Futuro Antico. Intervista alla collezionista Patrizia Sandretto
La collezionista Patrizia Sandretto riflette sul futuro nella rubrica curata da Spazio Taverna. E non parla tanto di opere, piuttosto di formazione, giovani, ecologia. E di un'isoletta in mezzo alla laguna di Venezia
Patrizia Sandretto è Presidente della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. È membro dell’International Council del MoMA di New York, dell’International Council della Tate Gallery di Londra, del Leadership Council del New Museum di New York, dell’Advisory Committee for Modern and Contemporary Art del Philadelphia Museum of Art, del Conseil d’Administration de l’Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts de Lyon, del Comitato di Art Basel Cities, del CCS Board of Governors del Bard College di New York, dell’Advisory Committee del Rockbund Art Museum di Shanghai e presidente del Comitato Fondazioni Arte contemporanea.
Quali sono i tuoi riferimenti ispirazionali nell’arte?
Il giardino delle delizie di Hieronymus Bosch al Museo del Prado a Madrid; la sacra conversazione di Giovanni Bellini nella chiesa di San Zaccaria: quando sono a Venezia, vado spesso ad ammirarla in silenzio, immersa nell’azzurro del manto della Madonna in trono, altre volte concentrata sull’architettura o sulla fragile delicatezza degli alberi posti ai lati della scena. Louise Bourgeois, le straordinarie Appassionate di Carol Rama, gli Untitled Film Stills di Cindy Sherman, ma anche le opere che ancora non esistono e che sono certa mi colpiranno.
Fra le numerose letture che mi hanno ispirato, Mecenati e pittori di Francis Haskell, L’autobiografia di Alice B. Toklas di Gertrude Stein. Amo leggere e rileggere le pagine di Autoritratto di Carla Lonzi, per ritrovare il ritmo di un dialogo corale, con le sue voci, i pensieri intrecciati, le pause, le divagazioni. Mi ricorda quanto è importante parlare con gli artisti, conservare la memoria dei discorsi fatti insieme, metterli uno in fila all’altro per arricchire la comprensione dell’arte nella sua pluralità.
Qual è il progetto che ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi?
Cerco sempre i punti di consonanza tra i progetti in corso e la mia vita, gli interessi e i pensieri di quel preciso momento. La progettualità è per me un vettore di energia vitale, di ricerca e di scoperta.
Se allargo lo sguardo alla storia della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, che ho creato e guido dal 1995, il progetto più rappresentativo è lo Young Curators Residency Programme, avviato nel 2006. Da allora, ogni anno, tre giovani curatrici e curatori stranieri, provenienti dalle scuole specialistiche più riconosciute al mondo, arrivano a Torino per una residenza concepita come un lungo viaggio attraverso l’Italia, la sua scena artistica, le istituzioni, i musei, gli studi d’artista, le gallerie, le riviste. Il programma favorisce la conoscenza capillare del nostro sistema e sostiene l’arte prodotta in Italia, che curatori e curatrici, di ritorno a casa, sapranno veicolare oltre i nostri confini. Alla fine del viaggio curano una mostra, traducendo in concreto, attraverso le opere, le impressioni e la loro visione. Le mostre si rinnovano a ogni edizione e oggi formano un’ideale “collezione”, una storia dell’arte italiana delle ultime generazioni vista da occhi stranieri, dall’angolatura di diverse provenienze culturali.
Dal 2020 abbiamo portato questo progetto anche in Spagna: è il programma che la Fundación Sandretto Re Rebaudengo Madrid, nata nel 2017, ha scelto per accostarsi alla giovane arte di questo Paese, promuovendo la ricerca sul campo e il dialogo come chiavi di ingresso in una realtà artistica.
Che importanza ha per te il genius loci all’interno del tuo lavoro?
Non è un’espressione che utilizzo normalmente. Lo spirito del luogo mi interessa come insieme stratificato di storie, di esistenze umane ma anche di geografie fisiche, territori e geologie: terra, pietre, acqua, alberi. Nel Parco d’arte Sandretto Re Rebaudengo a Guarene, tra le colline piemontesi del Roero, lo spirito del luogo era un maestoso cipresso centenario, caduto per vecchiezza qualche anno fa. Grazie all’artista Mark Handforth, la sua essenza permane nel legno, utilizzato per realizzare due grandi panchine, posizionate di fronte al paesaggio. Nel design delle due sedute, mi ha spiegato Mark, “la forma naturale del legno può parlare”. Il cipresso continua a parlare la sua lingua, fatta di nodi, di anelli, di linee.
Le opere site-specific che commissiono e produco per il Parco interpretano i tanti spiriti del luogo. È il caso di Rise, la grande scultura di Marguerite Humeau, installata accanto alla nostra giovane vigna di uve Nebbiolo. Realizzata con una fusione in alluminio, Rise riproduce, in grande scala, i microscopici fiori maschili e femminili della vite. L’intreccio rievoca la loro prima impollinazione, l’incontro che ha generato il primo fiore ermafrodita, caratteristico della sottospecie Sativa della Vitis Vinifera, esito della sapiente selezione degli antichi viticultori. La forma tecnologica e futuristica della scultura sembra il risultato di un test in una galleria del vento. Al tempo stesso, contiene le molte direzioni di ricerca che l’artista ha seguito, sulle tracce delle tradizioni e delle colture locali, dei racconti delle masche piemontesi, con i loro poteri magici, di trasformazione e metamorfosi, tramandati di madre in figlia.
