Futuro Antico. Intervista al filosofo Giuseppe Di Giacomo
“Che senso ha tutto questo?” è la domanda che si pone da sempre il filosofo Giuseppe Di Giacomo, invitato a interrogarsi sul futuro nella rubrica curata da Spazio Taverna
Giuseppe Di Giacomo (Avola, 1945) è filosofo e saggista. Autore di un centinaio di pubblicazioni scientifiche che si occupano della relazione tra estetica e letteratura, come pure del rapporto tra estetica e arti figurative, con riferimento soprattutto alla cultura moderno-contemporanea e a temi quali l’immagine, la rappresentazione, il nesso arte-vita, la memoria e la nozione di testimonianza.
Quali sono i tuoi riferimenti ispirazionali nell’arte?
C’è sempre stato un interesse molto forte nel mondo dell’arte che è cominciato molto presto. Quando ancora facevo il liceo, mi interessavo non solo a problemi artistici ma soprattutto alla letteratura. Leggevo molto e già prima dell’università lessi tutto Dostoevskij e Flaubert, autori a cui poi mi sono rivolto più volte nel corso della mia vita. Questo interesse è stato sempre molto forte e il guardare e il leggere sono sempre stati accomunati dalla domanda: che cosa significa? Proprio questa domanda mi ha portato a iscrivermi a filosofia, già negli anni liceali leggevo de Sanctis e l’estetica di Croce, rendendomi conto che non bastava leggere e guardare ma serviva avere anche la possibilità di chiedersi: che cosa significa ciò che guardo e leggo?
E questa domanda non vale solo rispetto all’opera ma soprattutto per me che guardo.
Qual è il progetto che ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi?
Il mio lavoro e i miei interessi sono sempre stati caratterizzati da una dimensione di compattezza, passando in questo modo, in maniera trasversale, da interessi per le arti figurative alla letteratura al teatro e al cinema.
Il progetto che ha dato inizio a tutto forse è stato uno dei miei primi libri, scritto negli Anni Novanta, intitolato Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento. Lì mi ponevo un problema legato non solamente a come leggere la molteplicità della produzione letteraria di quel periodo, ma cercavo dei processi unitari all’interno di questa ramificazione.
Queste ‘invarianti’ facevano sempre capo alla vita e rispondevano sempre al problema: che cosa significa questo?
Che il determinato scrittore cercasse il senso nella vita o nella scrittura, il nodo fondamentale era come questo senso veniva a presentarsi, a chiarirsi e a specificarsi nelle varie individualità. Il problema che sta alla base degli interessi dei miei primi libri era sempre: che senso ha questo?
Che valore ha questa domanda?
Questa domanda è una domanda specificatamente filosofica e se mi sono iscritto a filosofia è proprio per questo. Quando insegnavo e gli studenti mi chiedevano le tesi, dicevo sempre loro di porsi questa domanda. Che fosse una tesi su Beckett, su Wittgenstein o su Picasso, dicevo sempre loro di chiedersi: che senso ha questo?
Il mio progetto iniziale ha ruotato attorno a questo problema e ha caratterizzato i miei primi interessi e mi ha poi guidato per tutta la vita fino a ora.
Quale importanza ha per te il Genius Loci all’interno del tuo lavoro?
Io non ho mai avuto un vero Genius Loci, sono nato in Sicilia, in provincia di Siracusa, e già a tre anni mi sono trasferito a Roma, e ho abitato da ragazzo a Ostia Lido, facendo l’università a Roma. Non ho mai avuto un particolare attaccamento alla Sicilia e il mio Genius Loci forse si presenta lì dove abito: è il mio studio e la mia poltrona. Il mio studio quando devo scrivere e la mia poltrona quando leggo e sento la musica e direi che il Genius Loci nasce da qua e si configura in questo modo.
PASSATO E FUTURO SECONDO GIUSEPPE DI GIACOMO
Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro?
Non c’è dubbio che il passato sia importante, e lo dico sia da un punto di vista assolutamente personale sia da un punto di vista generale.
