I dimenticati dell’arte. Mario Reviglione, pittore controcorrente e solitario
In bilico tra Simbolismo e Metafisica, la pittura di Mario Reviglione era in controtendenza rispetto allo stile dominante di inizio Novecento. Qui ripercorriamo la sua storia
Paesaggi al chiaro di luna, ritratti dallo sguardo intenso, figure femminili dai volti sognanti. La pittura di Mario Reviglione (Torino, 1883-1965) si colloca in bilico tra il Simbolismo e la Metafisica, con una predisposizione per le atmosfere magiche e fantastiche.
LA STORIA DI MARIO REVIGLIONE
Reviglione nasce nella Torino di fine Ottocento, figlio di Vicente e Teresa Mazza: appassionato fin da giovane all’arte, si iscrive all’Accademia di Belle Arti, che lascia dopo poco tempo, in quanto in disaccordo con lo stile naturalista che allora imperava nell’istituzione, dove la cattedra di pittura era affidata a Giacomo Grosso. Interessato al Simbolismo, entra in contatto con lo scultore Leonardo Bistolfi e con altri esponenti dell’avanguardia torinese, come Domenico Buratti, Felice Carena e l’incisore Carlo Turina. Reviglione è timido e schivo, poco incline ai contatti sociali, ma nonostante la sua riservatezza comincia una carriera espositiva nel 1903 alla Promotrice delle Belle Arti di Torino. La sua pittura, così diversa dalla moda imperante dell’epoca, trova degli estimatori nel mondo della critica, e Reviglione viene invitato alla Mostra del Ritratto a Milano (1906) e l’anno successivo espone alla Biennale di Venezia, dove partecipa a tutte le edizioni fino al 1922. Alterna la pittura con l’incisione xilografica, che lo interessa particolarmente: intorno al 1910 abbandona le linee floreali tipiche del Liberty per avvicinarsi ai modi della Secessione viennese. Nel frattempo comincia a collaborare come disegnatore ad alcune riviste come L’Eroica, fondata da Ettore Cozzani a La Spezia all’inizio del secolo.
LA PITTURA DI MARIO REVIGLIONE
Negli Anni Dieci Reviglione firma i suoi dipinti più intensi, tra i quali spicca Preludio lunare. Ricordo di viaggio (1914), entrato nella collezione della Galleria d’Arte Moderna di Torino. “La suggestione di questo paesaggio notturno, intravisto grazie ad un sottile effetto di luce, testimonia l’adesione dell’artista alla poetica simbolista. Il riferimento a tale indirizzo di gusto è reso esplicito dal titolo, dove il termine ‘preludio’ rimanda ad una questione centrale in quell’ambito, e cioè il rapporto tra pittura e musica, considerata l’unica tra le arti capace di suscitare emozioni”, scrive Virginia Bertone a proposito del dipinto.
Uno sguardo controcorrente porta l’artista a un isolamento sempre maggiore dopo la Prima Guerra Mondiale: la sua natura riservata lo conduce alla fine degli Anni Quaranta a una vita di solitudine e miseria.
Ludovico Pratesi
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