Futuro Antico. Intervista a Philippe Starck
Sentire le opere d’arte e vivere nel futuro. Eccoli i consigli del grande designer francese Philippe Starck, protagonista del nuovo capitolo della rubrica curata da Spazio Taverna che interroga sul domani i grandi nomi della cultura e della creatività
Philippe Starck (Parigi, 1949) ha sempre incentrato la sua visione sull’essenziale: la creazione, qualunque forma assuma, rende la vita migliore per quante più persone possibile. In quanto tale, è uno dei pionieri e una delle figure centrali del concetto di “design democratico”.
Dispiegando il suo prolifico lavoro in tutti i settori, prodotti legati alla nostra vita quotidiana (spremiagrumi, mobili, bici elettrica o turbina eolica individuale), architettura (alberghi, ristoranti che aspirano a essere luoghi stimolanti), ingegneria navale e spaziale (mega yacht, capsule abitative per il turismo spaziale privato), non ha mai smesso di spingersi oltre i propri limiti e i criteri del design, divenendo uno dei più visionari e riconosciuti artefici della scena internazionale contemporanea.
Quali sono i tuoi riferimenti ispirazionali nell’arte?
Non sono un designer né un architetto, sono soprattutto un esploratore, che per caso si esercita nel design. Quando ho iniziato a creare, ho riconosciuto le qualità di alcuni designer, soprattutto comunisti, come Enzo Mari. Avevamo questi valori in comune. Mi piacciono anche le belle menti, le persone con una visione. Il disegnatore di fumetti Gébé è un esempio. Tuttavia, non è tanto il design o l’arte che mi interessa, è soprattutto l’esplorazione: l’esplorazione della natura umana, di noi, del nostro futuro, della nostra evoluzione, della nostra mutazione. Mi affascina. Le poche persone che mi hanno interessato nella vita ‒ eccetto le donne della mia vita ‒ sono i grandi scienziati e soprattutto i primi scienziati. Coloro che, con metodi empirici e truccati, hanno scoperto il mondo con una precisione sbalorditiva. Come Tolomeo o Platone.
Quale opera ti rappresenta di più? Ci racconti la sua genesi?
Secondo me, non guardiamo i dipinti, li sentiamo. Quando sono circondato da quadri appesi alle pareti, non mi fermo a guardarli, li sento. Come se ci fossero delle porte.
Pittori come Gerard Garouste, Neo Rauch o David Rochline aprono le porte all’astrazione, permettendomi di tornarci e di dedicarmici completamente.
Un Bleu Klein, per esempio, non mi dà questo effetto, perché per me è puramente culturale. Per interessarti, devi sapere che è importante.
Quanto è importante il Genius Loci nel tuo lavoro?
Il mio obiettivo è creare luoghi che non esistono, luoghi completamente metaforici e poetici. Creo come un regista, creo storie, film rivolti alle persone per stupirle, farle sognare, farle uscire da se stesse, migliorare, avere fertili sorprese e tornare a casa, con tante idee e dicendo a se stesse che anche loro vogliono cambiare tutto e creare.
PRESENTE E FUTURO SECONDO PHILIPPE STARK
Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credi che il futuro possa avere un cuore antico?
Alla nascita, ognuno firma un contratto con la propria comunità, con la propria famiglia, con il proprio villaggio, con la propria società, con la propria civiltà e con la propria specie animale. La base di questo contratto è aiutare la sua comunità.
Non dobbiamo mai voltarci indietro, perché va contro la nostra missione, che è quella di continuare l’evoluzione della nostra specie animale, senza sprecare il nostro tempo, né quello della società, né della nostra civiltà.
La mia missione è sempre stata questa. Vivo solo per l’evoluzione, vivo permanentemente nel futuro. Visualizzo costantemente il progetto su cui sto lavorando e, qualunque cosa mi venga richiesta, ricomincerò sempre da zero; pienamente proiettato verso il futuro.
Quale consiglio daresti a un giovane che vuole seguire la tua strada?
Sii te stesso. Non ascoltare mai quello che dicono le persone, non leggere le riviste. Non guardare la TV. Non passare la giornata sullo schermo. Sii solo con te stesso. Nel tuo letto se vuoi. Sogna e guida il tuo sogno per aiutare la tua comunità, per aiutare la tua società, per aiutare la tua civiltà. Non ascoltare mai chi ti dice il contrario.
In un’era di post verità, il concetto di sacro ha ancora importanza e forza?
Ho ricevuto un’educazione religiosa molto pesante. Durante la mia infanzia, l’educazione religiosa cattolica era competenza di persone ortodosse molto serie. Durante la mia giovinezza, ho frequentato tre messe al giorno. Il risultato è che odio tutti i tipi di credenze o religioni. Ma, poiché nulla è mai completamente sbagliato, mi ha dato l’idea del dovere verso gli altri. Devi servire. Devi meritare di esistere ed è quello che sto cercando di fare con questa malattia mentale chiamata creatività.
Come immagini il futuro? Puoi darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
Il design è stato inventato nel 19esimo secolo e costruito su un secolo di materialità per rendere piacevoli gli impegni materiali poco attraenti. Ora è controproducente. Il design non ha più bisogno di esistere perché la società si sta smaterializzando. Dobbiamo quindi aumentare la potenza dell’intelligenza e abbassare il peso della materia, così da far scomparire gli obblighi che ci circondano. In questo senso, dobbiamo cambiare le nostre abitudini di consumo. La prima cosa che dobbiamo fare prima di acquistare qualsiasi cosa è porci la domanda “ne ho davvero bisogno?” Se sei onesto con te stesso, l’80% delle volte la risposta sarà no. Se la risposta è sì, è importante seguire due parametri: longevità – per garantire la trasmissione – ma anche uso di materiali durevoli.
Siamo continuamente alla ricerca di soluzioni, incoraggiando l’industria a produrre in modo più sostenibile e con prodotti di origine biologica. Oggi siamo felici perché sempre più prodotti vengono realizzati utilizzando plastica riciclata o nuovo policarbonato ottenuto con cellulosa di legno. Quando produciamo una sedia in plastica completamente sostenibile è una vittoria. Potremo trasmetterla ai nostri figli, ai nostri nipoti e così via e perpetuare così l’eredità.
Ludovico Pratesi
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