Altro che Raffaello, Parmigianino, Rimbaud, “geni adolescenti” morti a trentasette anni! Il mattino del 12 agosto 1988, Jean-Michel Basquiat, artista statunitense d’origine haitiano-portoricana, entrerà ventisettenne nel regno degli inferi, quell’abisso con cui aveva già familiarizzato in vita, grazie a cocktail micidiali di droghe, abuso d’alcool, eccessi irrefrenabili da personaggio talentuoso e maudit.
In tutto e per tutto Basquiat è stato un artista, e perfino musicista, fuori dagli schemi. Nato a Brooklyn nel 1960, non proviene da un ambiente familiare povero ed emarginato, ma il suo linguaggio pittorico, apparentemente infantile, è ugualmente in rivolta contro le discriminazioni razziali e gli odiosi fenomeni di segregazione sociale. C’è anche dell’altro che lo anima rabbiosamente, ed è la smania del successo personale, del riconoscimento, del guadagno immediato, del sapersi districare nei circoli elitari dei “bianchi”, il Club 57, il Mudd Club. Dotato di un intuito pungente e sottile, il suo momento viene presto, passando dal graffitismo da “ragazzaccio” di strada, firmato SAMO©, ai dipinti per gallerie e per un pubblico colto e alla moda, con accesso privilegiato alla Factory di Warhol.
BASQUIAT ALL’ALBERTINA DI VIENNA
Sono una cinquantina le opere in mostra nell’ambito di Basquiat. Of Symbols and Signs per entrare nel mondo incandescente dell’artista, in cui non manca uno dei suoi pezzi “da urlo”, un Self-portrait (1983), il proprio viso ridotto a una maschera nera, una sagoma tribale con occhi scavati e capelli annodati in aria, i tipici dreadlock da afroamericano. Lui stesso, dunque, si autorappresenta come emblema di una alterità culturale, potenziale vittima di odio razziale e di discriminazione. Invece, in un Untitled (1982), al centro del dipinto c’è un uomo nero con braccia alzate, pronte a protestare o combattere. Il personaggio ha in testa una corona, uno dei motivi centrali e più simbolici dell’opera di Basquiat. In altri dipinti Basquiat raffigura una delle icone per lui più significative, ovvero “il pugile” di etnia afroamericana, un eroe contemporaneo, come Jack Johnson che fu il primo campione mondiale nero dei pesi massimi. Oppure un Muhammad Ali, il più grande di tutti.
PAROLA ALLA CURATRICE ANTONIA HOERSCHELMANN
Questa retrospettiva su Basquiat sembra dare al pubblico le coordinate per comprenderne meglio il talento. Mi riferisco al titolo che cita esplicitamente “simboli e segni”.
Le immagini altamente simboliche di Basquiat riprendono spesso temi politici, criticando razzismo, ingiustizia sociale, capitalismo. Le composizioni si contrappongono a gerarchie e convenzioni, traendo invece ispirazione dai cartoni animati, dai disegni per bambini e dalla pubblicità, e attingendo dalle origini haitiane e portoricane dell’artista. Il quale fa convergere pure miti afroamericani o aztechi con temi classici e con eroi contemporanei, come atleti e musicisti.
L’artista è attivo tra la fine degli Anni Settanta e il 1988, anno della sua morte. In che modo traduce in opere d’arte il proprio tempo?
Io direi che Basquiat oltrepassa il suo tempo. Data la molteplicità delle fonti d’ispirazione, e l’uso indifferenziato dei singoli elementi, lui interpreta esemplarmente il modo in cui il Postmoderno tratta la storia e la contemporaneità. Se alla fine degli Anni Settanta, in quei suoi lavori siglati SAMO@ insieme all’amico Al Diaz, talvolta la scrittura sostituisce l’immagine e le singole lettere alfabetiche diventano il soggetto del quadro, poi, dall’inizio degli Anni Ottanta, resosi autonomo, la rete dei significanti e i contenuti si infittisce.
In una metropoli come New York, piena di “aspiranti” al successo artistico, ecco emergere Basquiat, giovanissimo, origini afro-caraibiche. Qual è, secondo te, il fattore che ha giocato a suo favore?
La sua ambizione e la spinta alla ricerca del grande successo lo pongono rapidamente a contatto con protagonisti influenti, che incontra nei luoghi di culto della scena underground, anche musicale. Fa conoscenza di persone importanti, soprattutto galleristi, come lo svizzero Bruno Bischofberger o Larry Gagosian e Mary Boone.
Tu, avendo toccato letteralmente con mano le sue opere, hai provato un senso di empatia?
Mi ha sedotto la sua capacità di cogliere i fenomeni in modo così rapido e intenso, incredibile per un giovane della sua età. Trasferisce nella sua tessitura, musica, letteratura, storia dell’arte e della cultura, o anche argomenti di attualità socio-politica.
Quindi hai una definizione particolare da dare della sua personalità e del suo stile?
La personalità e lo stile? Più che mai li colgo nella sua straordinaria indipendenza.
L’ARTE DI JEAN-MICHEL BASQUIAT
L’opera figurativa di Basquiat ci appare un laboratorio di segni. Come evolve negli anni questo suo linguaggio?
