Futuro Antico. Intervista al curatore Jean-Hubert Martin
È un futuro globalizzato quello che immagina Jean-Hubert Martin. Tra rapporti con gli artisti e le opere e la necessità di scrivere una storia post-coloniale negli anni a venire, tutte le riflessioni di uno dei curatori più noti al mondo
Jean-Hubert Martin (Strasburgo, 1944) è un importante storico dell’arte, direttore di istituzioni museali e curatore di mostre internazionali. Ha curato mostre che hanno modificato in modo significativo la teoria e la pratica della museologia, come Magiciens de la Terre (1989), Art et publicité (1990) al Centre Georges Pompidou di Parigi, Africa Remix (2004) al Museum Kunstpalast di Düsseldorf, Théâtre du Monde al Museum of Old and New Art di Hobart in Tasmania nel 2013 e Le Maroc contemporain all’Institut du monde arabe di Parigi nel 2014.
Quali sono i tuoi riferimenti di ispirazione nell’arte?
Piuttosto che opere d’arte specifiche ‒ potrei citarne dozzine ‒, la mia ispirazione è venuta dai musei. I musei di Strasburgo dove ho trascorso la mia infanzia, e in particolare il Musée de l’Oeuvre Notre-Dame dedicato al Medioevo e al Rinascimento, con un allestimento molto ispirato e sensibile, sono stati seminali. La visita del Gabinetto di Curiosità di Ambras, quando avevo 13 anni, è stata una rivelazione. Più tardi sono rimasto molto colpito dalla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen, con il suo meraviglioso giardino d’inverno in mezzo alle sculture antiche. Nel 1969 ho incontrato alcuni giovani artisti della mia età, come Boltanski, Buren, Cadere, Le Gac e Sarkis, che hanno giocato un ruolo enorme nella mia comprensione dell’arte. La storia del movimento Dada (Duchamp e Picabia) mi ha affascinato e le mie conversazioni con Man Ray sono state molto emozionanti, quando ho curato la sua mostra nel 1972. Più recentemente le mie conversazioni con David Walsh, creatore del Museum of Old and New Art ‒ la sua “Disneyland for adults” ‒ a Hobart, sono diventate estremamente fruttuose per l’evoluzione della mia pratica curatoriale.
Quale opera ti rappresenta di più? Ci racconti la sua genesi?
Una piccola statua giainista di rame in cui è ritagliata una figura che mostra il passaggio all’aldilà e l’anima che sfugge alla materialità del corpo. La vedo come una versione orientale della Vanitas e l’ho esposta in molte delle mie recenti mostre.
Qual è per te l’importanza del Genius Loci nel tuo lavoro?
Il Genius Loci è essenziale. Per quanto ho potuto coglierlo, è un concetto che ho cercato di inserire nei miei interventi in località estere. Lo spirito deve essere ascoltato, per evitare le immagini stereotipate che il luogo può fornire a fini non culturali, ma comunicativi o turistici.
PASSATO E FUTURO SECONDO JEAN-HUBERT MARTIN
Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credi che il futuro possa avere un cuore antico?
Sì, naturalmente. Quasi tutti gli artisti con cui ho scelto di lavorare hanno, in un modo o nell’altro, un profondo rapporto con il passato e la storia. Quando incontro un artista, è una delle prime cose che cerco.
Che consiglio daresti a un giovane che vuole intraprendere la tua strada?
Sii curioso, sviluppa un giudizio indipendente, vai dove non vanno gli altri, mantieni le distanze dal mercato, tieni sempre presente che il gusto è in continua evoluzione e che molte stelle di ieri sono già totalmente dimenticate. Il cattivo gusto di oggi è il buon gusto di domani. Avere buon gusto è conformarsi al gusto degli altri.
In un’epoca di post verità, il concetto di sacro ha ancora importanza e forza?
L’arte nella nostra società è una questione di fede, soprattutto in un contesto ateo, dove può sostituire il sacro religioso. Al di là delle opere di matrice documentaria, il sacro è ancora forte. In un contesto materialistico, l’arte è considerata uno dei valori più alti, e questo spiega anche perché i collezionisti sono disposti a pagarla a prezzi così folli. Cercano di possedere questi valori spirituali.
Come immagini il futuro? Potresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
La globalizzazione porterà a una relativizzazione della cultura occidentale e ne cambierà alcuni paradigmi. Una sfida sarà provare a scrivere una storia post coloniale di queste diverse culture materiali.
‒ Ludovico Pratesi
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