Marmo, tatuaggi e oro. Intervista allo scultore Fabio Viale
Se il candore classico del marmo incontra le linee di un tatuaggio trap il risultato può essere sorprendente. Lo sa bene lo scultore Fabio Viale, che ha fatto di questa sperimentazione la base del suo lavoro. Lo abbiamo intervistato mentre è in corso la sua mostra ad Arezzo
Fabio Viale (Cuneo, 1975) è uno scultore visionario, che ha saputo imporsi sulla scena internazionale con Ahgalla, una barca di marmo in grado di galleggiare e trasportare persone con l’ausilio di un motore fuoribordo, varata in giro per il mondo. Dopo aver vinto il Premio Cairo, uno fra i più importanti riconoscimenti per l’arte contemporanea, viene invitato a partecipare alla 58esima edizione della Biennale di Venezia. L’anno successivo incanta tutti con la performance Root’la, alle Cave di Carrara, dove fa rotolare da un ravaneto alcune sculture ispirate all’iconografia classica.
Viale lavora la materia dando vita a un incontro inedito e virtuoso con la poesia, dove il marmo, con il suo morbido rigore, si lascia scivolare addosso la magia dell’immaginazione. E che non ci si aspetti di trovare conforto in quelle immagini classiche. S’inciampa in una frattura, in quell’equivoco spiazzante al quale sa arrivare solo chi gioca bene con la sperimentazione.
LA MOSTRA DI FABIO VIALE AD AREZZO
Viale sceglie Arezzo per presentare Aurum, mostra itinerante che racconta, con le parole del marmo, il senso dei nostri giorni. Segni realizzati come rielaborazione personale delle più attuali tendenze del tatuaggio, da quelli già sperimentati del mondo criminale e giapponese ai nuovi orientamenti del mondo sudamericano e dell’universo trap. Viale decodifica la quotidianità con occhio attento e sensibile attraverso un linguaggio trasversale, un dialogo a più voci che attinge da una sorta di universo segnico old style.
Nelle oltre quaranta sculture viene segretamente inserito un grammo d’oro, indissolubilmente legato alla storia della città di Arezzo ma allo stesso tempo elemento di conflitto, cui l’artista assegna il valore di significante. L’oro ha per Viale un potere seduttivo, è una forza d’attrazione capace di tirarci fuori dal tempo, come il marmo, e di trascendere la sua perfezione per svelarne il pericolo. Lo abbiamo incontrato durante un pomeriggio d’agosto per approfondire la sua poetica e la sua tecnica.
INTERVISTA A FABIO VIALE
L’interazione tra luoghi pubblici e spazi museali, la scelta di collocare le tue sculture anche in chiesa, ha un significato ben preciso.
Ne amplifica il portato mistico e simbolico, senza dubbio. Genera un dialogo su temi legati alla spiritualità, alla libertà personale, di culto e meditativa.
Preferisci esser definito scultore, e non artista, perché prediligi la materia rispetto all’arte concettuale?
Mi sembra che, avendo a che fare quotidianamente con la scultura, sia più corretto definirmi scultore. Perché la scultura è qualcosa di oggettivo, mentre l’arte è sempre una valutazione soggettiva.
Come nasce un progetto, dall’abbozzo di un’idea alla ricerca, fino alla realizzazione?
Inizio nel momento in cui vedo l’immagine nella mia testa. Utilizzo la tecnologia che ho a disposizione per riuscire a materializzare anche solo virtualmente la forma. Poi vado a Carrara a scegliere il marmo. Da quel momento, inizia la fase più faticosa che si interrompe a lavoro concluso.
Nelle tue opere porti la scultura verso una nuova dimensione, dandole altre potenzialità: il morbido conforto delle immagini classiche è interrotto da tatuaggi criminali. Nell’arte si deve disattendere l’abitudine dello sguardo?
Nello stereotipo della credenza popolare, il tatuaggio è simbolo di criminalità e/o anticonformismo. Probabilmente, chi si tatua avverte la necessità di fare un gesto trasgressivo e quell’operazione applicata alle statue ingigantisce l’aspetto ribelle e provocatorio, perché usurpa quell’arte e quella bellezza classica che si credono inalterabili.
Anche con Ahgalla, la barca di marmo capace di galleggiare e trasportare persone, hai messo in discussione un preconcetto.
Ho sempre visto il materiale con cui lavoro come ricco di limiti. Molti anni fa, realizzai la barca di marmo bianco di cui parli, in grado di galleggiare, navigare e non solo. Scoprii che era in grado di trasportare persone: Ahgalla mi fece capire che è possibile andare oltre i preconcetti che abbiamo delle cose. È l’opera che meglio mi rappresenta. Credo che uno degli scopi dell’arte sia questo: far conoscere all’inventore, all’artista e anche allo spettatore la dualità di un elemento, la sua immagine e la sua scoperta.
L’ARTE SECONDO FABIO VIALE
Hai detto che l’incanto è quella sensazione che mai deve mancare, perché crea magia e resta nel tempo. Anche la performance dev’essere un pretesto per far immaginare?
Con la performance si crea un’azione, ovvero si rende reale ciò che si mette in scena. Le mie performance hanno sempre cercato di aggiungere un valore e di fornire un’ulteriore percezione delle opere.
La tua creatività di cosa ha bisogno?
Credo che ogni opera sia una reazione a un’azione subita, a volte anche inconscia; la razionalità spesso arriva in un secondo momento, è come se aiutasse il parto.
C’è un posto nel mondo che ti somiglia?
Sono un triste: direi la città di provincia. Più che viaggiare, amo spostarmi, ma lo faccio per me, che sia acqua, deserto o montagna l’attraversamento dello spazio mi mette in una condizione di sospensione e temporalità quasi ipnotica.
E nel futuro cosa accadrà?
Sto lavorando per riuscire a realizzare delle opere che possano avere un dialogo diretto con la natura. Questa necessità nasce da un luogo che ho iniziato ad abitare nei boschi in mezzo alle cave sopra a Pietrasanta. Lo scopo è quello di realizzare delle opere site specific, di modo che lo spettatore possa avvicinarsi alla scultura come fa con la natura.
‒ Ginevra Barbetti
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