Futuro Antico. Intervista a Gian Maria Tosatti

Figura tra le più influenti degli ultimi anni, Gian Maria Tosatti parla di futuro del mondo e del suo lavoro. E racconta di essere diventato artista grazie a certi suoi sogni di bambino

Sono anni che faccio opere sul futuro e le persone ci vedono dentro il passato”. Inevitabile quindi per Gian Maria Tosatti (Roma, 1980) guardare al domani usando la propria arte come lente di ingrandimento. Questo e molti altri i temi affrontati dall’artista del Padiglione Italia in questo dialogo.

Quali sono le tue fonti di ispirazione nell’arte?
Questa è una domanda molto complessa, perché rischia di aprire una catena di associazioni davvero infinite. Nell’ultimo libro che ho scritto (Esperienza e realtà, postmedia books, Milano 2021), ho cercato di costruire per gli artisti ambientali una linea di discendenza che si spingesse fino al 1200, ossia fino alle origini della pittura moderna. Ne facevano parte figure come Jacobello del Fiore, Vincenzo Bellini, Tiziano, Tintoretto, Canaletto e poi Hayez, Angelo Morbelli, de Chirico, Kounellis e molte altre ancora. Sono artisti che certamente costituiscono dei riferimenti per me, ma che hanno avuto un ruolo determinante proprio nella costruzione del linguaggio che tutti noi usiamo e col quale “scriviamo” le nostre poetiche. Va detto poi che non sono solo le arti visive a essere territorio di riferimento per chi fa il mio lavoro. Anzi, forse, è proprio al di fuori della propria disciplina che si trovano le vene più ricche da cui attingere per la propria ispirazione. Per me è stata essenziale la letteratura, ad esempio. I miei compagni di strada, più che i pittori, sono stati gli scrittori. Sono loro che mi hanno precipitato in alcuni mondi, in certe profondità dell’essere di cui poi ho ricercato le ombre nelle mie opere. Ci sono figure come Hermann Broch, Louis Ferdinand Céline, Curzio Malaparte, Bertolt Brecht, che sono stati per me veri e propri fratelli maggiori, così come lo sono state figure tipicamente italiane nel loro modo di intendere la propria identità artistica come Pier Paolo Pasolini, Carlo Levi e Giovanni Testori. In generale i grandi artisti della nostra storia, sono sempre state figure trasversali, architetti, ingegneri, pittori, registi di teatro, matematici.

A chi alludi nello specifico?
Pensiamo a una figura come Bernini – ovviamente un mio riferimento ineludibile essendo nato e cresciuto a Roma. Bernini, oltre che nella pittura, nella scultura e nell’architettura, è stato un protagonista sui palcoscenici del Barocco. Le sue messe in scena sono state tra le più straordinarie che la storia del teatro ricordi. Avevano qualcosa che ricorda lo spirito di quello che oggi è il lavoro di Romeo Castellucci – che è stato il mio maestro più diretto, assieme a Jerzy Grotowski. E poi c’è la musica, mio primo amore. A volte alcune opere, alcune visioni, sono nate ascoltando i Pink Floyd o anche un grande cantastorie come Vinicio Capossela, con cui ogni tanto sono salito sul palcoscenico per suonare i miei grammofoni. Ma, appunto, cito pochi nomi in una galassia quasi infinita, fatta di giganti in ogni ambito. Ma altrettanto importanti – o forse anche di più rispetto a questi maestri del passato – sono i miei colleghi di oggi, tutti, nessuno escluso. Ognuno è portatore di una idea, di una intuizione da mettere a disposizione. Imparo molto dai miei colleghi, anche se sono diversissimi da me. Cerco di capire cosa vedono loro del mondo. Attraverso le loro opere posso acquisire la loro prospettiva e allora imparare cose che non sapevo. E rielaborarle. L’arte è un lavoro corale. Dal dopoguerra abbiamo fatto finta di dimenticarlo. Che grave errore! I solitari non vanno da nessuna parte. Perché è solo il dialogo che porta lontano, che fa crescere. È per questo che mi sono battuto sempre in controtendenza, nella mia generazione, per tessere legami tra gli artisti. Non è stato facile, lo ammetto. Ma ogni giorno passato con un altro artista a confrontarsi è stato uno dei giorni più preziosi della mia vita.

Qual è il progetto che ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi?
Credo sia quello a cui sto lavorando dal 2018 e che è più o meno l’unico progetto che sta impegnando la mia ricerca di questi anni, tranne alcune eccezioni, come è stata l’opera in Biennale. Il titolo del progetto in Italiano è Il mio cuore è vuoto come uno specchio. È un viaggio nell’Europa di oggi, un’Europa che già quattro anni fa definivo “in fiamme” e che oggi ha reso manifeste tutte quelle tensioni che già allora mi erano evidenti. Cerco di fare il ritratto delle nostre città per far emergere gli stati di sofferenza, le ferite, gli elementi di purezza o di salvezza. È un viaggio che ha l’obiettivo di farci riconoscere cosa siamo diventati, qual è lo stato di salute della nostra civiltà e della democrazia. È un progetto fondato sulla crudeltà. Difficile da portare avanti. Perché ogni giorno mi mette di fronte a una scelta che è assai poco popolare di questi tempi nell’arte: dire la verità o dire ciò che vogliamo sentire. È come trovarsi tutti i giorni di fronte a Lucifero e alle sue tentazioni. Scegliere di dire sempre la verità, al di là di quanto mostruosa sia, partorirla dalla mia bocca, sia essa fatta di piume o di cemento, è un sacrificio rituale per cui ogni giorno non sono sicuro di trovare la forza.

