Futuro Antico. Intervista allo psicanalista Massimo Ammaniti

Lo psicanalista Massimo Ammaniti riflette sulla supremazia della tecnologia e sull’importanza del rapporto tra il corpo e la mente nel ciclo di interviste curato da Spazio Taverna

Massimo Ammaniti è nato a Roma nel 1941. È psicoanalista e medico neuropsichiatra infantile. Attualmente è considerato uno dei più noti psicoanalisti italiani specializzati nell’età evolutiva. È Professore Onorario di Psicopatologia dello sviluppo presso l’Università La Sapienza. Oltre a svolgere la sua attività come docente universitario e la sua professione in qualità di psicoanalista, Massimo Ammaniti è anche autore di numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative, tra le quali Adolescenti senza tempo (2018) e Il corpo non dimentica (con Pier Francesco Ferrari, 2020).

Ritratti del Fayyum. Aline. Ägyptisches Museum Berlin Altes Museum

Ritratti del Fayyum. Aline. Ägyptisches Museum Berlin Altes Museum

Quali sono i tuoi riferimenti ispirazionali nell’arte?
Direi che un’area che mi ha sempre interessato e coinvolto è quella della ritrattistica, cominciando dai volti del Fayum, che hanno dei tratti molto attuali, fino ai ritratti dei pittori del Rinascimento come Lorenzo Lotto, Antonello da Messina e Rembrandt, con una profondità psicologica che mi ha colpito. Nella contemporaneità mi interessa molto Lucian Freud, non solo per la parentela con il nonno Sigmund ma soprattutto per la sua maniera di dipingere l’intensità del corpo e del viso, che trasmettono la psicologia dei personaggi. Si tratta di persone del suo entourage, delle quali sottolinea l’imperfezione dei corpi per mostrare la verità dell’esperienza interiore. I corpi protagonisti dei suoi dipinti riflettono quella che chiamo “conoscenza implicita”, relativa a ciò che viene prima delle parole quando due persone si incontrano. Come diceva Merleau-Ponty, “il corpo parla” e influisce sulle relazioni umane. A questo argomento ho dedicato un libro, Il corpo non dimentica, per capire quanto il corpo sia protagonista nella nostra vita.

Qual è il progetto che ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi?
Il progetto che mi ha coinvolto maggiormente è stato il movimento antistituzionale degli Anni Sessanta, attivato e stimolato da Franco Basaglia contro le istituzioni manicomiali. Un uomo come lui riuscì a lottare contro le varie forme di emarginazione e di segregazione dei malati mentali e dei bambini chiusi negli istituti. Ci fu un grande movimento all’interno del mondo psichiatrico che coinvolse l’intero Paese e cambiò la stessa concezione del malato mentale, al quale Basaglia ha ridato un volto umano. Io stesso ho chiuso un reparto di bambini nell’ospedale psichiatrico di Roma, dove vivevano in un stato di abbandono, a volte anche legati. Lo racconto nel mio prossimo libro, Passoscuro. La mia vita tra i bambini del Padiglione 8, in uscita a settembre.

Che importanza ha il genius loci all’interno del tuo lavoro?
In un mondo globalizzato e immateriale il genius loci potrebbe sembrare un concetto superato, eppure ognuno di noi vive con le radici che ha costruito. Personalmente ho sempre avuto un rapporto forte con Roma, che non ho mai abbandonato. Ricordo che Basaglia mi chiamò a Trieste: arrivai fino a Venezia, dormii lì una notte e ritornai indietro. Mi chiesero di dirigere l’Istituto Italiano di Cultura a New York: rifiutai. Oggi Roma è molto degradata, ma quando passo davanti alle rovine sul Palatino viste dal Circo Massimo mi sembra la città più bella del mondo.

Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credi che il futuro possa avere un cuore antico?
Nella mia esperienza di psicoanalista mi viene in mente la metafora utilizzata da Freud legata all’archeologia, che procede a degli scavi dagli strati superiori della mente a quelli inferiori. In realtà credo che questi strati siano intrecciati e sovrapposti: più che le pagine di Proust in cui rievoca i ricordi del passato, quasi fossero archiviati in un cassetto, mi sembrano più adeguate le teorie di Gerald Edelman, secondo cui ogni volta che si ricorda si modifica il tessuto del ricordo.

Quali consigli daresti a un giovane che voglia intraprendere la vostra strada?
Sono medico e il corpo mi sta a cuore: il rischio che si può correre oggi è considerare la mente in maniera disincarnata e idealistica, mentre credo sia importante capire come il corpo si rapporta e interagisce con la mente. Si da sempre più spazio alla neurobiologia ma non altrettanta al corpo: dobbiamo ricordare che, se vogliamo capire qualcosa della nostra identità, occorre considerare entrambi con la stessa importanza.

In un’epoca definita della post-verità, ha ancora importanza e forza il concetto di sacro?
Il sacro è importante. Mi riferisco a una dimensione che va al di là del qui e ora, non tanto la religione ma il superamento della materialità quotidiana, con un atteggiamento di rispetto e reverenza verso il soprannaturale. Tra il mondo della concretezza e quello spirituale c’è la stessa distanza della quale parla il poeta inglese Wystan Hugh Auden, “un golfo che nessun ponte potrà mai unire”. Ripenso a una cosa che scrisse il glottologo Giorgio Cardona, che parlava di linguaggio dell’interiorità: “La preghiera interiore, che ti mette a contatto con il senso del sacro”.

Come immagini il futuro? Sapresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
È chiaro che stiamo assistendo alla supremazia della teknè, che sembra travolgere tutto, modificando il comportamento umano. I nativi digitali hanno un modo diverso di vedere se stessi e gli altri. È importante rendersi conto di questa mutazione, anche perché negli ultimi anni la velocità della teknè è molto maggiore rispetto alla nostra capacità di adattamento. Si rischia una tecnocrazia che imporrà le sue regole: dobbiamo porci il problema e non rinunciare al senso della dignità umana e a un’etica che possa salvaguardare i nodi fondamentali della vita umana. Potremmo vivere duecento anni e impiantare microchip nel cervello, ma è giusto farlo?

– Ludovico Pratesi

Gli episodi precedenti

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Ludovico Pratesi

Ludovico Pratesi

Curatore e critico d'arte. Dal 2001 al 2017 è stato Direttore artistico del Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro Direttore della Fondazione Guastalla per l'arte contemporanea. Direttore artistico dell’associazione Giovani Collezionisti. Professore di Didattica dell’arte all’Università IULM di Milano Direttore…

Scopri di più