Architetti italiani emergenti: l’esperienza all’estero di Studio Ossidiana
“Siamo fatti per stare all’aperto, esplorare, camminare, osservare, catturare e, forse, giocare con altre specie”, racconta l’architetta Alessandra Covini di Studio Ossidiana, realtà a trazione italiana protagonista del Padiglione Italia alla Biennale di Architettura 2023
Nato nel 2015, Studio Ossidiana ha sede a Rotterdam, luogo di studio e lavoro dei fondatori, gli architetti Alessandra Covini e Giovanni Bellotti. Con progetti nei Paesi Bassi, in Italia, Svezia, Turchia e Stati Uniti, i due progettisti portano avanti una ricerca approfondita che avvicina architettura, paesaggio, spazio pubblico e arte urbana. Vincitori nel 2018 del Dutch Prix de Rome – il premio più prestigioso per gli architetti under 35 –, hanno partecipato alle biennali di architettura di Venezia, Chicago, Rotterdam, Shenzhen e alla Biennale di Design di Istanbul. Dopo aver studiato a Milano e Lisbona (Alessandra) e a Venezia (Giovanni), Covini e Bellotti si sono conosciuti all’University of Technology di Delft. Qui hanno scoperto un terreno comune che li ha portati ad avviare un dialogo continuo e incessante, su ogni piano di confronto possibile in architettura. Il dialogo si è protratto negli anni, anche quando erano lontani geograficamente e immersi in esperienze diverse, lei nei Paesi Bassi, iniziando le prime collaborazioni con terrazzisti, e lui negli Stati Uniti, come ricercatore al MIT. Ma parliamo del loro presente. Con lo sguardo già rivolto al Padiglione Italia alla Biennale Architettura 2023.
INTERVISTA A STUDIO OSSIDIANA
Tra i professionisti emergenti dell’architettura italiana che abbiamo fin qui intervistato siete i primi con sede all’estero. Perché avete deciso di aprire l’ufficio in Olanda e non in Italia?
La nostra scelta non parte da una negazione, ma da una affermazione: non è che “non abbiamo scelto l’Italia”, ma abbiamo spontaneamente aperto lo studio nel Paese dove avevamo studiato. Sicuramente hanno inciso le opportunità che sentivamo di poter avere nei Paesi Bassi, soprattutto dopo la vittoria del Dutch Prix de Rome, e nella possibilità di lavorare in ambiti sperimentali e sugli spazi pubblici. In Italia siamo spesso invitati a presentare i nostri progetti: dal progetto per T Magazine a Villa Necchi nel 2019, alla Biennale di Venezia 2021 e 2023 fino alle esposizioni alla Triennale di Milano o da Assab One. Siamo interessati alle relazioni tra le pianure che abitiamo: la pianura padana dove siamo cresciuti – tra Milano, Cremona e Pavia – e i Paesi Bassi, dove viviamo adesso, e le sinergie tra questi paesaggi. In questo contesto, stiamo lavorando alla ristrutturazione di una cascina di famiglia nel cremonese.
Cosa prevede il progetto della cascina?
Vorremmo attivare questo luogo con progetti di diversa natura. Abbiamo iniziato con un workshop con gli studenti di Miard (Master di Architettura degli interni della Willem de Kooning) di Rotterdam la scorsa estate: abbiamo costruito una piattaforma per umani, uccelli e mucche con materiali edibili. Abbiamo poi vinto una borsa della Regione Lombardia sull’Architettura Rurale, che ci ha permesso di iniziare una ristrutturazione con l’obiettivo di creare un archivio e una serie di spazi per eventi e mostre. Vediamo questo progetto come un progetto a lungo termine, come un terreno di sperimentazione, dove produrre, mantenere e testare materiali, prototipi, dove poter esplorare una diversa temporalità, e come un luogo dedicato di scambio tra le nostre due case, l’Italia e i Paesi Bassi. Ci auguriamo che possa diventare uno spazio di conoscenza, comunicazione e scambio.
IL METODO DI LAVORO DI STUDIO OSSIDIANA
Come si compone attualmente il vostro studio?
Siamo io, Giovanni e due collaboratori, oltre al nostro pappagallo. Ci sono stati dei periodi in cui lo studio era più esteso; rimanere “piccoli” è una scelta, che offre maggiore controllo sui progetti, meno tempo da dedicare all’organizzazione interna e più alla ricerca e al progetto.
Cosa riscontrate nel confrontarvi con i vostri colleghi che lavorano in Italia?
Forse la differenza più evidente che è la diversa mentalità tra i Paesi. Noi siamo sempre molto colpiti da quanto i nostri progetti – come nel caso dell’isola per uccelli The Birds’ Palace nel Vondelpark, ad Amsterdam – facciano breccia nel cuore degli olandesi. Molto del nostro immaginario nasce proprio dall’approccio e dal paesaggio di questo Paese, che continua sempre a ricostruirsi. Gli olandesi dicono che “Dio ha creato il mondo e gli olandesi l’Olanda”: un grande giardino, uno spazio che continua a cambiare e a modificarsi; questo è sintomo del grande carattere di sperimentazione che ha questo Paese, e che si riflette sulle opportunità che ci ha dato. Negli anni infatti siamo stati invitati a partecipare a una serie di progetti e concorsi di arte pubblica, che ci hanno permesso di lavorare su aluni spazi pubblici sperimentali. Come l’ultimo progetto: l’Art Pavilion M.