PASSATO E FUTURO SECONDO PATRIZIA SANDRETTO
Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credi che il futuro possa avere un cuore antico?
Un cuore antico e un cuore nuovo. Un battito ancestrale e uno appena nato. Credo che la nostra capacità di futuro, come persone e comunità, consista nel punto di equilibrio tra le eredità del passato e lo slancio a immaginare e costruire ciò che ancora non c’è.
I titoli dei libri di Carlo Levi sono molto belli. Libri di viaggio, saggi, articoli, un romanzo. Levi, che era nato a Torino esattamente centoventi anni fa, ha attraversato i luoghi – dall’Italia all’Unione Sovietica, dall’India alla Cina – cercando quella che definiva la “coesistenza dei tempi”, la contemporaneità tra il remoto e il presente, qualcosa che va oltre la storia, o, come scriveva nella prima pagina di Cristo si è fermato a Eboli, “quello che si usa chiamare la Storia”. Ecco, penso sarebbe importante recuperare un po’ del significato letterale della parola ‘contemporaneo’. La pronunciamo come sinonimo di attualità ma è, in realtà, una parola piena di echi. Porta con sé il senso dell’incontro tra diverse temporalità: un appuntamento tra generazioni, come ha detto con precisione Giorgio Agamben.
Quali consigli daresti a un giovane che voglia intraprendere la vostra strada?
Credo molto nella formazione, nella ricerca e nello studio. Alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo i programmi formativi costituiscono una linea centrale dell’intera attività. È il nostro modo per rispondere in modo professionale alla domanda dei giovani e delle giovani che desiderano intraprendere una carriera nel mondo dell’arte. Campo, il nostro corso di studi e pratiche curatoriali, è un percorso specialistico e intensivo che proponiamo dal 2012. Frequentato da studenti o laureate e laureati in storia dell’arte, filosofia, beni culturali, sociologia e altre discipline, esplora, all’interno e all’esterno del museo, un concetto ampio di curatela, come forma speciale di cura che riguarda lo spazio della mostra ma anche la dimensione discorsiva del public programme, il rapporto con il pubblico, le progettualità legate ai festival, all’editoria indipendente, alla scrittura.
Ogni giorno, i nostri consigli si traducono concretamente nei workshop concepiti ad hoc per le classi della scuola superiore e per i loro insegnanti, per i gruppi di universitari e di giovani adulti, nelle borse di ricerca che abbiamo assegnato nell’ultimo anno, nell’ambito di Verso, un progetto co-prodotto dalla Fondazione in collaborazione con la Regione Piemonte e il Dipartimento nazionale Politiche Giovanili, dedicato a persone di età compresa tra i 15 e i 29 anni. Il messaggio alla base di ciascuna di queste esperienze è quello di riconoscere all’arte contemporanea una capacità reale di incidere sui percorsi di apprendimento e di ispirazione delle ragazze e dei ragazzi che stanno crescendo.
In un’epoca definita della post-verità, ha ancora importanza e forza il concetto di sacro?
Penso che nell’arte contemporanea il sacro si traduca nel silenzio. Ricordo con emozione Aletheia, l’installazione dell’artista belga Berlinde De Bruyckere, prodotta e realizzata per la sua personale in Fondazione alla fine del 2019. Il suo lavoro scultoreo indaga temi universali quali il corpo sofferente, il dolore, la memoria, il potere della cura e della pietas. Il lavoro occupava la grande sala centrale del museo e traeva ispirazione dalla visita compiuta da Berlinde in un laboratorio per la lavorazione delle pelli ad Anderlecht, in Belgio. Trasformate in calchi di cera e pigmenti, le pelli sono diventate sculture, metafore della fragile condizione di ogni vivente. Dentro la grande sala di Aletheia (dal greco dischiudimento, svelamento, rivelazione), le visitatrici e i visitatori si muovevano in assoluto silenzio, come in una sorta di spazio sacro, benché laico, dove raccogliersi, riflettere e provare compassione.
Come immagini il futuro? Sapresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
Abbiamo da poco inaugurato il cantiere della nuova sede della Fondazione nell’isola di San Giacomo, un lembo di terraferma tra le acque calme della laguna di Venezia. Mi piace pensarla come un “avamposto dei sogni”. Sulla piccola isola, che ha la forma di un quadrato ed è l’esito di una stratificazione di insediamenti che si sono avvicendati nel corso dei secoli, mi prefiggo di dare vita a un centro di ricerca per il futuro. Coltiverò dunque le mie idee per i prossimi anni nel periplo di quella piccola isola, seguendo un pensiero ecologico capace di incrociare la preziosità dell’acqua e il potere dell’arte contemporanea.
– Marco Bassan
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