Che importanza ha per te il Genius Loci all’interno del tuo lavoro?
Il mio lavoro è un dialogo. Sempre. Non esiste la condizione della solitudine, del monologo, dell’autorialità. Tutto nasce sempre dal confronto con una intelligenza profonda e sublime che è appunto il Genius Loci, ossia tutte le intelligenze di uomini, donne, animali che si stratificano in un luogo, dandogli una identità sensibile, quasi una sua saggezza, una sua anima, piena di sogni, di frustrazioni, di domande con cui confrontarsi. Alla fine io mi limito a osservare, a trovare il modo di dar voce a quell’intelligenza in modo che emerga con una certa chiarezza e precisione. In fondo, io faccio ritratti, semplici ritratti. Non c’è niente di mio nelle mie opere, oltre alla fedeltà e alla dedizione. E ciò che ritraggo è appunto lo spirito di un luogo nel suo tempo. A prescindere dal fatto che esso sia per me odioso o moralmente repellente. Ma io non scelgo cosa ritrarre. Io scelgo di ritrarre.

Gian Maria Tosatti. Storia della Notte e Destino delle Comete. Padiglione Italia, Biennale Arte, Venezia 2022. Courtesy DGCC – MiC

Gian Maria Tosatti. Storia della Notte e Destino delle Comete. Padiglione Italia, Biennale Arte, Venezia 2022. Courtesy DGCC – MiC

PASSATO E FUTURO SECONDO GIAN MARIA TOSATTI

Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credi che il futuro possa avere un cuore antico?
Sono anni che faccio opere sul futuro e le persone ci vedono dentro il passato. È fantastico. Solo adesso, dopo vent’anni, due critici, Alessandra Troncone e Stefano Chiodi, se ne sono accorti all’unisono, scrivendo in un libro sul mio lavoro. Questo la dice lunga sui legami che intercorrono tra futuro e passato. Io credo che nel nostro modo di guardare al tempo ci sia un errore di fondo. Ci relazioniamo ai concetti di passato, presente e futuro con i parametri di creature dalla prospettiva estremamente ridotta. Una vita per noi è una misura imponente. Ma nel tempo assoluto è nulla. Il futuro, quindi, non può essere considerato in decenni. Anche solo l’intera storia dell’umanità è una parabola minima, quasi insignificante, rispetto agli anni di Dio. È la luce delle stelle che è testimone del passato e del futuro. Noi viviamo un giorno solo. E allora l’unica cosa che vale la pena di fare è brillare. Per un attimo. Senza pensare al futuro, al passato. Essere assoluti, come il cosmo, come il tempo, per un attimo. Questa è l’unica cosa che può farci davvero vivere una vita che non sia un sogno dentro un sogno.

Quali consigli daresti a un giovane che voglia intraprendere la tua strada?
In realtà non saprei. Credo che questa strada non sia qualcosa che si scelga. Io una notte, da bambino, ho sognato casa mia. Una casa povera, in un condominio popolare. Ci vivevo solo con mia madre, proprio come nella realtà. Sopra il mio letto c’era la Chambre de Van Gogh à Arles, che era uguale alla stanza in cui mi trovavo. Allora mi alzavo, aprivo la porta per uscire e il resto del palazzo era un grande museo vuoto, che aspettava solo di essere riempito dal mio lavoro. Poi mi sono svegliato e, da sveglio, negli anni ho provato a percorrere tantissime altre strade. Ho avuto molto successo in tutte. Nel giornalismo, nella politica, nel teatro. Ma poi il destino mi ha sempre ritrascinato in quel museo vuoto. L’arte non si sceglie mai. L’unica cosa che si può imparare è di non farsi trascinare dal destino, ma riuscire a danzare con lui.

In un’epoca definita della post verità, ha ancora importanza e forza il concetto di sacro?
La post verità è un po’ come il postmoderno. Sono concetti-alibi per chi sceglie di scivolare verso la deriva della specie. Sono giustificazioni per la nostra debolezza di intellettuali. In realtà, la verità e il sacro sono i due pilastri su cui si fonda l’ordine degli artisti. E credo che ci sarà arte fintanto che ci sarà nell’uomo il bisogno di verità.

Come immagini il futuro? Sapresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
Il futuro l’ho già immaginato in molte opere. Basti guardare gli episodi di Odessa e di Catania de Il mio cuore è vuoto come uno specchio, o l’opera che feci a Roma, nella torre idrica dell’Ospedale San Camillo, nel 2011. Ma sono futuri più lontani rispetto a quelli che mi chiedete. I prossimi anni saranno molto interessanti. Perché dovremo mettere in discussione tutto quello che abbiamo creduto fosse stabile, il capitalismo, il denaro, una certa divisione del mondo. Torneremo partigiani di cause più alte rispetto a quelle per cui ci siamo battuti negli ultimi decenni. Torneremo a batterci per la sostanza e non più per i dettagli. Torneremo a batterci per essere e non più per le pause sindacali.

Ludovico Pratesi

https://www.spaziotaverna.it/

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Marco Bassan

Marco Bassan

Curatore d’arte contemporanea, fondatore di Spazio Taverna. Ha curato progetti per istituzioni quali il MAECI, Fondazione CDP, CONAI, i Musei Capitolini, il Museo Nazionale Romano, il Parco Archeologico dell’Appia. Nel 2023 ha consegnato la tesi di dottorato presso Roma Tre…

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