In quale mondo vivono gli artisti di oggi?
In un mondo in cui tutto ciò che è “basso” e periferico è sinonimo di degrado e la narrazione giornalistica è disfunzionale, la cornice in cui si muovono gli artisti risulta davvero complessa. E influenza le loro opere
Qual è questo milieu dell’artista? Come è fatto il contesto in cui l’artista di oggi si forma, emerge, opera ‒ e da cui è inevitabilmente condizionato?
(Occorre prima di tutto precisare che sì, è vero, l’artista odierno è “fighetto” in quanto appartiene alla classe agiata, parla da e per quella classe sociale di riferimento: ma – come ci hanno spiegato, tra gli altri, Raffaele Alberto Ventura e Tiziano Bonini – anche quando materialmente non proviene dalla classe agiata, l’artista – e per tale si intende non solo l’artista visivo, ma anche ovviamente lo scrittore, il regista, il musicista, il designer, ecc. – mutua quel codice, lo adotta insieme all’intero sistema di valori che esso esprime. E una prova di questo fenomeno è data dal fatto, per esempio, che sono rarissimi in questo momento storico i romanzi o i film che raccontano lavori umili e vite comuni; l’ambiente sociale “basso”, la periferia, è quasi sempre, infatti, sinonimo oggi di piccola criminalità, di degrado, di situazioni al limite, in una sorta di Gomorra espansa, generalizzata e superfetata come unica alternativa apparente alle storie borghesi di corna e noia ambientate a Roma Nord: e allora, abbiamo storie di piccoli spacciatori, di spostati e di personaggi borderline – e, in questo senso, il modello pasoliniano forse non ha avuto negli ultimi decenni un’influenza del tutto positiva… Tra i pochi esempi di racconto del lavoro contemporaneo nel cinema italiano abbiamo: Tutta la vita davanti, 2008, di Paolo Virzì; La nostra vita, 2010, di Daniele Luchetti; Sole cuore amore, 2016, di Daniele Vicari. Manca del tutto, a quanto pare, un Pratolini contemporaneo, o un Volponi o un Ottieri. Ma tant’è.)
ARTISTI E SOCIETÀ
Dunque, intanto, questo milieu dell’artista coincide con un contesto che sfavorisce il racconto del lavoro e dell’esistenza proletari, mentre favorisce costantemente e fortemente la rappresentazione di una vita tutto sommata privilegiata, in cui il precariato (che nella realtà, per esempio, del lavoro culturale esiste eccome, in misura anche drammatica e alienante), se e quando appare, viene quasi sempre stemperato dall’ironia, dalla distanza, e da una buona dose di cinismo (“ecco, vedete, sono cosciente dei problemi però sono anche capace di riderci su, non sono un/una sfigat* rancoros* come quegli altri…”).
Inoltre, il milieu dell’artista è fatto da un altro linguaggio pervasivo e da un framework potente, che è quello mediatico. Il racconto della realtà offerto dai media italiani è evidentemente monco, tagliato con l’accetta nella maggior parte dei casi: il framework infatti, una volta stabilito, sembra impossibile da discutere; esclude costantemente alcuni elementi (di solito, i più rilevanti, strani e interessanti) per ammetterne altri; anche quando nella cornice vengono inserite questioni importanti e attuali, la distorsione che viene imposta a questi oggetti è tale che essi risultano di fatto inservibili (vedi in proposito la vicenda degli attivisti ecologici e dei loro “attacchi” alle opere d’arte nei musei).
IL PROBLEMA DEI MEDIA IN ITALIA
È come se i boomer avessero ereditato e a loro volta ulteriormente sviluppato un sistema di narrazione giornalistica totalmente disfunzionale che però è costruito a loro immagine e somiglianza, e quindi in modo automatico rimuove tutto ciò che è diverso, radicalmente altro. Il risultato è che, leggendo la maggior parte dei giornali italiani, risulta molto difficile farsi un’idea più o meno precisa di ciò che sta accadendo nel nostro Paese e nel mondo, al di là del chiacchiericcio opinionistico e dell’improvvisazione tuttologica.
Questo, almeno in parte, il milieu in cui l’artista è immerso, in cui vive e lavora e sente.
Risuonano perciò attualissime le parole della grande gallerista newyorkese Betty Parsons, che una ventina di anni fa affermava: “Ho sempre cercato la scossa tremenda. Di questi tempi non se ne vede in giro, stranamente, perché invece dovrebbe, data la situazione politica ed economica e il mondo sull’orlo del disastro. Tempi così dovrebbero produrre arte potente, ma troppo spesso vedo tante cose graziose, assai piacevoli, prive del significato, della grandezza che ho sempre cercato” (Alan Jones, Laura De Coppet, I galleristi di New York. Dietro le quinte del mondo dell’arte, Castelvecchi 2019, pp. 17-18).
Christian Caliandro
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