In cosa consiste?
Si tratta di un padiglione galleggiante sull’acqua, inaugurato in occasione di Floriade. Nasce con un’indole temporanea, ma nel senso di almeno 5-10 anni di durata. La speranza è che poi rimanga, almeno in parte, come installazione. Art Pavilion M. è un museo di Land Art e multimedia, immaginato come una sequenza di cornici sull’acqua. Un recinto/passerella che racchiude una piazza d’acqua: una stanza a cielo aperto accessibile a tutti, dove poter esporre opere d’arte acquatiche, giardino galleggiante, o un punto di approdo da cui poter nuotare, pescare, e pattinare d’inverno; una terrazza, che può essere utilizzata come ‘scena’ per performance sull’acqua. Il padiglione, che racchiude gli spazi espositivi interni, è come una serra luminosa e galleggiante. Con il progetto volevamo dare la possibilità di curare e coltivare l’acqua, utilizzare il progetto come un porto, in cui le barche possono attraccare.
Nel presentarvi parlate di “approcci innovativi”. Una parola di valore perché include l’idea di “portare, dare agli altri” qualcosa di nuovo.
Una delle cose che ci dicono in tanti è che spesso lavoriamo su tipi esistenti trasformandoli in qualcos’altro. L’innovazione passa molto anche dai materiali: noi lavoriamo spesso con il terrazzo. È una tecnica antichissima, ma cerchiamo di sovvertirla, inventando nuove miscele e utilizzandole per raccontare la storia del territorio. È questo il caso del progetto di cui abbiamo appena parlato, per il quale abbiamo sviluppato il terrazzo “Surf and Turf”, come la pietanza (i gamberetti con la carne, molto in voga nei Paesi Bassi), con conchiglie e argilla espansa. L’idea è che potesse raccontare la storia della regione della Flevoland, mare fino agli Anni Trenta del secolo scorso, prima di essere bonificata e trasformata in terreni agricoli.
STUDIO OSSIDIANA ALLA BIENNALE ARCHITETTURA 2023
Prenderete parte alla prossima Biennale di Venezia, dopo aver partecipato anche all’edizione 2021. Cosa potete anticiparci in merito al vostro intervento?
Alla scorsa Biennale avevamo portato una sintesi frutto di un lavoro di ricerca iniziato da Giovanni al MIT sul rapporto tra umani e altre specie animali. Quest’anno, nell’ambito del Padiglione Italia, stiamo lavorando sulla Casa Tappeto, una collaborazione con l’artista Adelita Husni-Bey per il quartiere di Librino a Catania. Qui stiamo realizzando un padiglione tessile nomade, da utilizzare come base per il gioco in collaborazione con associazioni di quartiere, come Talita Kum.
Anche voi, come lo studio Carlana Mezzalira Pentimalli, utilizzate la parola “generosità”. Cos’è per voi la generosità in architettura?
Spesso i nostri progetti sono fatti perché umani o altri animali se ne approprino, e diventano davvero completi solo quando effettivamente ci sono delle azioni che succedono in questi spazi. Per noi è fondamentale vedere come questi oggetti vengano poi attivati; ogni volta cogliamo sfumature diverse e diversi modo d’uso, come un nuovo gioco inventato dai bambini a Horismos, il playground progettato per una scuola a Vleuten, o la fila per poter utilizzare e cucinare con i fuochi a The Fire Dunes.
Come sempre chiudiamo con un occhio al futuro. Cosa vi augurate e augurate all’architettura?
La cosa più importante che mi sento di augurarci è che gli spazi pubblici vengano svincolati dalle logiche dei developer, considerando che gli spazi pubblici sono sempre più spesso controllati da logiche di mercato. Non si può fare architettura sperimentale se il fine ultimo è solo dover vendere gli appartamenti a un prezzo alto; alcuni progetti come The Fire Dunes (una “cucina pubblica”), un playground sperimentale, un’isola galleggiante per gli uccelli, sono spesso visti dai developer – almeno nei Paesi Bassi – come una liability piuttosto che un valore. I progetti temporanei però suggeriscono alternative per gli spazi pubblici, mostrando invece che è possibile realizzare, amare, e coltivare questi luoghi. E che si può offrire ai residenti possibilità inaspettate, come cucinare nello spazio aperto insieme a persone con cui non si è mai parlato, ritrovarsi a raccontare storie davanti al fuoco. Oppure riscoprirsi acrobati o birdwatcher, esplorando nuovi modi di essere cittadini, e ricordandoci la nostra memoria biologica: non ci siamo geneticamente evoluti dall’Homo sapiens di 300mila anni fa. Siamo fatti per stare all’aperto, esplorare, camminare, osservare, catturare e, forse, giocare con altre specie. Ci auguriamo di poter far entrare nelle nostre città spazi pubblici che ci ricordino cosa significa essere umani.
Silvia Lugari
https://www.studio-ossidiana.com/
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