Nelle opere “tarde” riduce gli elementi figurativi, e il colore assume un ruolo dominante. Così, mentre certi elementi cadono nel dimenticatoio, altri entrano in gioco, ma la sua calligrafia rimane la stessa fino alla morte.
Probabilmente, un grande impulso alla sua notorietà lo ha ricevuto dalla partecipazione alla documenta 7 di Kassel, nel 1982: come ha fatto ad arrivarci?
Nel marzo 1982, ancora ventunenne, Basquiat ha la sua prima personale in America alla galleria di Annina Nosei, riscuotendo un enorme successo. Molto positive le valutazioni di riviste influenti come Art in America e Flash Art. È probabilmente per questo che Rudi Fuchs, direttore della documenta 7, lo ha scelto, vedendolo rappresentare una posizione pittorica fuori dalla norma.
L’amicizia con Andy Warhol arriva fino al fatto straordinario di dipingere insieme sulle medesime tele. Quanto è stato influente questo legame per Basquiat?
Nel 1982, quando Basquiat incontra per la prima volta il suo idolo Andy Warhol, è proprio il pioniere della Pop Art a rimanere colpito dal suo dinamismo, dalla giovinezza esuberante, da quella sua frizzante energia. Warhol ne incoraggiò la rapida ascesa sulla scena artistica newyorkese. Fu poi Bruno Bischofberger ad aver sostenuto il lavoro delle “opere congiunte”, in un primo tempo anche con Francesco Clemente. A un certo punto Jean-Michel comincia a distaccarsi dal suo mentore; eppure, nel 1987, la morte di Warhol provocò in Basquiat una profonda depressione.
Ancora giovanissimo, il crollo. Secondo alcuni commentatori, Basquiat si è rifugiato sempre più nei suoi eccessi di droga e alcool quando ha cominciato ad avere dubbi sulla sua vena creativa.
Il dubbio su se stesso ha accompagnato Basquiat per tutta la vita.
Oggi, in riferimento al collezionismo, quale considerazione si può fare?
Basquiat è uno dei grandi della storia dell’arte! Dopo gli anni dell’astrazione, del minimalismo, dell’arte concettuale, è uno dei pionieri nel recupero della pittura figurativa. Oggi è, con Jeff Koons, l’artista più costoso del nostro tempo. Nel 2021 con il solo Basquiat le principali case d’asta hanno fatturato 267 milioni di dollari.
Franco Veremondi
BASQUIAT, KING OF EXHIBITIONS
Il successo lo baciò presto, lui se lo poté godere poco, ma dopo la sua precoce scomparsa hanno continuato a beneficiarne le sue opere, che ancora oggi sono vendute a prezzi stratosferici. La prova che il mito di Jean-Michel Basquiat è più inossidabile che mai ci viene anche dal fronte espositivo: mentre l’Albertina gli consacra un’ampia retrospettiva, sull’altra sponda dell’Atlantico si moltiplicano le rassegne dedicate all’artista.
La Nahmad Contemporary Gallery di Manhattan ha proposto, tra aprile e giugno di quest’anno, Jean-Michel Basquiat: Art and Objecthood, mostra che metteva l’accento sui materiali poco convenzionali (porte, frigoriferi, caschi da football americano) usati come supporti dal pittore. Un vero terremoto ha provocato la mostra Heroes and Monsters dell’Orlando Museum of Art, in Florida: 25 inediti “Basquiat” esposti in quell’occasione sono stati ritenuti dei falsi e sequestrati, lo scorso 24 giugno, dall’FBI; lo scandalo ha quindi portato alle dimissioni dei vertici del museo e alla cancellazione delle altre (discutibili) mostre in programma.
Opere di sicura autenticità sono invece quelle esposte nella rassegna che si è aperta il 9 aprile allo Starrett-Lehigh Building di Chelsea, a New York: Jean-Michel Basquiat: King Pleasure propone infatti pezzi che provengono dall’estate dell’artista, assieme a memorabilia di vario genere e a filmati e ricostruzioni che puntano a illuminare la biografia di Jean-Michel, prima ancora che la sua produzione artistica. Per molti versi, la rassegna newyorchese sembra l’esatto opposto di quella in corso a Vienna: basti dire che, se quest’ultima è curata da due studiosi, l’altra è curata… dalle sorelle dell’artista! In ogni caso, King Pleasure è stata generalmente ben accolta: molti sono i pezzi inediti e preziosa è la possibilità di conoscere meglio il lato umano di Basquiat. Non sono mancate tuttavia le critiche: sulla mancanza di un approccio più “specialistico” alle opere, sulla tendenza a edulcorare la vita familiare di Jean-Michel e a nascondere gli aspetti più bui della sua esistenza (a cominciare dalla dipendenza dalle droghe, che gli fu fatale); sulla volontà della famiglia di fare soldi con la memoria (anche più intima) dell’artista (sia mediante un imponente merchandising che con i biglietti non proprio economici, da 35 a 65 dollari).
C’è comunque chi in questo non vede nulla di male, specie se a trarne un vantaggio economico non sono un gallerista o un collezionista che magari non hanno mai conosciuto Jean-Michel, ma membri della sua famiglia.
Fabrizio Federici
Vienna // fino all’8 gennaio 2023
Basquiat. Of Symbols and Signs
ALBERTINA MUSEUM
Albertinaplatz 1
https://albertina.at/en/
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