Morta Mary Bauermeister, la “mamma” del movimento Fluxus
Classe 1934, a cavallo degli Anni ’60 l’artista tedesca accoglie e alimenta nel suo studio di Colonia la sperimentazione di un gruppo di artisti, musicisti e poeti, da Christo a John Cage e Nam June Paik. Il ricordo di Claudio Musso
Nei giorni scorsi, anche su queste pagine, si sono rincorsi coccodrilli e memorie per Peter Weibel e soprattutto per Piero Gilardi, grandissimi protagonisti di una stagione eccezionale del secondo Novecento, padrini si potrebbe dire di un modo di fare e intendere l’arte che ha segnato diverse generazioni, compresa la mia. Il mio ricordo però in questo caso è diretto a una madrina che pure ci ha lasciato di recente e di cui poco, ahimè, si è detto e scritto.
CHI È STATA MARY BAUERMEISTER
Mary Hilde Ruth Bauermeister era nata a Francoforte nel 1934 ed è scomparsa lo scorso 2 marzo a Rösrath dopo aver lottato per diversi mesi con un male incurabile. La definizione più diffusa del suo ruolo nella congiuntura a cavallo degli Anni ’60 del XX secolo è der „Mutter“der Fluxus-Bewegung (la madre del movimento Fluxus) che, in parte, può rendere l’idea del calibro di questa figura. Se è possibile affermare infatti che Fluxus abbia avuto due nascite, una negli Stati Uniti e una in Europa, questa dichiarazione poggia le basi su due luoghi simbolo dell’avanguardia: il loft di Yoko Ono in Chamber Street a New York e lo studio in Lingstrasse 28 a Colonia della Bauermeister. Spazi di sperimentazione che hanno contribuito ad alimentare la scena culturale delle città che li ospitavano e che hanno incarnato lo spirito su cui si sarebbero costituiti di lì a poco i festival divenuti simbolo degli anni eroici del gruppo.
MARY BAUERMEISTER, FLUXUS E LE LENS BOXES
Da Colonia, grazie all’invito della Bauermeister, passano artisti, musicisti e poeti come David Tudor, John Cage, Christo, George Maciunas, Wolf Vostell, George Brecht, Nam June Paik e lei stessa collabora attivamente con numerosi esponenti dell’avanguardia sonora come Karlheinz Stockhausen (di cui per un periodo divenne moglie) per i celebri Internationale Ferienkursen für Neue Musik a Darmstadt. Il ruolo di animatrice della scena culturale della Vestfalia nel delicato passaggio tra gli Anni ’50 e ’60 è certamente uno dei tratti biografici più conosciuti di Mary Bauermeister che negli stessi anni aveva anche sviluppato una ricerca artistica individuale di indubbio spessore. Tra le opere più diffuse, anche nelle collezioni pubbliche di istituzioni europee e nordamericane, si segnala il ciclo delle cosiddette “lens boxes”. In queste teche caratterizzate da coperture vitree o plastiche, bolle e avvallamenti ingrandivano o rimpicciolivano la visione degli elementi composti sul supporto sottostante che nella maggior parte dei casi recavano disegni, scritture o piccoli oggetti raccolti e modificati. In bilico tra esperimento di Optical Art, objet trouve e flux box, tali opere rendono manifesta l’intenzione di abbracciare un approccio multimediale e multisensoriale. Negli anni Settanta, dopo il definitivo ritorno in Germania, i suoi interessi si aprono verso discipline divinatorie come la geomanzia che portano il suo operato verso la botanica e l’utilizzo di materie prima naturali per la composizione delle sue opere. Tra queste spiccano quelle realizzate con sabbie, sassi e rocce che in molti casi provengono da spiagge siciliane e che vengono organizzate su supporti rigidi come fossero dei mandala. Proprio a una di queste tavole lego l’unico incontro avuto con la Bauermeister, nel 2016 a Bologna, in occasione di una mostra organizzata da CUBO Unipol grazie alla visione di Angela Memola. La nostra conversazione, partita dal commento dell’opera esposta, si era immediatamente spostata sull’incredibile storia che la legava a Fluxus e con grande leggerezza aveva toccato temi cardine del suo operato con riferimenti molto precisi e profondi al suono, all’ambiente e al paesaggio. Un’artista da (ri)studiare, una persona carica di un’energia delicata e potente allo stesso tempo.
Claudio Musso
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