Per come vivo io, non riuscirei a pensare un futuro che non sia ancorato al presente e in qualche modo al passato, ho sempre coltivato la memoria e letto i grandi classici che suggerivano questa dimensione, come Dostoevskij e soprattutto Proust (ho letto per ben tre volte La Recherche proustiana in varie parti della mia vita). È come se non riuscissi a prospettare un futuro che non sia ancorato nella memoria, come se ne fosse un naturale prolungamento. Non dico che debba essere cosi per tutti, ma per me è impossibile pensare al futuro diversamente.
Quali consigli daresti a un giovane che voglia intraprendere la tua strada?
Il consiglio è quello di avere un impegno costante e un interesse costante e soprattutto di non vedere la dimensione culturale come separata dalla vita. La dimensione culturale fa tutt’uno con la dimensione della vita e se è vero che nella dimensione culturale ciò che è importante è ogni volta farsi la domanda che senso ha tutto questo?, questa domanda di fatto si riferisce al nostro modus vivendi e per me la dimensione della vita è chiedersi sempre che senso ha ciò che stiamo facendo. Per me non è concepibile leggere e studiare come se questo fosse altro dalla nostra vita. La domanda sul senso è una domanda che riguarda ciò che stiamo facendo, che senso ha questo per me ora.
In un’epoca definita della post verità ha ancora importanza e forza il senso del sacro?
Quando si sente il termine sacro si pensa sempre alla dimensione religiosa e, anche se io non ho una religione confessionale, è indubbio che la religione ha una sua consistenza e presenza sempre più forte, in particolare il cristianesimo. È impossibile studiare e leggere senza tenere conto che la nostra cultura occidentale è profondamente attraversata dalla dimensione cristiana e più in generale dalla dimensione religiosa. La si può esplicitare ma comunque è implicita e si fa sempre i conti con questa dimensione.
Uno dei miei ultimi libri riguardava Picasso, in particolare Les Demoiselles d’Avignon. L’ho confrontato con un suo coetaneo Matisse e mettevo in evidenza che in Matisse la dimensione religiosa era esplicita. Picasso si mette contro Matisse perché non accetta la sua religiosità, ma ciò che distingueva Picasso e Matisse è il fatto che in Matisse la dimensione religiosa è trascendente, mentre in Picasso è del tutto immanente. In Picasso c’è un senso che non si presenta come senso assoluto ma sempre particolare, sempre relativo. In entrambi c’è questa spinta verso l’altro e forse proprio questo per me è il senso del sacro: il riconoscimento dell’altro, il fatto che quando noi cerchiamo di comprendere qualche cosa capiamo che comprendere significa non stare allo stato delle cose ma cercare di capire e vedere l’altro nelle cose. Questa dimensione del sacro direi che è imprescindibile per qualsiasi dimensione culturale.
Come immagini il futuro? Potresti darci tre idee che guideranno i prossimi anni?
Non ho mai immaginato il futuro. Più che intravedere il futuro, leggo come il presente si prolunga e noto che è sempre più accentuata una dimensione legata alla libertà individuale da declinare in tanti modi. Non si può neanche definire come declinare questa libertà perché altrimenti non sarebbe libertà. Come contraltare, forse un po’ paradossale, emerge l’importanza per il proprio Paese, con la P maiuscola, lo stato, la nazione. Noi siamo radicati in questa dimensione e se si dovesse perdere si perderebbe tanto e non si riuscirebbe a raggiungere una dimensione culturale autentica e propositiva.
Anche se i miei interessi vanno per Wittgenstein, per Adorno e soprattutto Nietzsche, non perdo di vista che sono qui in Italia e che la mia preparazione è stata, non a caso, legata a de Sanctis e Croce. Questo punto di partenza ovviamente si riverbera su sé stesso e diventa un punto d’arrivo. Nello stato abbiamo delle radici profonde e queste non si cancellano.
D’altra parte oramai sono anni che osserviamo la globalizzazione, è stata superata per certi versi ma rimane la connessione globale, accendiamo la televisione e abbiamo sempre più notizie che provengono da ogni parte del mondo. A questo livello mi pare che il futuro si prospetti come un futuro di andata e ritorno ovunque, intersecarsi di notizie e informazioni sempre più rilevanti, forti e dense.
Marco Bassan
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