi con tutti i precedenti approcci all’arte, compresi quelli adottati in molti dei nuovi corsi di storia dell’arte non occidentali, è che in genere continuano a perpetuare pregiudizi eurocentrici. Ad esempio, supponendo ancora che il modo migliore per avvicinarsi a una cultura sia attraverso il linguaggio e lo studio delle espressioni verbali in generale, rafforzano lo snobismo che sostiene in primo luogo il predominio europeo e occidentale. Inoltre, sottolineando l’importanza dei linguaggi, che nessuno può padroneggiare più di un tot, rendono molto più difficile sviluppare un approccio che si riferisca alla totalità della produzione artistica. I principi biologici che sostengono le neuroscienze sono universali. Applicandoli trattiamo tutte le persone e tutti i periodi con uguaglianza.
Quali sono i suoi suggerimenti per coloro che sono interessati alla Neuroarthistory?
Uno dei modi migliori per trarre pieno beneficio dalla Neuroarthistory è divenire consapevoli della propria storia neurale, ovvero la misura in cui la propria formazione mentale individuale è il prodotto delle proprie esperienze particolari. Una volta fatto ciò, seguirai più facilmente le storie neurali degli individui che hanno creato e utilizzato l’arte che stai studiando. Più riuscirai a ricostruire la formazione cerebrale di ciascuno di essi, più capirai il loro particolare rapporto con l’arte.
‒ Mohsen Veysi
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