I dimenticati dell’arte. Nori De’ Nobili, l’artista che trasformava in pittura la sofferenza
Vicina ai macchiaioli e poi costretta da problemi psichici a rifugiarsi in una casa di cura, Nori De’ Nobili è la dimostrazione di come l’arte possa diventare uno strumento per combattere il dolore
Sensibile, raffinata, visionaria, vissuta da bambina nella grande villa di famiglia, chiamata per le sue dimensioni maestose Centofinestre, costruita dal cardinal Antonelli nel 1730 nel paese marchigiano di Brugnetto di Ripe.
LA STORIA DI NORI DE NOBILI
Eleonora De’ Nobili, detta Nori (Pesaro, 1902 ‒ Modena, 1968), era figlia dell’ufficiale di artiglieria Carlo de Nobili e sua moglie Luisa Augusti, parente dei Castracane, eredi del porporato: con la famiglia Nori si trasferisce da Pesaro in villa, per trascorrere estati lunghe e felici. Fin da piccola dimostra una spiccata propensione per il disegno e la pittura, tanto da seguire alcune lezioni d’arte a Fano con il pittore Giusto Cespi durante il liceo. Nel 1920 Nori è a Roma con il padre, dove studia disegno e lingue straniere al collegio Stella Viae, prima di trasferirsi a Firenze con i genitori, la sorella Bice e il fratello Alberto. Sulle rive dell’Arno frequenta lo studio del pittore macchiaiolo Ludovico Tommasi, nella cerchia di Silvestro Lega, e si avvicina a Ottone Rosai e Mino Maccari. In questi anni fecondi e vivaci Nori dipinge due vedute di Firenze in stile macchiaiolo, Chiesa della Tosse e Casa sull’Arno, oltre ad alcuni ritratti della sorella. Tra le persone che incontra figura il critico d’arte Aniceto Del Massa, grazie al quale partecipa alla IV Mostra Regionale Toscana nel 1930: i due avviano una relazione tormentata e burrascosa, che si conclude con un tentativo di suicidio della giovane. In quegli anni comincia a soffrire di problemi psichici, che la portano a tentare il suicidio un’altra volta nel 1933, dopo la morte di suo fratello Alberto e l’aggravarsi dello stato di salute della madre, da lei molto amata. Una delle cause del suo sconforto è probabilmente la distanza dalla famiglia, che la voleva moglie e madre, senza comprendere la sua vena artistica.
LA PITTURA DI NORI DE NOBILI
Nel 1935 la situazione si fa insostenibile e Nori viene ricoverata in svariate case di cura, fino ad approdare alla clinica Villa Igea a Modena, tagliando progressivamente ogni legame coi familiari, senza mai smettere di dipingere un mondo fiabesco con uno stile espressionista e a tratti quasi naïf. Nori lavora ogni giorno per raccontare la sua sofferenza, in una sorta di diario esistenziale scritto a fil di pennello, per costruire un immaginario popolato soprattutto di figure femminili, accompagnate da clown, zingari, infermieri, giocatori di carte, musicisti, gatti e bambole. Un universo fiabesco e onirico dove la protagonista è Nori, che si ritrae con abiti e pose diverse: “L’agiatezza economica le permette di avere una stanza tutta per sé”, scrive Roberta Rocchetti, “con rifornimenti continui di colori, per ritrarsi con abiti di ottimo taglio e in linea con le tendenze del tempo, e di farsi arrivare puntualmente riviste per tenersi aggiornata sulle evoluzioni culturali. Si ritrae con unghie perfettamente curate e bocca vermiglia in opere nelle quali interpreta ora una femme fatale, ora una maschera della commedia dell’arte o una figura tragica e spezzata nell’anima”. In alcuni dipinti appare fasciata da una vestaglia (Nori in vestaglia a fiori,1950), in altri seduta al pianoforte (Nori al pianoforte, 1943) con il volto segnato da un’espressione attonita e stupita, come in un silenzioso dialogo con sé stessa. Nel 1967 dipinge su una lastra per radiografie il suo ultimo quadro (L’anima di Nori che sale in cielo, 1967), dove immagina la sua morte, che avverrà l’anno seguente.
Oggi le opere di Nori sono conservate nel villino Romualdo a Ripe di Trecastelli (AN), sede del museo Nori de Nobili, inaugurato nel 2012.
‒ Ludovico Pratesi
https://www.museonoridenobili.it/
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